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Violenza sulle donne, io mi vergogno

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di Massimo Zito

Appartengo alla generazione che, nata negli anni ’60 e cresciuta nei ’70 e negli ’80 ha visto nascere, crescere ed affermarsi l’emancipazione femminile, la parità di diritti, la possibilità per una donna di realizzarsi senza dover chiedere il permesso a padre, marito o fidanzato. Appartengo ad una generazione cui i genitori insegnavano che “le donne non si toccano nemmeno con un fiore“, che pensava che le donne fossero uguali agli uomini in tutto e per tutto con il bonus di essere desiderabili e farci sentire felici avendone una accanto. Non solamente per gli indubbiamente piacevoli risvolti sessuali di una relazione, ma anche per quella cosa chiamata amore che, secondo le nostre idee, non significava più che la donna passava dalla potestà di un padre-padrone a quella di un marito-padrone.

Appartengo a quella generazione che ha potuto godere del privilegio di poter uscire apertamente con una ragazza anche senza averla prima sposata e senza che questa venisse considerata una poco di buono. Siamo quella generazione che ha potuto avere il sesso prima del matrimonio senza che per la donna fosse una vergogna o la condanna ad essere considerata una “facile“.

Insomma, abbiamo avuto tutto il meglio delle donne, abbiamo potuto imparare nella pratica della vita reale quanto una donna debba essere considerata per la sua mente e per la sua personalità prima, e non soltanto, che per il suo aspetto fisico. Per noi la donna era diventata una persona e non soltanto una fattrice, una macchina per generare i nostri eredi.

Eppure abbiamo sbagliato qualcosa, forse più di qualcosa.

Io mi vergogno.

Secondo le statistiche, in Italia, una donna su tre ha subito una qualche forma di violenza, non solo da estranei ma anche dalle persone di cui dovrebbe fidarsi maggiormente: padri, fidanzati, mariti e parenti vari. Ma in tutto il mondo la violenza sulle donne, la cosiddetta violenza di genere risulta pericolosamente in crescita.

E la violenza di genere non avviene solo ad opera di immigrati che arrivano da culture in cui le donne sono ancora considerate poco più che oggetti utili sostanzialmente a produrre figli e a soddisfare l’uomo. Perché è vero, in alcune culture le donne vivono ancora nel medioevo, subordinate all’uomo e ai suoi capricci e cattiverie. Culture in cui è ammessa la mutilazione genitale per le donne affinché non provino piacere nei rapporti e non siano tentate dalla lussuria. In India lo stupro di donne giovani e meno giovani è ormai un fatto quotidiano che neppure fa più notizia, ma è in tutto il mondo che la tendenza ormai sembra essere quella di sdoganare violenza e molestie sulle donne come un qualcosa di quasi fisiologico ed ineluttabile.

Da noi non sono solo gli stranieri provenienti da realtà arretrate e culturalmente primitive ad esercitare violenza e molestie, ci sono anche tanti italiani, sempre più numerosi. Non troppo tempo fa si rese necessario approvare una legge specifica che sanzionasse in modo specifico il femminicidio ed un’altra per tentare di scoraggiare lo stalking, quella pratica per cui un uomo rifiutato si sente autorizzato a perseguitare in tutti i modi la donna oggetto delle sue brame.

Certo, la violenza sulle donne è sempre esistita, c’è sempre stato chi ha considerato la maggiore forza bruta di cui è dotato l’uomo come l’implicita autorizzazione naturale a tentare di esercitare un dominio fisico e psicologico sulla donna. Ma la mia generazione, o almeno la gran parte, pensava che tutto questo fosse da superare, che la donna dovesse essere vissuta come una compagna, un’alleata di fronte alle sfide della vita, qualcuno con cui stabilire strategie e progetti, programmare e sperare, e non come un orpello cui concedere le briciole di felicità ma su cui sfogare le proprie frustrazioni e mancanze.

E allora abbiamo sbagliato qualcosa.

Non sono solo gli stranieri, seguaci di religioni antiquate e anacronistiche o provenienti da culture ancorate ad un patriarcato di medievale memoria. Molto spesso sono i nostri figli a massacrare di botte le fidanzatine, ad ucciderle in nome di un irriconoscibile senso dell’onore, a pretendere che queste ragazze-donne siano oggetti del loro volere e dei loro desideri, a prescindere dalla loro volontà. E abbiamo sbagliato non solo con i nostri figli maschi ma anche con le figlie femmine, troppo spesso disposte, in nome di un distorto senso dell’amore, a giustificare le violenze, anche le peggiori, loro usate da persone care. Avremmo dovuto insegnare loro a denunciare subito certi comportamenti, scoraggiarli sul nascere.

Siamo stati genitori disattenti che oggi non riconoscono più i loro figli, ci siamo creati un’immagine sbagliata di loro proiettando noi stessi su di loro e non abbiamo tenuto presente come stava cambiando il mondo intorno a noi e, soprattutto, a loro. I nostri figli sono cresciuti non solo con la liberalizzazione sessuale ma con la liberalizzazione del porno, grazie ad internet accessibile a tutti. Oggi anche un bambino di dieci anni provvisto di smartphone può accedere a siti internet dove assiste alle peggiori perversioni, allo sfruttamento della donna e del suo corpo, mercificata ed asservita alle più bieche fantasie. E senza filtri, senza un’adeguata preparazione, senza che noi si sia sentito l’obbligo, e si sia stati capaci, di preparare ad osservare e vivere nel modo giusto certe cose.

