La rivoluzione sessuale iniziata verso la fine degli Anni Sessanta impose anche al cinema una ridefinizione del modo attraverso il quale rappresentare il sesso sul grande schermo. Il dibattito si accese nel ricercare una possibile distinzione tra film erotici, pornografici o addirittura osceni che non poteva essere ridotto all’atto esplicito o simulato del rapporto sessuale.
D’altra parte il mutamento dei costumi aveva avuto un riflesso anche sulla composizione del pubblico che fruiva di film erotici o addirittura pornografici. Si trattava senza dubbio un pubblico più vasto ed articolato e non di rado formato da coppie. Secondo la coppia di sessuologi americani Phyllis e Eberhard Kronhausen, molto attivi tra gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, la distinzione tra la pornografia e l’oscenità era che la prima si limita ad esplorare la sessualità, la seconda unicamente a sfruttarla.
Al di la del dibattito che infuriava, il nudo e l’erotismo vennero progressivamente sdoganati. Non che il nudo con sfumature erotiche, soprattutto femminile, fosse una novità per il cinema. Già nel 1915-1916 il serial di Louis Feuillade Le Vampires fondeva la nudità femminile con le implicazioni sessuali del vampirismo.
Prima dell’avvento del Codice Hayes, anche il cinema americano fa numerose incursioni nel nudo erotico femminile dalla Salomè (1922) all’audace spogliarello di Clara Bow in Ali (1927) fino al conturbante bagno nel latte d’asina di Claudette Colbert, in Cleopatra del 1934.
I film soft core degli anni Settanta dimostrano un filo conduttore nelle convenzioni che risale appunto fin dagli Anni Venti. In più però entra prepotentemente in scena una ricerca più attenta nella costruzione delle storie riuscendo in questo modo ad accrescere la tensione partecipativa del pubblico.
La conseguenza della vasta liberalizzazione morale degli anni Sessanta fu che i registi progressisti fecero un uso più ampio e spregiudicato del nudo e del sesso all’interno delle loro opere.
Alcuni utilizzeranno il sesso per considerazioni di ordine politico e filosofico come Jean Luc Godard, ad esempio, in Due o tre cose che so di lei (1967) o il giapponese Oshima in Shinjuku dorobô nikki (1969).
Un ruolo non marginale in quegli anni, per quanto riguarda la diffusione del cinema dove sesso e nudità costituivano elemento centrale, fu svolto dai film svedesi, tra i quali per anti convenzionalità spicca Vilgot Sjoman autore di “Io sono curiosa” sui tabu sessuali e sociali e Troll dove marito e moglie iniziano la giornata masturbandosi solitariamente, perchè lei rifiuta il rapporto sessuale identificandolo con la morte.
Il cinema britannico erotico del periodo si racchiude in commedie spesso ammiccanti, ma non ha la forza esplicita ed adescante di alcuni prodotti americani come ad esempio Gola Profonda (1972) con Linda Lovelace o Miss Jones (1973).
In Francia invece trionfa l’erotismo patinato di Emmanuelle (1974) diretto da Just Jaickin tratto dal romanzo omonimo di Emmanuelle Arsan, che riscosse un enorme successo e diede origine a una lunga serie di sequels cinematografici e televisivi.
Infine in Italia il cinema erotico prende la via delle commedie scollacciate e vagamente morbose che vede l’affermazione di un gruppo di attrici (e di attori) che si specializzeranno in queste pellicole fino a diventarne vere e proprie icone, come Edvige Fenech, Gloria Guida, Florinda Bolkan, Nadia Cassini, Janet Agren e tante altre. Mentre sul fronte maschile Lando Buzzanca, Lino Banfi, Alvaro Vitali, Renzo Montagnani avevano il compito di valorizzare le situazioni picaresche.
Impossibile citare anche soltanto una parte di questi titoli, ma certamente anche semplicemente dall’analisi di alcuni di loro si evidenzia la ricerca della morbosità come tratto distintivo della commedia erotica italiana: da La minorenne (1974) a La moglie vergine (1975), da La liceale (1975) alla La dottoressa del distretto militare (1976), da Malizia (1973) a La sculacciata di Salvatore Samperi del 1974.