Valigette di medicine, cibi a lunga conservazione – cracker, barrette, legumi in scatola – torce, taniche di benzina. Ma anche pile, caricatori per il telefono e soprattutto powerbank e qualche indumento che tenga caldo. Insomma, tutto quello che può servire per affrontare diversi giorni lontani da casa, in condizioni precarie, spesso al freddo gelido dell’inverno dell’est Europa, senza sapere con esattezza dove ci si troverà alla sera. Sono tutti oggetti che gli ucraini – dal 24 febbraio sotto i bombardamenti russi – stanno accumulando da anni, precisamente da quando nel 2014 la Crimea con un referendum spacciato come democratico e poi con la guerra nel Donbass per l’indipendenza dell’Oblast’ di Donec’k e di quella di Luhans’k, hanno cominciato a capire che qualcosa di molto più terribile nel loro paese sarebbe accaduto.
«Gli ucraini – racconta Anna, famiglia a Kiev ma in Italia dal 2013 – hanno capito che devono salvarsi da soli perché nessuno lo farà». I genitori, i parenti e gli amici di Anna sono scappati dalla capitale, dove lei stessa – che oggi vive a Torino – sarebbe dovuta rientrare il 24 febbraio, il giorno dell’attacco russo: «Sono arrivata in aeroporto a Caselle un’ora prima dell’ingresso dei russi e ovviamente ho deciso di tornare indietro. Non era davvero il caso il partire».
Il “survivalism”, racconta Anna, è un fenomeno che tra gli ucraini è molto diffuso da ormai diverso tempo. Nato nel Regno Unito e negli Stati Uniti al tempo della Guerra Fredda, si è poi espanso in altre aree del mondo. I survivalisti o “prepper” – anche se tra le due categorie c’è qualche differenza sostanziale – sono persone che si preparano ad affrontare situazioni molto difficili, in particolare di guerra: molti di loro hanno una solida preparazione militare (soprattutto i “survivalist”) e in tanti hanno dotato le proprie abitazioni di rifugi antiatomici o bunker in cui rifugiarsi in caso di attacco areo. In Ucraina i bunker, per la verità, non sono così diffusi, sebbene spesso le cantine o le metropolitane – che sono molto profonde, a decine di metri sotto terra – vengono usate per uno scopo simile. «Gli unici edifici che hanno bunker e rifugi antiatomici – spiega Anna – sono i palazzi che sono stati costruiti dall’Urss. Spesso risalgono al periodo successivo alla seconda guerra mondiale o agli anni Settanta. Ma ormai ne sono rimasti pochi, a Kiev e in tutto il paese».
Dal 2014 la paura di un conflitto in casa propria si è però fatta più realistica. «A cambiare le nostre vite è stata la vicenda della Crimea, che è stata raccontata come una indipendenza democratica, con questo referendum voluto dalla popolazione. Ma non è andata così. E poi c’è stato il Donbass. Lì gli ucraini hanno capito che dovevano fare qualcosa per proteggersi perché nessuno li avrebbe salvati, se fosse successo qualcosa. E che Putin avrebbe attaccato lo sapevamo tutti, i bombardamenti di questi giorni non hanno stupito nessuno».
«I miei genitori – dice la 32 enne – dal 2014 hanno una valigetta che contiene del materiale di sopravvivenza: una torcia, un po’ di benzina, i powerbank per il cellulare e anche un po’ di cibo, aggiunto di recente. Sono oggetti necessari visto che l’elettricità va e viene». E come i suoi genitori, tanti altri, soprattutto nell’ultimo mese si sono messi a comprare materiale di questo tipo. «Chi doveva fare le scorte le ha già fatte, adesso diventerà sempre più difficile trovarle sul mercato “ufficiale”, magari si creerà un mercato nero». Finora, infatti, i “prepper” hanno comprato tutto al supermercato o nelle botteghe che vendono un po’ di tutto: «Mercato nero di oggetti di questo tipo in Ucraina finora non c’è stato. Ma la situazione è difficile e non si può escludere che nelle prossime settimane le cose si complichino ancora».