L’idea di far “crescere” in coltura la carne di manzo al posto della mucca intera è in circolazione almeno dal 1890. Dopo molti anni di lavoro sui sistemi atti a coltivare in vitro cellule muscolari da mettere in commercio al posto di Hamburger e bistecche tratti dalla macellazione degli animali (o in alternativa), la FDA (Food & Drug administration) ha convocato la prima udienza pubblica (cui partecipa anche Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti) per discutere la regolamentazione federale del cibo ricavato dalla coltivazione di cellule.
Si sta anche discutendo sul nome da assegnare a questa nuova risorsa: Alcuni suggeriscono “carne pulita” o “carne coltivata“.
Coltivare la carne in vitro dovrebbe essere un modo per rispondere al previsto aumento mondiale della richiesta di questo alimento che, secondo gli esperti, crescerà del 76 per cento entro il 2050. Sappiamo che i costi ambientali dell’allevamento di bovini allo scopo di ottenere carne, sono molto alti e non è possibile pensare di continuare a stare dietro all’aumento della richiesta a tutto detrimento dell’ambiente.
Alcuno personaggio vorrebbero eliminare completamente il consumo di carne animale ed utilizzare risorse vegetali per metter in commercio qualcosa che somigli alla carne ma derivi dalle piante. Tra questi Patrick O. Brown di Impossible Foods di Redwood City, in California, che vorrebbe la biologia molecolare per identificare le proteine o altre molecole che danno alle carni il loro sapore per addizionarle a prodotti vegetali ricavando alimento in tutto e per tutto vegetale ma con il sapore della carne vera e propria.
Eppure, a molte persone piace la carne così com’è e la consapevolezza di mangiare qualcosa che non è carne anche se ne ha il sapore potrebbe non incontrare un gran favore nel pubblico. L’esperienza sensoriale della carne macinata cotta è ben chiara tra gli amanti del genere e ci sono molte perplessità sul riscontro che anche una carne artificiale, sia pure ricavata da vere cellule muscolari, potrebbe avere sul mercato, soprattutto se, come sembra al momento, i prezzi di questa carne artificiale dovessero paradossalmente maggiori rispetto a quelli praticati per la carne vera.
Secondo alcuni pensatori è importante provare a cambiare la nostra cultura culinaria: “La produzione di carne a scopo alimentare è una delle atività a maggior impatto ambientale“, ha scritto il biologo Charles Godfray su Science e lo stesso hanno sostenuto alcuni ricercatori dell’Università di Oxford. I gas serra emessi dall’allevamento animale rappresentano circa il 14,5% del totale prodotto dall’umanità, secondo un rapporto del 2013 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Giudicare l’ipotetico impatto ambientale della carne coltivata è difficile in questa fase. Una stima del 2015 in Environmental Science & Technology suggerisce che la carne coltivata potrebbe contribuire significativamente di meno al cambiamento climatico rispetto alla carne bovina normale. Eppure c’è da dire che i processi di laboratorio potrebbero richiedere ancora più energia rispetto alle carni convenzionali. I ricercatori fanno attenzione a chiamare i loro risultati “possibili scenari futuri piuttosto che previsioni“.
Eppure, la carne ricavata da animali interi genera grandi sprechi: per ottenere una caloria di carne da un pollo è necessario investire nove calorie in mangime. E il pollo è una delle carni più efficienti. A questo punto potrbbe valere la pena creare in vitro solo i pezzi di un animale che vengono effettivamente consumati.
Gli scienziati hanno già dimostrato che questo è, in qualche modo, possibile. Il primo hamburger coltivato in laboratorio presentato nel 2013, era composto da 20.000 cellule muscolari coltivate in vitro. Secondo chi lo ha assaggiato, il sapore era “sorprendentemente vicino” a quello della carne macinata normale.
Dal punto di vista della biologia, la tecnologia per coltivare parti personalizzate di tessuti presi su animali vivi, è disponibile da decenni. In medicina vengono coltivate cellule di organi di vario tipo. Questi approcci, tuttavia, sono molto diversi dallo sfornare carne di hamburger gastronomicamente piacevole al palato.
Per far crescere del tessuto muscolare, i ricercatori devono iniziare con cellule che conservano ancora molta flessibilità, servono quindi i mioblasti, cellule che in vivo servono a riparare eventuali danni al tessuto muscolare ma anche queste hanno un problema: non si dividono tante volte quante sarebbe necessario per ottenere un prodotto completo.
Un normale boccone di carne contiene altre cose oltre alle fibre muscolari: ad esempio, tessuto connettivo e cellule adipose, oltre ad arterie, vene e cellule del sangue, tutti elementi che probabilmente costituiscono componenti importanti del sapore della carne.
Sappiamo che, attualmente, sono almeno venti le start up impegnate nello sviluppo di sistemi di coltivazione di vari tipi di carne. I piani per la produzione di prodotti coltivati includono carne di manzo, maiale, frutti di mare, pollame, albume d’uovo senza uova, latte senza mucche, fois gras e cibo per animali domestici. Oltre il cibo, c’è la pelle e la seta di ragno.
Insomma, l’idea della carne prodotta in laboratorio, sia pure a partire da cellule muscolari animali, non riesce a convincerci pienamente ma, con le opportune correzioni ed integrazioni, potrebbe diventare, con un po’ di tempo a disposizione, parte integrante della dieta umana, soprattutto in vista del previsto aumento della richiesta che non potrà essere compensata incrementando gli allevamenti intensivi che, anzi, sarebbe auspicabile diminuissero di numero.
Un domani potremmo avere sul mercato una carne animale coltivata in modo tradizionale, che potrebbe avere per i consumatori costi più impegnativi, ed una carne più economica, ricavata da sistemi di coltivazione in vitro. I cambiamenti che intaccano abitudini tradizionali e consolidate possono non piacere e, sicuramente, avranno bisogno di tempo per affermarsi, ma, alla lunga, potrebbe essere sempre meglio la carne coltivata in laboratorio che una nutrizione basata sulle farine d’insetti.