Dopo quasi sei anni di convivenza con il virus SARS-CoV-2, il COVID-19 è ormai noto a tutti. Tuttavia, la consapevolezza pubblica del long COVID – le conseguenze a lungo termine del COVID-19 – è spesso carente.
Questo articolo mira a colmare tale lacuna, fungendo da introduzione e preparando il terreno per approfondimenti successivi. Senza ulteriori indugi, esploriamo le cose fondamentali che tutti dovrebbero sapere.

Introduzione al long COVID: le cose da sapere
Le Accademie Nazionali di Scienze, Ingegneria e Medicina (NASEM) definiscono il long COVID come “una condizione cronica associata a infezione (IACC) che si verifica dopo l’infezione da SARS-CoV-2 ed è presente per almeno 3 mesi come stato di malattia continuo, recidivante e remittente, o progressivo, che colpisce uno o più sistemi di organi”.
Questa definizione è volutamente ampia, poiché è un vero e proprio spettro che include oltre 200 sintomi e condizioni di salute che incidono su numerose funzioni corporee. Tali sintomi e condizioni variano ampiamente in gravità e possono persistere da pochi mesi a diversi anni. È un dato di fatto che sia una condizione con una durata non prevedibile.
Il virus SARS-CoV-2 non fa distinzioni: chiunque abbia contratto il COVID-19 può sviluppare il long COVID, indipendentemente dalla fascia demografica (età, razza, stato di salute, classe sociale, ecc.). Anche se si è avuto il COVID-19 e si è completamente guariti, si rimane a rischio con ogni reinfezione, poiché il rischio di malattia aumenta cumulativamente. Sebbene chiunque con una storia di COVID-19 sia a rischio, è opportuno notare che alcuni gruppi, come ad esempio le donne rispetto agli uomini, sono a maggior rischio di contrarre la malattia.
La prevalenza del long COVID sembra essere in aumento. Tra gli adulti statunitensi, la prevalenza è aumentata del 3,9% tra giugno 2022 e settembre 2024. C’è motivo di credere che questa tendenza sia continuata anche nel 2025. Questo incremento è dovuto al fatto che ogni giorno più persone vengono infettate e reinfettate dal COVID-19. Inoltre, molti pazienti affetti da diversi anni spesso non guariscono, limitando la riduzione del tasso di prevalenza complessivo.
Il long COVID rimane una condizione poco compresa. Non sono ancora noti appieno i meccanismi specifici alla base della malattia. Di conseguenza, spesso non si sa come trattarla. Non esistono trattamenti approvati dalla FDA e, sebbene alcuni farmaci siano usati off-label o sperimentalmente, non esiste un trattamento unico e universale che funzioni per l’intero spettro dei pazienti.
Questa carenza di opzioni terapeutiche aggrava ulteriormente il peso della malattia, con molti pazienti che lottano con sintomi non gestiti. Per questo motivo, sono necessarie ulteriori ricerche, sia per comprenderne meglio la natura sia per identificare potenziali trattamenti.
Un problema di salute pubblica di vastissima portata
Poiché il long COVID può colpire chiunque abbia contratto il COVID-19, non si tratta affatto di una condizione rara. I dati sulla prevalenza globale e nazionale ne confermano l’ampiezza, posizionandolo come un’emergenza sanitaria di primo piano. A livello globale, si stima che il 35,0% degli adulti con una storia di COVID-19 abbia mai sofferto di long COVID. Le stime di prevalenza sono altrettanto elevate per gli Stati Uniti, dove il 29,8% degli adulti sopravvissuti al COVID-19 ne ha avuto esperienza.
Considerando l’intera popolazione adulta statunitense, inclusi gli individui senza una storia nota di COVID-19, il 17,9% degli adulti – quasi uno su cinque – ha avuto il long COVID. Per avere un’idea della sua diffusione, il tasso di prevalenza del diabete negli adulti negli Stati Uniti è del 14,7%, significativamente inferiore ai tassi stimati. Con una diffusione così ampia, è diventato una delle principali cause di malattie croniche e disabilità. Sebbene la gravità della condizione vari notevolmente, molti pazienti sviluppano problemi di salute debilitanti.
Il long COVID causa spesso una stanchezza (fatigue) così grave da costringere i pazienti a rimanere a casa o a letto, rendendo difficile lavorare e svolgere le attività quotidiane. La condizione può essere invalidante anche in molti altri modi, poiché comporta spesso danni agli organi causati dal COVID-19 acuto (alcune analisi suggeriscono di estendere la definizione per includere specificamente tali danni). Si stima che ci siano circa 2,1 milioni di adulti con disabilità in più solo negli Stati Uniti.
Il ruolo cruciale della prevenzione totale
L’unico modo certo per prevenire lo sviluppo del long COVID è prevenire l’infezione da COVID-19 in primo luogo. Come evidenziato, chiunque abbia contratto il COVID-19 corre il rischio di sviluppare questa condizione cronica e debilitante. Di fronte alla potenziale gravità del long COVID, una strategia proattiva per evitare il contagio rimane la difesa più robusta.
Il virus SARS-CoV-2 non fa distinzioni, e l’esito di un’infezione, anche lieve o asintomatica, può portare al long COVID. Per questo motivo, è fondamentale adottare un approccio di prevenzione totale che miri a evitare completamente la contrazione o la reinfezione da COVID-19. Questo principio sottolinea la necessità di considerare il rischio ogni volta che si valuta l’esposizione al virus. Non si tratta solo di scongiurare la malattia acuta grave, ma di proteggersi dalle sue conseguenze a lungo termine che possono alterare la qualità della vita per anni.
La vaccinazione contro il COVID-19 è uno strumento eccezionale e indispensabile per la salute pubblica. Essa è estremamente efficace nel prevenire la malattia acuta grave, l’ospedalizzazione e la morte. Tuttavia, è importante essere chiari: la vaccinazione, pur riducendo il rischio, non previene necessariamente l’infezione in assoluto.
Questo significa che gli individui vaccinati, pur essendo altamente protetti dagli esiti più drammatici del COVID-19 acuto, rimangono a rischio di contrarre il virus e, di conseguenza, di sviluppare il long COVID. Questo non è affatto un giudizio sulla vaccinazione – che resta una misura preventiva fondamentale e pienamente supportata – ma una presa di coscienza della necessità di misure preventive aggiuntive per chi vuole minimizzare il rischio.
La prevenzione efficace richiede un approccio a più livelli, noto anche come “difesa a strati”. Sebbene la vaccinazione costituisca una solida base, altre misure, come l’uso di mascherine di alta qualità (ad esempio FFP2/N95) in ambienti ad alto rischio, il miglioramento della ventilazione e l’attenzione al distanziamento, contribuiscono a ridurre ulteriormente la probabilità di infezione.
Ogni individuo è chiamato a fare le proprie scelte in materia di prevenzione, ma la consapevolezza deve essere chiara: se si contrae il COVID-19, si è a rischio di long COVID. Anche se non si può cambiare il passato e le infezioni già subite, si può e si deve fare di meglio per prevenire future infezioni e reinfezioni da COVID-19, riducendo così il rischio.
Lo studio è stato pubblicato su The Lancet.
