Come capire se alcuni esopianeti potrebbero avere atmosfere favorevoli alla vita e quali sono, invece, “rocce morte”? Un nuovo studio ha prodotto un’analisi statistica su larga scala dei dati sui brillamenti raccolti a intervalli di 20 secondi dalla missione Tess della Nasa, misurando l’intensità delle energie emesse da stelle di diversa massa con diverse produzioni di energia. Lo studio sarà pubblicato su The Astrophysical Journal.
I super brillamenti sono da 10 a 1.000 volte più grandi dei brillamenti del nostro Sole
Quello che è emerso è che brillamenti più intensi sono più complessi di quanto osservato in precedenza e potrebbero avere implicazioni per lo sviluppo della vita sui pianeti vicini.
L’occhio di Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellite) lanciato nel 2018 per cercare pianeti al di fuori del nostro sistema solare, rileva il segnale di luce dei pianeti che periodicamente transitano davanti allo loro stella, oscurando quella parte della luce emessa dalle loro stelle ospiti. Le stelle nane M, che compongono circa il 70% delle stelle della nostra galassia sono più fredde e più deboli del Sole terrestre, ma sono soggette a super brillamenti esplosivi, da 10 a 1.000 volte più grandi dei brillamenti del nostro Sole.
“Molte di queste stelle nane rosse possono emettere brillamenti 1.000 volte più grandi di quelli del Sole e puoi solo immaginare cosa potrebbe accadere a un pianeta o alla vita sulla superficie”, ha affermato Ward Howard, ricercatore post-dottorato dell’Università del Colorado Boulder (CU Boulder )e primo autore dello studio.
I superflare potrebbero distruggere l’atmosfera di un pianeta vicino perché queste stelle potrebbero avere i loro esopianeti 20 volte più vicini alle loro stelle di quanto lo siamo noi al Sole.
I dati di Tess rivelano gli elementi costitutivi dell’emissione di brillamenti e informano quanta radiazione raggiunge i pianeti durante i brevi picchi dei brillamenti.
Tess ha acquisito dati ogni due minuti, una frequenza sufficiente per rilevare esopianeti ma insufficiente per raccogliere dati dettagliati sull’incidenza dei brillamenti stellari che colpiscono quei pianeti.
“I brillamenti sono “super complicati” e derivano da campi magnetici aggrovigliati che rilasciano enormi esplosioni di radiazioni e particelle cariche”, ha commentato Meredith MacGregor, assistente professore di scienze astrofisiche e planetarie alla Cu Boulder.
“Se lo studio ha determinato la comprensione della frequenza e delle intensità delle radiazioni degli eventi osservati, non siamo ancora in grado di determinare quanta radiazione raggiunge i pianeti durante il picco dei super brillamenti e cosa questo comporti”, ha aggiunto Howard.
Si resta in attesa, dicono gli autori, che il James Webb Telescope, lanciato lo scorso 25 dicembre, entri in funzione per ottenere informazioni sulle prime fasi dell’Universo oltre che indagare sulle atmosfere degli esopianeti.