Dal melo di Newton alla sequoia del Vajont, passando per l’eucalipto di Hiroshima: il racconto di Piero Martin docente di Fisica all’università di Padova attraversa epoche, luoghi, eventi catastrofici e straordinarie scoperte scientifiche, mettendo sempre al centro la relazione tra l’essere umano e la natura.
Siamo tutti debitori verso gli alberi
“Siamo tutti debitori verso gli alberi, e la fisica lo è in maniera particolare – spiega -. Per essere più precisi, lo è verso un melo. Il fisico in questione è Isaac Newton. Si racconta che nel 1666 Newton fosse seduto sotto un albero di mele, nella sua tenuta nel Lincolnshire, quando una mela gli cadde letteralmente sulla testa”.
“Il fatto che la mela fosse caduta in verticale lo portò alla comprensione della legge di gravitazione universale, che Einstein avrebbe poi rivoluzionato. Si tratta di una vicenda che può sembrare un aneddoto, e probabilmente lo è, ma del resto la storia della scienza non è scevra di momenti Eureka! Chiamiamoli così, come quello per esempio di Archimede uscito dalla vasca da bagno”.
“Non siamo in grado di dire se davvero la mela sia caduta sulla testa di Newton, sappiamo però che in una delle prime biografie a lui dedicate, scritta da William Stuckeley, viene narrato un episodio compatibile con questa storia”.
Newton utilizzava anche le conoscenze di Galileo Galilei che a Padova, tra il 1592 e il 1610, trascorse “li diciotto anni migliori“, e che “scoprì che, sotto l’effetto della gravità, – continua Martin – tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione, che oggi noi conosciamo come accelerazione di gravità”.
“Oggi abbiamo capito molto bene cosa accade ogni volta che un corpo cade e uno dei modi per descriverlo è in termini di conservazione dell’energia: in poche parole, quando una mela, o quando un oggetto, si trova in alto rispetto a un altro livello possiede una certa energia potenziale e quando cade converte parte di questa energia potenziale in energia di movimento. La somma delle due è sempre costante. Un po’ come quello che accade a noi quando andiamo a sciare: dalla cima della montagna possiamo convertire l’energia potenziale in energia di movimento del nostro corpo e dei nostri sci”.
Tornando agli alberi, “qui protagonisti insieme alla fisica“, Piero Martin precisa: “Questi hanno sempre avuto un rapporto molto stretto con l’energia, anche se per lunghissimo tempo l’uomo ha bruciato gli alberi per convertire parte dell’energia chimica, immagazzinata nella loro struttura, in calore”.
Ma gli alberi hanno contribuito e ancora oggi contribuiscono al nostro fabbisogno energetico anche in altri modi: pensiamo al carbone, una delle fonti fossili maggiormente utilizzate, che deriva dagli alberi.
“Si tratta di un processo che è anche all’origine dei cambiamenti climatici. Gli alberi, come tutti gli esseri viventi, contengono carbonio e quando si brucia un combustibile che contiene carbonio il risultato inevitabile è la produzione di CO2, gas serra assai pericoloso, la cui eccessiva produzione da parte dell’uomo ha creato grandi problemi”.
“Ma il problema non sono gli alberi, naturalmente, bensì l’uso e l’abuso da parte nostra di combustibili fossili. Gli alberi sono dei meravigliosi esempi di conversione di energia verde: la fotosintesi clorofilliana è il processo attraverso il quale le piante producono glucosio, a partire da acqua e anidride carbonica, utilizzando come fonte di energia la luce solare assorbita dalla clorofilla. Si tratta di un processo di conversione fondamentale per la natura, è da qui che in gran parte dipende la vita sulla Terra”.
“Gli alberi vanno piantati, non bruciati. Gli alberi sono spesso testimoni muti, ma presenti, del cattivo uso dell’energia da parte dell’uomo: pensiamo a Hiroshima e ai 170 alberi sopravvissuti all’esplosione nucleare, che sono vivi ancora oggi. Tra questi c’è un eucalipto, che è lì a ricordarci l’insipienza umana”.
“E c’è un altro albero diventato icona, suo malgrado: la sequoia del Vajont, nella piana di Longarone, testimone di una tragedia immane: quella notte del 9 ottobre 1963, l’onda tracimò dalla diga e irruppe nella piana del Vajont, spazzando via l’intero paese, ma la sequoia resistette e ancora oggi sta lì, scorticata fino all’altezza che raggiunse l’onda, testimone di quanto l’uomo possa fare cattivo uso del suo sapere”.
Gli alberi sono veri e propri laboratori di fisica “e sono esempi di fenomeni scientifici attraverso la loro traspirazione, il processo che risucchia l’acqua dalle radici e la fa salire, anche ad altezze di decine di metri, attraverso i vasi dello xilema, il sistema vascolare delle piante”.
“Ebbene, le foglie riescono a far salire l’acqua dalle radici attraverso una trazione, una differenza di pressione che si origina tra la superficie delle foglie, il sistema vascolare e le radici delle piante”.
“Un altro esempio curioso e interessante è l’applicazione del modello di Ising allo studio della sincronizzazione spaziale della produzione di pistacchi: è stata studiata la distribuzione della produttività di pistacchi in un campo, nel corso delle stagioni, e pare che questo fenomeno segua proprio il modello usato dai fisici per descrivere il magnetismo della materia“.
“Il modello sostiene che la frammentazione nella produzione dei pistacchi, in certi anni, sia dovuta a interazioni tra alberi vicini, un po’ come avviene, ovviamente in altro sistema, con il magnetismo della materia“.