Un gruppo di ricercatori dell’Earth Institute presso la Columbia University, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Otago, Nuova Zelanda, ha analizzato diverse foglie fossili appartenute ad una foresta di 23 milioni di anni fa e ha potuto constatare che in quel periodo si è verificato un aumento della CO2 nell’atmosfera, fenomeno che ha stimolato lo sviluppo della flora, ma con tutta probabilità anche l’innalzamento della temperatura terrestre.
I campioni sono stati prelevati da un letto lacustre in Nuova Zelanda. Oltre alle foglie in questo sito sono presenti anche fossili di alghe, ragni, mosche, scarafaggi, funghi ed altri essere viventi esistiti durante il miocene inferiore, un periodo detto anche aquitaniano occorso tra 23 e 20 milioni di anni fa. Lo studio si è dimostrato importante perché potrebbe aiutare a capire le cause del riscaldamento globale odierno.
23 milioni di anni fa invece, le temperature sono state da 3 a 7° centigradi più calde di quelle attuali, mentre il ghiaccio ai poli si è praticamente dissolto.
Gli studiosi hanno calcolato che la CO2 era presente nell’atmosfera ad un tasso di circa 450 ppm, un livello simile a quello odierno (415 ppm ma entro il 2040 si giungerà a 450 ppm). L’aumento della vegetazione invece è dovuto al fatto che le piante si nutrono di anidride carbonica attraverso il processo della fotosintesi. Le foglie fossili, trovate “mummificate“, hanno permesso di risalire alla loro composizione chimica originale.
Il cosiddetto “effetto di fertilizzazione del carbonio” ha vaste implicazioni. Esperimenti di laboratorio e sul campo hanno dimostrato che quando i livelli di CO2 aumentano, molte piante aumentano il loro tasso di fotosintesi, perché possono rimuovere in modo più efficiente il carbonio dall’aria e conservare l’acqua mentre lo fanno. In effetti, uno studio del 2016 basato sui dati satellitari della NASA mostra un effetto di “inverdimento globale” principalmente dovuto all’aumento dei livelli di CO2 prodotta dall’uomo negli ultimi decenni; un quarto alla metà delle terre vegetate del pianeta hanno visto un aumento del volume delle foglie su alberi e piante dal 1980 circa. Si prevede che l’effetto continuerà con l’ aumento dei livelli di CO2.
Il rinverdimento del pianeta potrebbe sembrare un effetto positivo proprio perché le piante assorbono più anidride carbonica, ma in realtà il processo è molto più complesso. Infatti, è opportuno specificare che non tutte le piante crescono di più e in maggior numero con una quantità maggiore di CO2 in quanto ci sono dei livelli superiori in termini di fotosintesi che non riescono a superare.
Diversi studi pregressi hanno evidenziato che la maggior parte della vita vegetale si è evoluta, tranne rare eccezioni, in un mondo con emissioni di CO2 contenute e quindi in ambienti temperati.
Tammo Reichgelt, scienziato del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University nonché professore di geoscienze all’Università del Connecticut, ha spiegato che un aumento delle temperature conseguente all’aumento di CO2 nell’atmosfera potrebbe danneggiare sul lungo periodo gli ecosistemi e ciò porterebbe a cambiamenti climatici importi in un processo a catena. Più CO2 nell’atmosfera potrebbe essere un fattore positivo per alcune piante ma un fenomeno stressante per molte altre.
Il deposito si trova in un piccolo cratere vulcanico estinto da tempo ora situato in una fattoria vicino alla città di Dunedin, nel sud della Nuova Zelanda. Il cratere, di circa un chilometro di diametro, ha ospitato un lago dove successivi strati di sedimenti si sono formati dall’ambiente circostante. La caratteristica è stata riconosciuta solo negli ultimi 15 anni circa; gli scienziati lo hanno soprannominato Foulden Maar. Riconoscendola come una miniera d’oro scientifica, da allora l’hanno studiata.
Nel nuovo studio, gli scienziati hanno prelevato campioni da un carotaggio del 2009 penetrato a 100 metri vicino al fondo del letto del lago ormai asciutto. Tra gli strati biancastri di alghe ricche di silice che si sono sviluppate ogni primavera per 120.000 anni si alternano strati nerastri di materia organica che si sono depositati durante le altre stagioni.
Questi includono innumerevoli foglie di una foresta sempreverde subtropicale. Sono conservati così bene che gli scienziati hanno potuto analizzare le vene e gli stomi microscopici, i pori dai quali le foglie assorbono aria e contemporaneamente rilasciano acqua durante la fotosintesi. A differenza della maggior parte dei fossili, le foglie mantengono anche le loro composizioni chimiche originali.
Analizzando gli isotopi del carbonio all’interno delle foglie di una mezza dozzina di specie di alberi presenti a vari livelli nel deposito, i ricercatori sono riusciti a ricavare il contenuto di carbonio dell’atmosfera e hanno anche analizzato la geometria degli stomi delle foglie e altre caratteristiche anatomiche, confrontandoli successivamente con alcune foglie della nostra epoca. Combinando tutti i dati in un modello, hanno scoperto che la CO2 atmosferica non era 300 ppm, ma circa 450.
In secondo luogo, hanno dimostrato che gli alberi hanno sviluppato una certa efficienza nell’aspirare il carbonio attraverso gli stomi, senza far fuoriuscire molta acqua attraverso lo stesso percorso, un fattore di cui tutte le piante devono tenere conto. Ciò ha permesso loro di crescere in aree marginali che altrimenti sarebbero state troppo aride per le foreste. I ricercatori affermano che questa maggiore efficienza si è molto probabilmente rispecchiata nelle foreste delle latitudini temperate settentrionali, con le loro masse continentali molto più grandi.
“Tutto combacia, tutto ha un senso“, ha detto il coautore dello studio William D’Andrea, uno scienziato paleoclimatico di Lamont-Doherty. Oltre a mostrare come le piante potrebbero reagire direttamente alla CO2 , “questo dovrebbe darci più fiducia su come le temperature cambieranno con i livelli di CO2“, ha concluso.