Certo, la colpa non è solo della liberalizzazione del porno e di una sessualità vissuta sempre più precocemente e liberamente nell’ignoranza, e  spesso nell’indifferenza, di noi genitori. La colpa è anche nel lassismo generale che si è impadronito della nostra società.

Le leggi ci sono. In teoria stupri, violenze e molestie potrebbero essere severamente punite in base alle leggi vigenti, ma poi un intero paese, sindaco compreso come accadde a Montalto di Castro alcuni anni fa, si schiera con il branco di minorenni stupratori perché il branco era composto dal fior fiore dei rampolli della buona borghesia locale e lei era “una poco di buono di un paese vicino che provocava con il suo modo di fare e con il suo abbigliamento“. O come è accaduto a Firenze pochi giorni fa, dove due carabinieri in servizio avrebbero approfittato (il condizionale è d’obbligo nell’attesa che i fatti siano accertati) di due turiste alticce e drogate. Leggendo i giornali è facile notare come si ponga particolarmente l’accento sul fatto che le ragazze non fossero troppo in sé e che potrebbero avere provocato i due militari, e si dimentica che gli stessi erano in servizio e non avevano alcuna ragione per accompagnare le due turiste a casa con l’auto di servizio e tanto meno per entrare nella loro casa.

A prescindere dalla volontà delle due ragazze, quei due carabinieri non avrebbero dovuto mai trovarsi in quella situazione.

Eppure, siamo tornati a leggere che “l’uomo è uomo e se la donna si mette in condizione vuol dire che se la cercava” come se fosse normale che un uomo debba cedere al desiderio di soddisfare gli impulsi dettati da quel pezzetto di carne che gli pende in mezzo alle gambe al di là delle regole, dell’educazione e del proprio dovere di uomo e di tutore della legge.

E ci ritroviamo a leggere su un quotidiano nazionale come se fosse una cosa normale i particolari, come in un romanzo pornografico, della doppia penetrazione subita da una turista violentata in spiaggia da un branco di uomini che non si possono non definire animali. Certo, quelli erano “negri“, arrivano da una subcultura ma i figli di buona famiglia che violarono la ragazza a Montalto di Castro erano italiani.

Poi leggiamo che “la violenza fa un po’ male all’inizio ma poi la donna si eccita e gode come in un rapporto normale“.

Poi leggiamo che intervengono gli assistenti sociali e che i ragazzi sono pentiti e non costituiscono un pericolo perché non lo rifaranno ed i giudici, invece di applicare il massimo della pena con le aggravanti relative all’aver agito in branco per usare violenza, usa la mano leggera e commina uno o due anni di servizi sociali che poi saranno pure ulteriormente alleggeriti, perché si sono “comportati bene” durante il periodo di osservazione.

I negri sono negri e quindi due o tre anni di galera non glieli leva nessuno ma poi usciranno lindi e pinti e, come i loro coetanei italiani, potranno condurre una vita normale, mentre alle ragazze nessuno restituirà più la spensieratezza di un tempo. Dovranno convivere tutta la vita con l’orrore della violenza subita e con le sue conseguenze psicologiche. Conseguenze di cui ci importa solo a parole se è vero che, in nome del politically correct e della supposta necessità di recuperare invece di punire, alla fine si trovano tutte le giustificazioni per chi compie un atto di prepotenza e prevaricazione, senza minimamente pensare alle conseguenze per sé stesso e per la vittima, come se fosse un giocattolo che si può buttare una volta rotto, senza il minimo rimpianto.

Sono decine e decine le violenze riportate dagli organi di stampa solo negli ultimi mesi e chissà quanti sono i casi di violenza e molestie non denunciati per paura di finire alla berlina, alla gogna mediatica e ritrovarsi, da vittima, anche a doversi vergognare.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo mondo che stiamo consegnando ai nostri figli, c’è qualcosa che abbiamo sbagliato malamente e a cui sarà difficile porre rimedio ma abbiamo il dovere di provarci a raddrizzare la rotta. Abbiamo il dovere di pretendere la massima severità verso i reati contro la persona, soprattutto nel caso in cui la persona sia una donna. Abbiamo il dovere di difendere le nostre figlie dai nostri figli, dobbiamo fare in modo che la certezza di una pena severa disincentivi certi comportamenti e dobbiamo, fin da subito, provvedere già dentro le nostre case a correggere l’errore, a chiarire che le nostre figlie hanno diritto allo stesso rispetto dei nostri figli.

Sono bambine, ragazze, donne, non è vero che sono tutte puttane tranne la mamma, la moglie e le figlie. Sono donne, sono persone, hanno diritto a dignità, rispetto e protezione come qualsiasi altro membro della società, nei fatti, non solo a parole.

Chiunque usi loro violenza, di qualsiasi tipo, dal femminicidio allo stupro passando per le botte e le molestie verbali, deve essere punito con la massima severità e condannato pubblicamente, sia all’interno della famiglia che, soprattutto, dalla giustizia che, come si sa, non ammette ignoranza e deve essere uguale per tutti.

Uno stupratore non ha commesso una ragazzata, ha rovinato la vita di una donna, di una persona, per sempre.

Quindi nessuna pietà e nessuna comprensione.

Aggiornamento del 10 novembre 2017: L’unico maggiorenne del gruppo che stuprò la ragazza polacca e la trans peruviana a Rimini la scorsa estate è stato condannato, con il rito abbreviato, a 16 anni di carcere e all’espulsione dal nostro paese a fine pena. Gli altri componenti del gruppo, tutti minorenni, hanno ancora il procedimento in corso.

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