L’universo che abitiamo è composto da un numero enorme di galassie. Non sappiamo con certezza quante esse siano perché riusciamo a vedere solo una parte dell’universo e c’è una parte di esso da cui la luce non ci ha ancora raggiunto e altre parti da cui non ci rggiungerà mai.
L’universo osservabile sembra contenere probabilmente più di 100 miliardi di galassie
Tuttavia, secondo nuove ricerche, il numero sarebbe più alto di almeno dieci volte e oltre il 90% di esse non sarebbero rilevabili con i telescopi di cui disponiamo oggi, ancora troppo poco potenti.
Perché oggi vediamo così tante strutture nell’universo e come si sono evolute?
Misurazioni effettuate per 10 anni utilizzando il Magellan Baade Telescope all’Osservatorio di Las Campanas in Cile, eseguite su decine di migliaia di galassie hanno fornito un nuovo approccio che tenta di rispondere a questo mistero.
I risultati ottenuti da Daniel Kelson dell’università di Carnegie, sono pubblicati su Monthly of the Royal Astronomical Society. “Come descrivi l’indescrivibile?” si domanda Kelson. “Adottando un approccio completamente nuovo al problema”.
“La nostra tattica fornisce nuove e intuizioni su come la gravità ha guidato la crescita della struttura fin dai primi tempi dell’universo”, ha dichiarato il co-autore Andrew Benson. “Questo è un test diretto e basato sull’osservazione di uno dei pilastri della cosmologia”.
L’indagine Redshift Carnegie-Spitzer-IMACS è stata progettata per studiare la relazione tra la crescita delle galassie e l’ambiente circostante negli ultimi 9 miliardi di anni. Le prime galassie si formarono poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, a partire da un punto denso e caldissimo che ha generato tutte le particelle.
Mentre l’universo neonato si espandeva e si raffreddava, tutta la materia, composta prevalentemente da idrogeno con qualche traccia di elio, si condensava sotto forma di immense nubi, alcune più dense di altre che per gravità hanno formato le fondamenta del cosmo che osserviamo.
Queste differenze di densità hanno permesso a tutte le strutture di nascere in determinati luoghi piuttosto che in altri, sono state per lungo tempo argomento di affascinante dibattito.
Come si sono sviluppate queste strutture nel corso di 13 miliardi di anni?
Fino ad oggi gli astronomi non lo hanno scoperto a causa di notevoli limiti matematici. “Le interazioni gravitazionali che si verificano tra tutte le particelle nell’universo sono troppo complesse per essere spiegate con la semplice matematica”, ha chiarito Benson.
Le approssimazioni matematiche usate dagli astronomi hanno compromesso l’accuratezza di modelli come le simulazioni computerizzate che creano rappresentazioni matematiche delle interazioni tra le galassie senza prendere in considerazione le interazioni tra tutte le particelle che renderebbero il tutto troppo complesso.
“Un obiettivo chiave della nostra analisi è stato quello di contare la massa presente nelle stelle trovate in un’enorme selezione di galassie distanti e quindi utilizzare queste informazioni per formulare un nuovo approccio per comprendere come si è formata la struttura nell’universo”, ha spiegato Kelson.
Il team di ricerca, che comprendeva anche Louis Abramson del Carnegie, Shannon Patel, Stephen Shectman, Alan Dressler, Patrick McCarthy e John S. Mulchaey, così come Rik Williams di Uber Technologies, ha dimostrato per la prima volta che la crescita delle proto-strutture possono essere calcolate e quindi mediate su tutto lo spazio.
I ricercatori hanno scoperto che le regioni di gas più dense sono cresciute più velocemente di quelle con densità inferiore. Lavorando a ritroso, il team ha determinato la distribuzione originale e i tassi di crescita delle fluttuazioni della densità, che alla fine sarebbero diventate le strutture su larga scala che hanno determinato la distribuzione delle galassie che osserviamo oggi.
Un lavoro che ha dato una descrizione semplice, ma allo stesso tempo accurata di come le fluttuazioni di densità crescono simulando l’universo reale, così come i calcoli alla base della nostra comprensione dell’infanzia dell’universo. Questi risultati non sarebbero stati possibili senza un grande numero di notti di osservazione a Las Campanas.
“Molte istituzioni non avrebbero avuto la capacità di affrontare da sole un progetto di questo tipo”, ha dichiarato il direttore degli osservatori John Mulchaey. “Ma grazie ai nostri telescopi Magellan, siamo stati in grado di eseguire questo sondaggio e creare questo nuovo approccio per rispondere a una domanda classica”.
“Sebbene non ci siano dubbi sul fatto che questo progetto richiedesse le risorse di un’istituzione come il Carnegie, il nostro lavoro non avrebbe potuto svolgersi senza l’enorme numero di ulteriori immagini a infrarossi che siamo riusciti a ottenere a Kit Peak e Cerro Tololo, che fanno entrambi parte del laboratorio nazionale di ricerca sull’astronomia a infrarossi ottici del NSF “, ha concluso Kelson.
Fonte: Daniel D Kelson et al, Gravity and the non-linear growth of structure in the Carnegie-Spitzer-IMACS Redshift Survey, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (2020). DOI: 10.1093/mnras/staa100