Come se non ci fossero abbastanza cataclismi di cui preoccuparsi, un libro pubblicato di recente ha riportato l’attenzione su un’altra terribile possibilità sotto i riflettori. Tra le altre calamità, “End Times” di Bryan Walsh evidenzia la possibilità che a breve possa avvenire l’eruzione del supervulcano Yellowstone, negli Stati Uniti, un evento così drammatico che potrebbe spazzare via gran parte della vita umana su questo pianeta.
Per fortuna, il supervulcano Yellowstone non esplode molto spesso. L’ultima volta è avvenuto 640.000 anni fa. Certamente, nessuno sa quando scoppierà di nuovo, ma, proprio come l’altro supervulcano dei Campi Flegrei in Italia, potrebbe farlo in qualsiasi momento, dandoci solo poco tempo di preavviso.
Quando un supervulcano come Yellowstone esplode, l’eruzione può espellere qualcosa come 380 chilometri cubici di roccia, polvere e cenere in cielo, come accadde durante l’ultima grande esplosione. Dalle sue bocche uscirebbe anche un flusso di magma che seppellirebbe tutta l’area entro un raggio di 65 chilometri. Grandi parti di Colorado, Wyoming e Utah finirebbero sotto uno spessore di un metro di cenere. Parti del Midwest sarebbero coperte da almeno qualche centimetro di tale cenere.
Se si pensa che già questo sia abbastanza, ebbene non è finita: l’emissione di polvere e gas tossici come il monossido di zolfo nell’atmosfera creerebbe un velo acido attorno al pianeta capace di riflettere la luce solare. Ciò porterebbe ad un drammatico raffreddamento del clima globale che durerebbe per diversi anni.
Ovviamente, questo avrebbe ulteriori conseguenze, dalle colture devastate alla distruzionie delle reti elettriche. Senza luce solare, calore e cibo, si verificherebbe una grave perdita di vite umane. Come scrive Bryan Walsh nel suo editoriale sul New York Times, un rapporto del 2015 per la Fondazione europea della scienza sui rischi geografici estremi ha definito ciò che potrebbe accadere “la più grande catastrofe dagli albori della civiltà“.
Il dott. Jerzy Żaba, un geologo dell’Università della Slesia a Katowice, in Polonia, è stato ancora più specifico, dicendo in un’intervista che, secondo le sue stime, circa 5 miliardi di persone potrebbero morire per la fame “a causa degli effetti dei cambiamenti climatici indotti dal supervulcano“.
Bryan Walsh definisce questo scenario, senza troppe esagerazioni, un “rischio esistenziale” non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo in generale. Walsh scrive che “gli esperti di rischio esistenziale concordano ampiamente sul fatto che i supervolcano – di cui ne esistono 20 sparsi per il pianeta – sono la minaccia naturale che rappresenta la più alta probabilità di estinzione per il genere umano”.
La grande domanda, ovviamente, è: quando esploderà il supervulcano Yellowstone?
Nell’area sismicamente attiva nel Parco Nazionale di Yellowstone avvengono circa 3.000 piccoli terremoti all’anno, ma le esplosioni catastrofiche sono poco frequenti. Oltre alla cosiddetta “eruzione di Lava Creek“, avvenuta 640.000 anni fa, il vulcano ha generato un’eruzione esplosiva circa 1,3 milioni e 2,1 milioni di anni fa, il che sembrerebbe significare che passano tra i 660.000 e gli 800.000 anni tra una catastrofica eruzione e l’altra.
Nessuno sa per certo quando accadrà di nuovo, ma la minaccia è enorme ed è questo il motivo per cui Walsh ritiene che debbano essere dedicate più risorse allo studio dei vulcani. Attualmente, la FAA spende circa $ 7 miliardi ogni anno per la sicurezza aerea mentre per i programmi di studio sui vulcani, che possono potenzialmente causare perdite molto più ingenti, sono stanziati annualmente solo $ 22 milioni per lo studio.
Cos’è un supervulcano?
Un supervulcano, come spiega Wikipedia, è una di quelle 10-12 grandi caldere presenti sulla superficie terrestre, con un diametro di varie decine di chilometri. Tali strutture sono individuate a livello del suolo e non sono associabili al collasso di precedenti edifici vulcanici come le normali caldere. Si suppone che le grandi caldere vengano generate da un punto caldo (in inglese Hot spot) che è situato in profondità sotto di esse. Tali strutture non sono considerate dei veri e propri vulcani, in quanto non è presente un edificio vulcanico visibile, quanto semmai una depressione di origine vulcanica.
All’interno delle grandi caldere è possibile notare lo sviluppo di vari crateri più o meno formati e la presenza di un vulcanismo di tipo secondario (geyser, fumarole, sorgenti termali, ecc.). Non è mai stata osservata un’eruzione di questo tipo di caldere (che hanno periodi di quiescenza di centinaia di migliaia di anni tra un’eruzione e l’altra), anche se nelle aree circostanti si trovano chiare tracce geologiche di imponenti eruzioni passate. Gli esempi più noti di questo tipo di apparati sono il parco di Yellowstone (USA), i Campi Flegrei (Italia), il lago Toba (Indonesia).
Il termine “supervulcano” non è utilizzato in vulcanologia, anche se è stato coniato nel 1949 da un vulcanologo, M. Byers Jr., nel contesto di un dibattito scientifico riguardante gli antichi vulcani dell’Oregon. È stato poi reso popolare dagli autori di un programma divulgativo scientifico, Horizon, mandato in onda dalla BBC nel 2000, per riferirsi al risveglio di tali grandi caldere che producono gigantesche eruzioni vulcaniche, tali da modificare radicalmente il paesaggio locale e condizionare pesantemente il clima a livello mondiale per diversi anni, con effetti cataclismatici sulla vita stessa del pianeta.
Tuttavia non sono state definite le caratteristiche/dimensioni minime di un supervulcano, anche se vi sono almeno due tipi di eruzione vulcanica che possono essere associati a queste strutture. La visibilità di una tematica di questo genere ha comunque favorito lo studio sui possibili effetti di un’eruzione di questo tipo.