Il rilevamento di una nuova serie di Fast Radio Burst (che alcuni scienziati ipotizzano essere la prova di lontanissime attività aliene) e la recente intervista rilasciata da un astrofisico di Harvard a proposito dell’oggetto interstellare ‘Oumuamua, hanno riacceso l’interesse sul dibattito se siamo o meno soli nell’universo.
Una nuova inchiesta pubblicata su Nature ha esaminato le raffiche radio veloci, un mistero astronomico che alcuni hanno sostenuto potrebbe essere di origine artificiale. Fu nel 2007 che rilevammo le prime raffiche radio veloci, o Fast Radio Burst, ma gli attuali aggiornamenti tecnologici ci hanno permesso di rilevarne di nuove e confermare che alcune si ripetono. L’origine di questi segnali ripetuti è sconosciuta, portando alcuni scienziati a ipotizzare che potrebbero avere un’origine aliena.
Pochi giorni dopo, il professore e presidente del dipartimento di astronomia di Harvard, Avi Loeb, ha sostenuto in una nuova intervista che l’oggetto interstellare Oumuamua, che ha attraversato il nostro sistema solare nel 2017-2018, potrebbe essere una vela solare realizzata da un’antica civiltà.
Gran parte del disaccordo sembra radicato sui presupposti in base ai quali al vita potrebbe essere o meno comune nell’universo. Molti scienziati che pensano che lo spazio dovrebbe brulicare di vita aliena, tendono a trovare nell’esistenza degli alieni la spiegazione più probabile per un’ampia varietà di fenomeni astronomici; gli scienziati convinti che probabilmente siamo soli, tendono ad interpretare gli stessi dati in modo opposto.
Alcune delle deduzioni che possiamo ricavare dalla ricerca degli alieni hanno profonde implicazioni per il nostro mondo. In particolare, alcuni scienziati ritengono che non troviamo gli alieni a causa di un vero e proprio filtro contro cui si schiantano le civiltà quando arrivano ad un certo punto del loro sviluppo tecnico e pensano che studiare l’universo possa darci un segno di ciò che il futuro ci riserva.
Se c’è vita là fuori, è distante e difficile da individuare. Una civiltà aliena super sofisticata e tecnologicamente avanzata lascerebbe probabilmente tracce più visibili. Ad esempio, una civiltà che ha goduto di milioni di anni di innovazione tecnologica rispetto alla nostra potrebbe essere in grado di costruire sfere di Dyson (una struttura enorme che racchiude una stella per utilizzarla come fonte di energia) e inviare segnali e sonde ad esplorare l’universo che potrebbero essere facilmente identificabili per quello che sono. È difficile indovinare esattamente cosa farebbero, ma è molto improbabile che le loro azioni non lascino alcun segno rilevabile sull’universo.
Le tracce che abbiamo osservato finora non sono affatto vicine al tipo di prova che dimostrerebbe che esiste una civiltà extraterrestre. Ciò significa che potrebbero esserci ostacoli difficili da prevedere che impediscono lo sviluppo di civiltà galattiche avanzate o che distruggono tali civiltà prima che raggiungano una dimensione tale da poterle individuare. O potrebbe solo significare che la vita stessa è una coincidenza spettacolare.
Come chiarisce il caso Oumuamua, gli scienziati non sono d’accordo su come interpretare questi fenomeni in gran parte perché non sono d’accordo su quanto sia plausibile la vita aliena.
Da un certo punto di vista, l’universo è sorprendentemente grande, pieno di pianeti abitabili come la Terra, dove la vita potrebbe evolvere come ha fatto qui. Probabilmente, in alcuni casi, quella vita è evoluta verso l’intelligenza e quindi ci aspetteremmo che nell’universo vi siano molte civiltà fiorenti, così come molte estinte.
Questa è chiaramente l’aspettativa che motiva Avi Loeb. “Non appena lasceremo il sistema solare, credo che vedremo una grande quantità di traffico là fuori“, ha affermato nell’intervista rilasciata ad Haaretz. “Forse riceveremo un messaggio che dice: ‘Benvenuto nel club interstellare’. O scopriremo molte civiltà morte – cioè, troveremo i loro resti.“
Ovviamente, se si pensa che lo spazio sia pieno di alieni, non è troppo difficile interpretare i fenomeni astronomici come segni della presenza di alieni.
