L’immagine qui sopra viene utilizzata come prova dei collegamenti tra civiltà del passato. La somiglianza è incontrovertibile e dimostrerebbe l’arrivo degli antichi Egizi in Sud America migliaia di anni prima dei conquistadores spagnoli, proprio come afferma Dominique Görl, indagato con il socio Erdmann per aver prelevato illecitamente campioni dalla Grande Piramide e tentato l’attraversata dell’Atlantico con una riproduzione della barca solare di Cheope.
L’immagine di destra è una riproduzione, capovolta, di un rilievo dalla tomba di Seti I (KV17), ora al Louvre: Hathor accoglie il faraone nell’Aldilà porgendogli la collana menit, simbolo di protezione.
La foto a sinistra, scattata negli anni ’60 a un reperto rinvenuto in Ecuador ha la stessa posa della dea egizia. La statuetta ecuadoregna sarebbe uno dei tanti misteriosi oggetti metallici, molti sarebbero in oro, scoperto nella Cueva de los Tayos, grotta sul versante amazzonico delle Ande, nella sperduta regione di Morona-Santiago.
Qui compare Padre Carlo Crespi, prete missionario salesiano, che nasce a Milano nel 1891, opera nella città di Quenca, beatificato dalla Chiesa cattolica per aver convissuto 60 anni come missionario fra i Kivaros, un popolo ecuadoriano dedicandosi alle opere di carità, muore nel 1982.
Il missionario, dal 1923 in Equador, riceve dagli stessi indios centinaia di reperti dall’inspiegabile influenza vicino-orientale e ricoperti da segni indecifrabili. Il missionario considera i reperti tracce di un contatto avvenuto tra i popoli separati da un oceano che secondo la storia non si sono mai incontrati.
Riesce a ottenere dal Vaticano il permesso di aprire un museo nella cittadina di Cuenca, presso la chiesa di Maria Auxialiadora. La collezione di oltre 50.000 pezzi comprendeva reperti dalla foggia egizia, assira, cinese e africana, oltre a una serie di fogli metallici incisi con la lingua sconosciuta. Quasi tutto però andò distrutto nel 1962 a causa di un incendio.
Dopo diversi decenni, Von Danniken nel libro “l’oro degli Dei” racconta la vicenda che vede come protagonista l’argentino-ungherese János Juan Móricz, che grazie alle indicazioni di Padre Crespi, avrebbe individuato dei tunnel artificiali nella Cuenca de los Tayos pieni d’oro e di documenti metallici che raccontavano la storia degli alieni e di una civiltà perduta.
Von Däniken, sbugiardato in parte da Móricz e incalzato da uno scettico giornalista di Playboy, fece dietrofront su alcune cose scritte ammettendo di non essere mai stato nella caverna, ma anche che i misteriosi oggetti esistevano davvero, anche se nascosti per sempre in una piramide sotterranea.
La storia diede il via a una spedizione, organizzata dall’ingegnere scozzese Stan Hall di cui faceva parte anche l’ormai ex astronauta Neil Armstrong alla ricerca di indizi su Atlantide. La spedizione non scopri nulla, la caverna era vuota e nonostante la delusione Hall volle incontrare Crespi e vedere la sua collezione.
Già in passato diversi archeologi tra i quali il danese Olaf Holm, direttore del Museo Nacional de Quito avevano constatato che si trattava solo di riproduzioni moderne in alluminio, ottone e rame; in pratica, souvenir turistici fatti con scarti metallici.
Padre Crespi però non va trattato alla stregua di un truffatore o peggio, di un ciarlatano perché era genuinamente spinto da uno spirito umanistico nel raccogliere reperti storici. Molte delle sue acquisizioni erano autentiche antichità precolombiane, soprattutto ceramiche, comprate in seguito dal Banco Central del Ecuador che le ha collocate nel museo privato della banca.
Le lastre metalliche, invece, erano state rimandate al mittente perché dimostratesi false.
L’ormai anziano missionario colpito da demenza senile venne raggirato da tanti artigiani locali che gli avevano venduto per anni oggetti malamente falsificati ripresi da illustrazioni dei libri di storia.
Fonte: Djed Medu