di Enrico Ferro per La Repubblica
“Anche quest’ultimo pomeriggio ci sono arrivate almeno una decina di chiamate con richiesta di informazioni“. Giulio Cavicchioli, 56 anni, imprenditore di Mantova, in fondo ci ha sempre creduto che prima o poi sarebbe venuto il suo momento. Vent’anni a difendersi dalle risatine di chi, parlando con lui, scherzava sulla profezia dei Maya, sulla fine del mondo, sulle catastrofi nucleari. “Ma io abito vicino all’aeroporto di Ghedi, io lo so che il pericolo esiste. Ecco perché da vent’anni faccio questo mestiere“, dice adesso, orgoglioso della sua intuizione.
Succede che c’è un’impennata di richieste per l’acquisto di bunker a prova di bomba. La guerra in Ucraina e la follia di Putin hanno spinto più di qualche italiano a muovere i primi passi per dotarsi di un rifugio sotterraneo. E Giulio Cavicchioli con la sua azienda, la “Minus Energie” che collabora con la Nato e l’Aviazione italiana, è lì che aspetta tutti al varco. Da giovedì scorso sono arrivate 7 richieste dal Lazio, 5 dal Piemonte, 5 dalla Lombardia, 4 dal Veneto, una dalla Campania, 6 dalla Toscana e 3 dalle Marche. Da un giorno all’altro la gente ha dimenticato la prigionia domestica del Covid, immaginando una prigionia ancora più asfissiante a costo di sopravvivere a una ipotetica guerra nucleare. “La cosa che più mi rattrista è che sembra la corsa all’acquisto dell’iPhone, invece un rifugio protetto è una costruzione che va ragionata, per via di tante interferenze che possono esserci. Innanzitutto serve l’autorizzazione del Comune, poi devono essere rispettati alcuni importanti parametri”, avvisa con chiarezza.
La Minus Energie di Mantova produce rifugi omologati come in Svizzera, stato che ha una certa cultura sul tema. “Quasi il cento per cento della popolazione ha un rifugio antiaereo e chi non ce l’ha versa 600 franchi per trovare posto in un bunker comune. La Protezione civile lì gestisce un’ulteriore quota di rifugi a disposizione della popolazione“. Sembra dunque che anche in Italia qualcuno si sia convinto a fare il grande passo, nel nome di una catastrofe quantomeno plausibile. L’imprenditore mantovano parla di “paura generalizzata” e di “inutile isterismo”. Ma insomma, se ciò che dice è vero, cioè se veramente sono già arrivate una trentina di richieste in pochi giorni, allora siamo di fronte a un fatto sociale.
Domanda numero uno, quindi: quanto costa? “Un bunker può costare dai 2 ai 3 mila euro al metro quadrato. I rifugi più piccoli possono variare fra i 30 e i 40 metri quadrati, ma ce ne sono anche di 20, o 25. I più grandi, invece, arrivano anche a 80-100 metri quadrati. E’ il cliente che deve decidere, in base a quante persone vuole salvare. Io posso fare un bunker per la mia famiglia, ma come faccio a non pensare alla fidanzata di mio figlio? Tutte domande che una persona si deve fare, se affronta questa spesa“.
Dal punto di vista tecnico il rifugio viene realizzato a un metro e mezzo di profondità rispetto al piano campagna. E’ una costruzione molto simile a un garage, a una cantina, o a un piano interrato. L’autorizzazione deve darla il Comune entro 60 giorni. Ovviamente una simile soluzione si adatta maggiormente a una casa di campagna, rispetto a un alloggio che si trova in centro storico.
“Per sopravvivere ci vuole aria, con i relativi sistemi di trattamento, servono poi servizi igienici e una struttura che resista alla spinta laterale in caso di esplosione” spiega Cavicchioli. “Poi ovviamente servono le riserve: acqua e cibo“. Niente acqua corrente, sottolineano i tecnici dell’azienda mantovana. O meglio: per avere l’acqua corrente il conto sale in maniera esorbitante. Il motivo è presto detto. L’acqua del rubinetto, per sgorgare, genera un flusso d’aria dall’esterno. Ma se l’aria è inquinata dagli agenti chimici delle bombe, non può essere introdotta nel bunker. Per rendere possibile questo servizio serve quindi un costosissimo filtro.
“Quanto si può restare a vivere in un rifugio? Da un mese e mezzo a tre mesi, secondo i nostri calcoli“. Quanto all’estrazione sociale di chi fino a questo momento ha richiesto i preventivi, prevalentemente è la classe media. “Qualche avvocato, qualche radiologo, informatori farmaceutici“, rivela il manager dell’azienda mantovana. C’è un concetto che va introiettato: il bunker è il contrario di quello che può essere una casa, dal punto di vista degli accessori. Deve essere il più possibile spoglio, il minimo indispensabile per la sopravvivenza. “Non mettiamo nemmeno le piastrelle al pavimento, perché in questo modo il vapore acqueo generato dal respiro viene assorbito dal cemento e non si crea umidità“.