Allo stesso modo, se si guardano gli stessi dati con l’aspettativa che siamo soli nell’universo, è molto più probabile concludere che esiste una spiegazione naturale per le raffiche di radio veloci e Oumuamua.
Certo, è strano, dato che l’universo è così vasto, trovarci a pensare di essere soli in esso. Il fisico Enrico Fermi fu il primo a enunciare questo dilemma, che, infatti, prende il nome da lui: il paradosso di Fermi. Il paradosso consiste nel fatto che, in base ad alcune ragionevoli supposizioni su quanto spesso la vita abbia origine e raggiunga un certo livello tecnologico, dovremmo essere in grado di rilevare i segni di migliaia o milioni di altre civiltà. Eppure non li troviamo. Recenti indagini suggeriscono che il paradosso può avere una risoluzione banale: partendo da ipotesi più accurate su come la vita possa avere origine, siamo molto plausibilmente soli.
Ma restano ipotesi e continuiamo a non avere prove definitive né in un senso né nell’altro.
Il disaccordo tra i ricercatori che pensano che le civiltà avanzate debbano essere estremamente rare e coloro che pensano che siano comuni, è piuttosto sostanziale. Ma se le civiltà avanzate sono comuni, allora perché non le troviamo? Potremmo essere costretti a concludere che sono piuttosto di breve durata. Questo è il punto di vista di Loeb: “Il periodo durante il quale una civiltà potrebbe essere in grado di comunicare potrebbe essere molto breve. Le vele come Oumuamua potrebbero essere molte ma non avere più nessuno a cui trasmettere“.
Considerare come realistica questa ipotesi avrebbe alcune conseguenze anche per noi. Se c’è un pericolo che annienta le civiltà ad un certo punto del loro sviluppo tecnologico, potremmo essere prossimi a quel punto e finiremo per autodistruggerci a causa di qualche scoperta tecnologica che faremo a breve.
Ad esempio, i Fast radio Burst, potrebbero essere emissioni collegate all’utilizzo di un qualche tipo di energia o di tecnologia ancora da scoprire che, una volta scoperta, porterà, o potrebbe portare, ad un evento di tipo estinzione. I casi, molto più frequenti, in cui il FRB non si ripete potrebbero indicare che una civiltà si è autodistrutta, mentre i casi, molto più rari (solo due scoperti fino ad oggi) in cui la stessa sorgente emette più volte il segnale potrebbero significare che una civiltà è riuscita ad andare oltre scoprendo il modo giusto per sfruttare quella particolare fonte energetica o tecnologia.
C’è da rilevare anche che tutte le sorgenti di FRB rilevate finora si trovano a distanze di centinaia di milioni o miliardi di anni luce di distanza da noi e tra loro, il che significa che, se fossero segni della presenza di civiltà aliene, sarebbero lontane da noi (e tra loro) miliardi di anni in termini di spazio e tempo.
Per concludere, le implicazioni delle diverse ipotesi sulla presenza o meno di civiltà aliene sono particolarmente importanti anche per noi. Le speculazioni sugli alieni tendono ad avere una copertura molto più ampia di qualsiasi altra cosa in astronomia. Sentiamo come una questione profondamente importante il capire se siamo soli o meno nell’universo, per le implicazioni che questa scoperta avrebbe per la civiltà umana.
Ci stiamo dando parecchio da fare per scoprire se esiste vita sui mondi alieni, nel sistema solare e oltre. Se dovessimo scoprire la vita da qualche parte, fosse Marte o una luna di Saturno o un qualsiasi esopianeta, non potremmo non concludere che la vita sia un fenomeno molto comune nell’universo e da questo derivare che, prima o poi, almeno in una parte di questi luoghi brulicanti di vita, prima o poi debba emergere l’intelligenza.
Questo, però, per tornare a Enrico Fermi e al suo “Dove sono tutti quanti?” Significherebbe che, perdurando il silenzio nella nostra ricerca di intelligenza, esiste veramente un limite oltre il quale nessuna civiltà tecnologica, o solo pochissime, è in grado di andare senza autodistruggersi.