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Sinkiti e floatiti: l’inversione degli strati che smentisce le leggi della stratigrafia

Una nuova scoperta nel Mare del Nord rivela un processo di dinamica geologica su vasta scala: le sinkiti (sabbie affondate) e le floatiti (fanghi risaliti). Questo ribaltamento tra strati giovani e vecchi, probabile conseguenza della liquefazione innescata da terremoti, smentisce le comuni assunzioni sull'ordine dei sedimenti, con chiare implicazioni per la geologia applicata e la sicurezza ambientale

I ricercatori hanno recentemente mappato, nelle profondità del Mare del Nord, giganteschi tumuli sepolti e sinkiti che mettono in discussione un principio fondamentale della geologia. Un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria ha dimostrato un processo inusuale: le sabbie pesanti e più giovani sono sprofondate, mentre gli strati più vecchi e più leggeri sono risaliti, creando delle colline nascoste sotto il fondale marino.

Sinkiti e floatiti: l'inversione degli strati che smentisce le leggi della stratigrafia
Sinkiti e floatiti: l’inversione degli strati che smentisce le leggi della stratigrafia

L’inversione degli strati geologici

Normalmente, i geologi si affidano alla legge secondo cui gli strati più vecchi si trovano sempre al di sotto di quelli più giovani, a meno che le rocce non siano state completamente rovesciate da un evento catastrofico. Nel caso del Mare del Nord, questa regola viene infranta localmente: la sabbia densa viene attivamente spinta verso il basso, mentre il materiale più leggero risale in un processo di inversione.

Il team di ricerca ha utilizzato un vasto set di dati sismici tridimensionali combinato con prove provenienti da numerosi pozzi di trivellazione per dimostrare che questi cumuli occupano un’area impressionante di circa 19.000 miglia quadrate. Questo studio non solo evidenzia un processo che può sconvolgere il consueto ordine stratigrafico, ma è destinato a cambiare il modo in cui gli scienziati valutano la sicurezza e l’idoneità dei siti potenziali per lo stoccaggio di carbonio catturato.

La spinta idrostatica e il ruolo dei terremoti

L’inversione osservata nel Mare del Nord coinvolge due strati principali: lo strato superiore più leggero, chiamato melma o fango duro e poco denso, si è formato dai resti di minuscole forme di vita marina. Lo strato inferiore e più pesante è composto da sabbia più giovane e sciolta, che si è depositata attraverso fessure e si è poi diffusa, sostenendo dal basso le zattere di melma.

Questa dinamica crea una vera e propria inversione stratigrafica, un capovolgimento dell’ordine di sovrapposizione atteso. Il team di ricerca ha denominato i corpi sabbiosi affondati come sinkiti e i blocchi di fango risaliti come floatiti.

Queste strutture non possono essere spiegate come semplici frane o intrusioni di sabbia standard, poiché la loro scala, forma e relazione con le fratture nel fango indicano una causa diversa. Il processo chiave è la liquefazione: durante forti scosse, la sabbia bagnata può perdere la sua resistenza e muoversi come un fluido. Se questa sabbia liquefatta si trova sopra uno strato più rigido ma meno denso, il denso strato sabbioso tende ad affondare e il materiale più leggero tende a salire.

Questa azione di spinta e trazione genera un’instabilità dovuta alla spinta idrostatica. Il fango, tagliato da un naturale modello poligonale di piccole faglie, si rompe in zattere che si sollevano mentre la sabbia si incanala lungo le fratture. I terremoti avvenuti nella regione milioni di anni fa hanno probabilmente innescato più cicli di movimento. Ogni impulso sismico avrebbe causato l’affondamento di ulteriore sabbia e il sollevamento di melma fino all’esaurimento dell’energia e al blocco del sistema.

Le riflessioni sismiche rivelano confini netti tra la melma e le intrusioni di sabbia, e le zone a cumulo sono limitate a una porzione specifica della roccia, con gli strati superiori e inferiori che rimangono per lo più indisturbati. Inoltre, in alcuni punti, sottili fratture riempite di sabbia collegano le intrusioni sottostanti alle sabbie sovrastanti, un chiaro segno di un movimento verso il basso anziché di sabbia iniettata da grandi profondità. A supporto di questa conclusione vi è anche la corrispondenza nella composizione chimica e granulare di alcune sabbie sepolte con quelle degli strati sovrastanti.

I cumuli formano creste e baccelli la cui geometria sulla mappa riflette la dimensione e l’orientamento delle faglie poligonali circostanti. Questa conformazione si allinea perfettamente con l’ipotesi di sabbia che sprofonda lungo reti di fratture mentre le zattere di fango si sollevano tra di esse.

Dalle sinkiti al modello globale

Gli ingegneri stanno già iniettando anidride carbonica in una vasta arenaria del Mare del Nord, nota come Utsira, nell’ambito del progetto a lungo termine Sleipner. Qualsiasi nuovo processo geologico che comporti lo spostamento di fluidi o strati nel sottosuolo è cruciale per la selezione di obiettivi di stoccaggio che siano sicuri e durevoli. Comprendere se la sabbia possa muoversi e se le sigillature rimangano ermetiche è fondamentale per i progettisti, che devono stimare il comportamento a lungo termine e identificare le aree da evitare per le iniezioni o da monitorare con maggiore attenzione.

Sebbene le riserve di spazio poroso nel Mare del Nord siano enormi, la sicurezza definitiva dipende dalle caratteristiche rocciose specifiche di ogni sito. Risultati come quelli dello studio affinano la checklist utilizzata per valutare la sicurezza dello stoccaggio.

Mads Huuse, geofisico dell’Università di Manchester a capo dello studio, ha affermato: “Questa scoperta rivela un processo geologico mai osservato prima su questa scala. Questa ricerca mostra come fluidi e sedimenti possano muoversi nella crosta terrestre in modi inaspettati”. I dati raccolti supportano un modello in cui la sabbia affondava come una poltiglia, mentre la melma risaliva come zattere rigide. Ciononostante, gli scienziati si propongono di indagare sulla frequenza con cui si verifica questo ribaltamento, sulle dimensioni massime che le unità possono raggiungere e sui livelli di scossa necessari per innescare il movimento.

Un’altra questione aperta riguarda la tempistica, con le prove che suggeriscono che l’attività si sia concentrata nel tardo Miocene e nel Pliocene, sebbene l’esatta sequenza di impulsi e pause vari a seconda del bacino. I geologi che mappano i paesaggi sepolti usano forma, consistenza e contesto per classificare le strutture. Le sinkiti aggiungono una nuova categoria con impronte digitali uniche, come i bordi seghettati dove la sabbia riempie le fratture poligonali.

Per i progetti industriali e di stoccaggio, il lavoro fornisce nuovi strumenti per individuare zone dove i contrasti di densità hanno precedentemente riorganizzato la stratigrafia, mettendo in guardia dal presupporre che tutte le sabbie spesse si siano formate dove si trovano attualmente. Le future indagini si concentreranno su altri margini continentali, dove il fango biogenico leggero si deposita sotto la sabbia più giovane.

Se strutture simili emergessero altrove, il processo non sarebbe una peculiarità del Mare del Nord, ma parte di un modello geologico più ampio. Ulteriori test di laboratorio e modelli computerizzati saranno essenziali per esplorare come la sabbia liquefatta si muove attraverso strati fratturati, trasformando un’osservazione sorprendente sul campo in regole predittive sull’inversione stratigrafica.

Lo studio è stato pubblicato su Communications Earth and Environment.

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