Potrebbe sembrare strano ma in quasi tutte le parti del mondo il folklore mitologico delle varie culture tramanda qualche storia relativa ai draghi. Le antiche leggende dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe presentano tutte la figura di una creatura simile a un coccodrillo con lunghi artigli e uno sguardo feroce negli occhi.
La domanda che balza alla mente di fronte a questo fenomeno è: perché un numero significativo di civiltà evoca in modo indipendente il mito del drago nonostante un animale simile non sia mai esistito nella realtà?
In primo luogo, è un po’ riduttivo presumere che tutti i draghi siano uguali. I draghi dell’Europa medievale sono spesso bestie simili a lucertole sputafuoco con corpi forti, ali simili a pipistrelli e corna, nell’accezione comune considerati esseri intelligenti, malvagi e straordinariamente avidi.
I racconti del folklore europeo spesso coinvolgono un eroe coraggioso che uccide il drago per strappargli il suo ricco tesoro fatto di gemme, oro e monete, oppure per liberare il regno dalla crudele bestia che terrorizza i cittadini. Tuttavia, anche all’interno delle raffigurazioni dei draghi europei, c’è una ricchezza di diversità.
Nella cultura dell’Asia orientale, il drago sembra che svolga un ruolo leggermente diverso. Spesso assumendo un’aura più mistica, i draghi sono usati come simbolo di potere, forza e buona fortuna. Un famoso drago della cultura cinese è Tianlong, il “drago celeste” che si diceva vagasse tra le nuvole e custodisse il paradiso.
La cultura mesoamericana ha un dio chiamato Quetzalcóatl, che significa “serpente piumato“. Questa divinità simile a un drago rivestiva un ruolo di primo piano nelle credenze spirituali di questo popolo e si pensava che avesse svolto un ruolo fondamentale nella creazione dell’umanità.
Le differenze esistono, ma le somiglianze tra i mostri mitologici sono notevoli se si considera che queste culture erano geograficamente separate e sperimentavano pochissimi scambi culturali al tempo della creazione dei miti.
Ci sono alcune idee su come sia nata questa evoluzione convergente di idee.
Adrienne Mayor, folclorista classica e storica della scienza antica presso la Stanford University, ha sostenuto che gli uomini antichi immaginavano creature mitiche, in particolare i grifoni, avendo visto ed interpretato erroneamente i fossili di creature estinte. In questa linea di pensiero, non è difficile immaginare di scoprire i resti preistorici di un Tyrannosaurus rex e credere che appartenesse a una terrificante bestia simile a un drago.
Un’altra teoria è che i draghi siano un archetipo sepolto nel profondo della mente umana. Nel libro An Instinct for Dragons, un antropologo dell’Università della Florida centrale, il dottor David E. Jones, sostiene che i miti sui draghi sono così comuni perché ci siamo evoluti per sviluppare un’impronta mentale duratura della memoria di pericolosi predatori.
L’archetipo del drago, sostiene Jones, presenta molti caratteri che i nostri primi antenati avevano imparato a temere innatamente negli animali selvatici. Questo istinto primordiale ha portato la nostra immaginazione a creare una creatura archetipica che fonde tutte le caratteristiche più feroci di un coccodrillo, un serpente, un rapace e un grosso felino.
Qualunque sia la ragione dietro la persistenza di questo mito onnipresente un po’ in tutto il mondo, i draghi hanno chiaramente una presa sulla fantasia delle persone. Pur non essendo mai esistiti, i draghi restano in circolazione nell’immaginario collettivo da migliaia di anni e continuano ad esercitare un incredibile fascino, tale da essere presi tuttora come spunto di romanzi e fiction. Restano infatti presenti in alcune delle opere di narrativa più popolari, che si tratti del romanzo di Tolkien Lo Hobbit dei ibri e dei film legati alla saga di Harry Potter, o della serie di gran successo televisivo Game of Thrones e dei suoi spin-off o dei Pokemon.