Una recente scoperta ha rivoluzionato la nostra comprensione delle sofferenze mentali, rivelando che ben otto diverse patologie psichiatriche condividono una base genetica comune. Questo avanzamento significativo, frutto di uno studio pubblicato quest’anno, ha permesso di identificare specifiche varianti all’interno di questi geni condivisi e di osservare il loro comportamento durante le fasi cruciali dello sviluppo cerebrale.

Una base genetica comune per le patologie psichiatriche
Un team di ricercatori statunitensi ha evidenziato come molte di queste varianti genetiche rimangano attive per periodi prolungati. Questa persistenza può influenzare molteplici fasi dello sviluppo cerebrale, aprendo nuove prospettive per trattamenti futuri. L’obiettivo è sviluppare terapie in grado di agire contemporaneamente su più disturbi. Come spiega la genetista Hyejung Won dell’Università della Carolina del Nord: “Le proteine prodotte da questi geni sono anche strettamente connesse ad altre proteine. Alterazioni di queste proteine, in particolare, potrebbero avere ripercussioni sulla rete, causando potenzialmente effetti estesi sul cervello”.
Pur condividendo una base genetica, ognuna di queste otto condizioni presenta anche differenze genetiche che le contraddistinguono. Per approfondire questa distinzione, Won e il suo team hanno confrontato i geni specifici di ciascun disturbo con quelli condivisi. Hanno analizzato circa 18.000 varianti dei geni coinvolti, inserendole in cellule precursori che si trasformano in neuroni. Questo ha permesso di osservare come tali varianti potessero influenzare l’espressione genica durante lo sviluppo umano.
Grazie a questo approccio, i ricercatori hanno identificato 683 varianti genetiche che influenzano la regolazione genica e le hanno studiate ulteriormente nei neuroni di topi in via di sviluppo. Le varianti genetiche alla base di più tratti o condizioni apparentemente non correlati sono definite pleiotropiche. È emerso che queste varianti pleiotropiche erano coinvolte in un numero significativamente maggiore di interazioni proteina-proteina rispetto alle varianti geniche specifiche di singole condizioni psicologiche, e risultavano attive in più tipi di cellule cerebrali.
Il ruolo delle varianti pleiotropiche nello sviluppo cerebrale e nelle patologie psichiatriche
Le varianti pleiotropiche, ovvero quelle modificazioni genetiche in grado di influenzare molteplici tratti o condizioni apparentemente non correlate, si sono dimostrate fondamentali nel modulare diverse fasi dello sviluppo cerebrale. La loro capacità di innescare e influenzare cascate e reti complesse di processi biologici, come la regolazione genica, offre una spiegazione convincente del motivo per cui le stesse alterazioni genetiche possono contribuire a manifestazioni cliniche differenti e distinte. Questa interconnessione sottolinea la natura intrinsecamente complessa del cervello e delle sue disfunzioni.
Tradizionalmente, la pleiotropia è stata percepita come un ostacolo significativo nella comprensione e nella classificazione delle patologie psichiatriche. La sua presenza complica i tentativi di categorizzare queste condizioni in modo netto, poiché le stesse basi genetiche possono sottendere quadri clinici diversi. Come sottolinea la genetista Hyejung Won: “La pleiotropia è stata tradizionalmente considerata una sfida perché complica la classificazione dei disturbi psichiatrici“.
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📘 Leggi la guida su AmazonQuesta prospettiva sta cambiando radicalmente. Se da un lato la pleiotropia può apparire come un fattore complicante, dall’altro rappresenta una straordinaria opportunità per la ricerca e lo sviluppo di nuove terapie. Comprendere in profondità la base genetica della pleiotropia potrebbe aprire la strada a un approccio rivoluzionario. Won aggiunge: “Se riuscissimo a comprendere la base genetica della pleiotropia, potremmo riuscire a sviluppare trattamenti mirati a questi fattori genetici condivisi, che potrebbero poi aiutare a curare molteplici patologie psichiatriche con una terapia comune”.
Questa visione prospetta un futuro in cui farmaci o interventi specifici, agendo su meccanismi genetici comuni, potrebbero offrire sollievo e miglioramento a individui affetti da diversi disturbi psichiatrici, superando l’attuale frammentazione delle terapie e inaugurando un’era di maggiore efficacia e personalizzazione nel trattamento.
Una strategia rivoluzionaria contro i disturbi psichiatrici globali
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dipinge un quadro allarmante: si stima che una persona su otto, per un totale di quasi un miliardo di individui a livello globale, sia affetta da qualche forma di disturbo psichiatrico. Questa cifra non è solo un numero, ma rappresenta un’enorme sofferenza umana e un peso significativo per i sistemi sanitari e le società di tutto il mondo. Affrontare una sfida di tale portata richiede non solo risorse, ma soprattutto un cambiamento radicale nell’approccio diagnostico e terapeutico. Ed è qui che la comprensione e l’applicazione delle scoperte sulle varianti pleiotropiche assumono un’importanza cruciale e promettono di essere una strategia rivoluzionaria.
Se la ricerca continuerà a svelare i meccanismi sottostanti alla pleiotropia, aprendo la strada allo sviluppo di trattamenti capaci di agire su fattori genetici comuni a più disturbi, l’impatto potrebbe essere trasformativo. Immaginate un futuro in cui una singola terapia, o una classe di terapie, possa alleviare i sintomi di disturbi apparentemente diversi come l’autismo, l’ADHD, la schizofrenia e il disturbo bipolare, semplicemente agendo sulle stesse varianti pleiotropiche che li legano.
Questo non solo ottimizzerebbe la ricerca farmacologica, riducendo tempi e costi, ma renderebbe anche le cure più accessibili e meno complesse per i pazienti. Si passerebbe da un approccio frammentato, spesso basato su tentativi ed errori per ogni singolo disturbo, a una strategia più integrata e olistica, in grado di colpire alla radice le vulnerabilità genetiche condivise.
Un tale progresso avrebbe ripercussioni immense non solo sulla qualità della vita di milioni di individui, ma anche sulla sostenibilità dei sistemi sanitari a livello globale. La capacità di trattare più disturbi con una singola terapia significherebbe meno farmaci diversi da gestire per i pazienti, meno visite specialistiche multiple e, potenzialmente, minori effetti collaterali legati all’assunzione contemporanea di diverse molecole.
Per i sistemi sanitari, ciò si tradurrebbe in una riduzione dei costi di sviluppo e distribuzione dei farmaci, una maggiore efficienza nell’allocazione delle risorse e, in ultima analisi, un miglioramento complessivo della salute pubblica mentale. Questa visione di un futuro terapeutico unificato rappresenta una speranza concreta e un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile, di fronte all’enorme sfida posta dai disturbi psichiatrici globali.
La ricerca è stata pubblicata su Cell.