Anticonformista, ribelle, libera da schemi e pregiudizi, prima vera femminista della letteratura italiana: tutto questo e molto di più fu Sibilla Aleramo, al secolo Rina Faccio, scrittrice e poetessa tra le più intense e attive del XX secolo.
La vita
Nata ad Alessandria il 14 agosto 1876, trascorse l’infanzia a Milano e l’adolescenza a Porto Civitanova Marche. Dal padre, un insegnante di scienze, ereditò lo spirito libero e anticonformista, mentre sua madre terminò i suoi giorni in un manicomio nel 1917, dopo avere tentato il suicidio e aver trascorso gran parte della sua vita lottando contro la malattia mentale e la depressione. A soli 15 anni venne violentata da uno degli impiegati della fabbrica dove lavorava, e le convenzioni sociali dell’epoca la costrinsero a sposare il suo stupratore, dal quale poi ebbe anche un figlio, Walter. Nemmeno la nascita del bambino riuscì a sollevarla dalla consapevolezza di vivere con un marito gretto e oppressivo in un ambiente di provincia, tanto da arrivare a tentare il suicidio. Fu questo evento però a darle la spinta necessaria a cambiare la propria vita, iniziando a interessarsi alla scrittura e alla causa femminista, che timidamente entrava a far parte del dibattito politico e culturale italiano dell’epoca.
Infatti il ruolo della donna nella società sino ad allora, consisteva unicamente nell’essere moglie e madre sacrificando se stesse alla famiglia, in una posizione di subordinazione rispetto al padre e al marito.
Qualcosa però stava cambiando: in Italia la condizione femminile iniziava a evolvere grazie al passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, con il graduale inserimento delle donne nel tessuto economico e sociale, aldilà dei confini delle quattro mura domestiche, sebbene il cambiamento vero e proprio si avrà soltanto negli anni Sessanta con il boom economico.
Sicuramente un grosso aiuto in questa direzione arrivò dall’istruzione, poiché già nella prima metà del Novecento, nelle famiglie borghesi si stava diffondendo la consuetudine di consentire anche alle ragazze di frequentare le scuole superiori negli istituti pubblici. E’ in questo contesto che si inserisce l’aumento di nomi femminili legati alla produzione letteraria, tanto da non essere più considerate dei casi isolati, ma delle voci degne di essere ascoltate tanto quanto quelle dei colleghi uomini. D’altronde quelli erano anche gli anni in cui in Inghilterra consolidava sempre di più la sua autorità in materia di letteratura e saggistica Virginia Woolf che, in Una stanza tutta per sè aveva scritto che “una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere”. E i cambiamenti sociali in atto all’epoca iniziavano a mettere le donne in condizione di avere entrambe le cose.
Una voce fuori dal coro
L’Italia dunque non rimase priva di scrittrici, e il loro apporto inizia a farsi sentire forte e chiaro: nomi come Elsa Morante, Grazia Deledda o Matilde Serao iniziano a circolare negli ambienti della cultura dell’epoca, ed è questo il contesto in cui si inserisce Sibilla Aleramo. Nel 1902 abbandona il marito e l’amatissimo figlio per trasferirsi a Roma, e fuggire da una realtà opprimente e provinciale; grazie a questa decisione inizierà il suo cammino verso l’affermazione e l’emancipazione, diventando portavoce del femminismo in Italia su due fronti: la letteratura e le battaglie sociali come la rivendicazione del diritto di voto e la parità tra i sessi.
La scrittura di Sibilla Aleramo è fortemente autobiografica, con i suoi numerosi amori passionali e tormentati – uno su tutti, quello col poeta de “I canti orfici” Dino Fontana – dirompente e desiderosa di affermare la propria identità e il diritto alla libertà di essere. In ogni parola che scrive analizza le più profonde sfaccettature dell’animo femminile e della vita familiare, rivendicando sempre il coraggio di scegliere il proprio destino ad ogni costo. Autobiografico è il romanzo Una donna, pubblicato nel 1906, grande successo in Italia e nel mondo, che la fece entrare di diritto nell’Olimpo degli autori italiani più influenti dell’epoca.
Da donna passionale quale era, visse anche l’impegno politico con intensità, abbracciando l’ideale comunista, ma senza però mai mettere da parte il suo amore per la scrittura: nel 1927 pubblicò la sua seconda opera più importante, Amo, dunque sono, una raccolta di lettere mai spedite, scritte a Giulio Parise, con il quale ebbe una relazione.
Questa coerenza negli ideali di una vita la accompagnò fino alla fine, che sopraggiunse a Roma il 13 gennaio del 1960, dopo una lunga malattia.
Sibilla Aleramo riposa presso il cimitero del Verano, prima vera portavoce del dibattito sulla questione femminile in Italia, capace di rendere la propria stessa esistenza un’opera letteraria, nata libera e rimasta libera, fino all’ultimo giorno.