I videogiochi sono una forma di intrattenimento molto popolare tra persone di tutte le età e provenienze, e sebbene spesso si parli di videogiochi violenti, secondo le statistiche, ci sono oltre 2,7 miliardi di giocatori nel mondo, che spendono in media 6,5 ore a settimana sui loro giochi preferiti, ma questi sono solo un passatempo innocuo o hanno delle conseguenze negative sul comportamento dei giocatori?
Questa domanda è al centro di un dibattito accademico e sociale che dura da decenni. Molti studiosi, politici e giornalisti hanno sostenuto che i videogiochi, in particolare quelli che contengono scene di violenza, possano influenzare negativamente la psicologia e la fisiologia dei giocatori, rendendoli più aggressivi, impulsivi e insensibili.
Questa tesi si basa sull’ipotesi che l’esposizione a stimoli violenti possa attivare dei processi cognitivi, emotivi e ormonali che predispongono a comportamenti antisociali.
Tuttavia, questa tesi non è supportata da prove empiriche solide e consistenti. Infatti, molti studi hanno trovato risultati contrastanti o nulli sull’effetto dei videogiochi violenti sull’aggressività dei giocatori, per di più alcuni studi hanno suggerito che i videogiochi violenti possano avere anche degli effetti positivi, come il miglioramento delle abilità visuo-spaziali, il rilassamento, la gratificazione e il senso di appartenenza.
Sembra quindi che la relazione tra i contenuti dei videogiochi e il comportamento dei giocatori sia più complessa di quanto spesso si pensi.
Un recente studio, pubblicato sulla rivista Psychoneuroendocrinology, ha esplorato questa complessità, analizzando gli effetti fisiologici e psicologici dei videogiochi violenti su un campione di 54 uomini. Lo studio, condotto da Gary L. Wagener e colleghi dell’Università del Lussemburgo, ha utilizzato un videogioco molto popolare e apprezzato, “Uncharted 4: Fine di un ladro”, che presenta sia scene di azione e combattimento che scene di esplorazione e risoluzione di enigmi.
I partecipanti sono stati divisi in due gruppi in modo casuale e hanno giocato per 25 minuti a una parte violenta o non violenta del gioco. Prima e dopo il gioco, i ricercatori hanno misurato i loro livelli di cortisolo e testosterone, due ormoni coinvolti nella risposta allo stress e all’aggressività, utilizzando campioni di saliva.
I partecipanti hanno anche completato dei questionari per valutare i tratti della loro personalità, in particolare quelli della cosiddetta “Tetrade Oscura” o “triade”, che comprendono narcisismo, psicopatia, sadismo e machiavellismo. Infine, i partecipanti hanno effettuato un test di associazione implicita per misurare le loro tendenze aggressive.
Cosa è emerso dallo studio sui videogiochi violenti?
I risultati dello studio sono stati sorprendenti e in contrasto con l’ipotesi che i videogiochi violenti aumentino l’aggressività dei giocatori. Innanzitutto, i ricercatori non hanno trovato differenze significative nei livelli di testosterone tra i due gruppi, il che suggerisce che il contenuto violento del gioco non ha influenzato questo ormone legato alla dominanza e alla competizione.
In secondo luogo, i ricercatori hanno scoperto che i partecipanti che hanno giocato la parte violenta del gioco avevano livelli di cortisolo più bassi dopo il gioco rispetto a prima, il che indica una riduzione dello stress. Al contrario, i partecipanti che hanno giocato la parte non violenta del gioco non hanno mostrato cambiamenti significativi nei livelli di cortisolo.
Questo risultato è interessante perché il cortisolo è un ormone che viene rilasciato in situazioni di pericolo o minaccia, preparando l’organismo alla reazione di “lotta o fuga”. Livelli elevati e prolungati di cortisolo possono avere effetti negativi sulla salute fisica e mentale, come l’ipertensione, l’ansia, la depressione e l’immunosoppressione, pertanto, il fatto che i videogiochi violenti possano abbassare i livelli di cortisolo potrebbe avere delle implicazioni positive per il benessere dei giocatori.
Ma perché i videogiochi violenti hanno questo effetto? I ricercatori hanno ipotizzato che ciò possa essere dovuto al fatto che i videogiochi violenti offrono ai giocatori un’esperienza di sfida e di controllo, che li fa sentire competenti e autonomi. Questi sono due dei tre bisogni psicologici fondamentali secondo la teoria dell’autodeterminazione, una delle teorie più influenti nella psicologia della motivazione.
Soddisfare questi bisogni può portare a una maggiore autostima, a una minore frustrazione e a una maggiore resilienza.
Inoltre, i ricercatori hanno osservato che i partecipanti che hanno giocato la parte violenta del gioco avevano anche una maggiore preferenza per le armi rispetto a quelli che hanno giocato la parte non violenta, come misurato dal test di associazione implicita. Questo risultato potrebbe indicare che i videogiochi violenti attivano dei processi di apprendimento associativo, che fanno sì che i giocatori associno le armi a dei rinforzi positivi, come il divertimento, la soddisfazione e il successo. Questo potrebbe spiegare perché alcuni giocatori trovano i videogiochi violenti più attraenti e gratificanti di altri.
Infine, i ricercatori hanno esaminato il ruolo della personalità dei partecipanti, in particolare dei tratti della “Tetrade Oscura”. Essi hanno scoperto che i partecipanti che avevano punteggi più alti di narcisismo, psicopatia, sadismo e machiavellismo avevano anche una maggiore preferenza per le armi e una maggiore riduzione dei livelli di cortisolo dopo aver giocato la parte violenta del gioco. Questo suggerisce che i tratti della “Tetrade Oscura” possano moderare l’effetto dei videogiochi violenti, rendendo alcuni giocatori più sensibili e recettivi al contenuto violento.
Lo studio di Wagener e colleghi è uno dei primi a esaminare gli effetti fisiologici e psicologici dei videogiochi violenti in modo integrato e multidimensionale, con i suoi risultati che mostrano come i videogiochi violenti non sono necessariamente dannosi per i giocatori, ma possono anzi avere degli effetti benefici, come la riduzione dello stress.
Tuttavia, lo studio ha anche delle limitazioni, come il campione ridotto e omogeneo, composto solo da uomini, e la durata limitata dell’esposizione al gioco. Pertanto, sono necessarie ulteriori ricerche per confermare e approfondire i risultati ottenuti e per esplorare le variabili che possono influenzare la relazione tra i contenuti dei videogiochi e il comportamento dei giocatori.
In conclusione, lo studio di Wagener e colleghi offre una prospettiva nuova e sfumata sul dibattito sui videogiochi e la violenza. I videogiochi sono una forma di arte e di cultura che possono avere effetti diversi a seconda del contesto, della personalità e delle motivazioni dei giocatori. Non si può quindi generalizzare e demonizzare i videogiochi violenti, ma bisogna considerarli come una risorsa potenziale per il divertimento, l’apprendimento e il benessere dei giocatori.
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