Un nuovo studio ripreso dal Financial Times denuncia che un articolo su cinque pubblicato su riviste pseudoscientifiche online potrebbe contenere dati falsi e che si tratta spesso di lavori prodotti da vere e proprie “fabbriche” che vengono pagate per redigere presunti contributi scientifici.
Lo studio ha inoltre scoperto che la maggior parte delle false ricerche proviene dalla Cina.
Il lavoro è stato guidato dal professor Bernhard Sabel, che dirige l’Istituto di psicologia medica presso l’Università Otto von Guericke di Magdeburgo.
Falsa scienza
“L’editoria scientifica falsa è forse la più grande truffa scientifica di tutti i tempi, che spreca risorse finanziarie, rallenta il progresso medico e forse mette in pericolo vite umane“, ha affermato Sabel.
Gli investigatori indipendenti valutano eventuali frodi scientifiche analizzando principalmente il contenuto degli articoli e cercando, ad esempio, immagini manipolate e sequenze genetiche non plausibili.
I ricercatori tedeschi hanno affrontato questo compito in modo diverso: identificando semplici alert riguardo l’affidabilità dei contenuti che non richiedono un esame dettagliato del documento stesso, come l’uso di indirizzi di posta elettronica privati piuttosto che istituzionali.
Attraverso questo approccio, hanno scoperto che il numero di pubblicazioni inattendibili in biomedicina è aumentato dal 16% nel 2010 al 28% nel 2020. Sabel ha stimato che circa 300.000 articoli all’anno sono falsi.
I ricercatori hanno ulteriormente studiato le tecniche utilizzate da un settore i cui ricavi annuali sono stati stimati tra i 3 ei 4 miliardi di dollari.
IA sofisticata
“Chi scrive questi articoli sembra, in genere, utilizzare sofisticate tecnologie di generazione di testo supportate dall’intelligenza artificiale, manipolazione di dati, statistiche e tecnologie di fabbricazione, pirateria di immagini e testo“, affermano i ricercatori nello studio.
“Si prospetta una vera e propria gara tra le fabbriche di articoli pseudoscientifici e coloro che cercheranno di rilevarli, con entrambe le parti che usano l’intelligenza artificiale“, ha detto al Financial Times il professor Gerd Gigerenzer dell’Università di Potsdam, psicologo e coautore dell’articolo.
Jennifer Byrne, professoressa di oncologia presso l’Università del New South Wales e investigatrice di spicco, che non era coinvolta nel progetto, ha dichiarato: “È uno studio importante perché sono stati pubblicati pochissimi studi su così vasta scala. Sta indicando un problema enorme“.
Il documento è stato pubblicato come prestampa su MedRxiv.