La nuova vita della portaerei “Garibaldi”: diventerà una nave lanciasatelliti

L’Italia punta allo spazio, nei piani strategici di più ministeri ci sono progetti più o meno attivi, e anche la Difesa investe cospicue risorse sul settore. Ora si prospetta la trasformazione della Garibaldi in una base di lancio mobile per satelliti

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La nuova vita della portaerei
La nuova vita della portaerei "Garibaldi": diventerà una nave lanciasatelliti

Con l’entrata in servizio, prevista per la fine di quest’anno, della nuova portaerei “Trieste”, che affiancherà la già operativa “Cavour”, inizieranno le operazioni di dismissione della “Garibaldi” ma questa nave non verrà rottamata, anzi, le si prospetta una nuova vita operativa.

L’Italia punta allo spazio, nei piani strategici di più ministeri ci sono progetti più o meno attivi, e anche la Difesa investe cospicue risorse sul settore, compreso uno stanziamento da oltre 400 mila euro per uno studio di fattibilità in cui si prevede di trasformare l’ex ammiraglia della Marina, la “Garibaldi”, in una nave in grado di lanciare missili vettori per mandare in orbita i satelliti o altre attrezzature.

Da qualche tempo il piano girava per gli uffici dello stato maggiore della Marina, poi negli scorsi mesi è stata trovata una voce di bilancio per finanziare lo studio preliminare al progetto definitivo che, nelle volontà delle forze armate, dovrà essere trasformato in realtà verso il 2025. Si tratta del programma Simona (Sistema Italiano di Messa in Orbita tramite Nave) che non è più una mera idea, ma già un’ipotesi di studio avanzata con tanto di individuazione della struttura tecnica, della nave, destinata a questo scopo.

L’unità in questione è la portaerei “Garibaldi”, oggi operativamente declassata a portaelicotteri da appoggio per le operazioni anfibie (ma recentemente riqualificata anche per ospitare i nuovi caccia f35 quale unità di riserva per la portaerei titolare, la “Cavour”), che dovrebbe andare in pensione nel 2023.

L’ufficialità al progetto era già nel testo delle Linee Guida 2021 della Marina militare, il recente finanziamento ha garantito di dare il via agli studi che porteranno al progetto finale. Per questo l’appalto è stato dato ad un raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla Università degli Studi di Roma, Scuola di Ingegneria aerospaziale, Cetena, Fincantieri, Gauss e Maba Consulting. Insomma tra pochi anni si potrà, almeno questo vuole la Difesa, impiegare proprio la “Garibaldi” come piattaforma per la messa in orbita di satelliti sia italiani che stranieri, civili o militari.

Il settore che per conto dello Stato si occupa dello spazio è sotto un’organizzazione interministeriale che fa capo alla presidenza del Consiglio dei ministri (si tratta del comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale, costituito nel 2018). In questo organo vi è la partecipazione della Difesa che ha recentemente riorganizzato la propria struttura creando un Comando interforze per le operazioni spaziali.



In questo ambito la Marina, proprio in vista del progetto della nave piattaforma di lancio, ha istituito, l’ufficio Spazio e innovazione tecnologica. È proprio questo organo che, tra le priorità, ha quello dello sviluppo del piano di impiego di nave “Garibaldi”.

Nel mondo sono poche le nazioni che hanno una capacità indipendente di accesso allo spazio orbitale: Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Francia, Giappone e Corea del Nord, tutte con basi a terra e vincoli di diverso tipo. Alla fine del Novecento c’era anche l’Italia con una piattaforma navale, e una base scientifica, lungo le coste del Kenya. Si trattava del Centro spaziale Luigi Broglio, ma oggi si occupa solo del tracciamento e del controllo dei satelliti. La piattaforma di lancio San Marco (una struttura da sbarco americana adattata alle esigenze nei cantieri navali della Spezia) è ancora in mare aperto, davanti al Kenya, ma dal 1988 non esegue più lanci (tra il 1966 e l’88 ci sono stati circa venti decolli con successo e all’epoca l’Italia era il terzo paese al mondo ad avere questa capacità).

Spostare vettori e satelliti ha un costo elevato, inoltre anche mantenere una base di lancio dall’altra parte del globo ha un costo troppo elevato. L’idea di avere a disposizione una nave come la “Garibaldi”, ovviamente trasformata, darebbe un forte impulso al settore spaziale italiano. La possibilità di lanciare satelliti (che sono sempre più piccoli e leggeri) da una piattaforma navale mobile garantirebbe maggiore autonomia (senza vincoli di meteo o costi di trasporto).

Oltre ad avere indipendenza per l’Italia si apre la possibilità di un oggettivo sviluppo economico del comparto. Infatti il progetto potrebbe essere realizzato con ulteriori fondi europei per la sia fase esecutiva, questo perché la nuova piattaforma sarebbe utilizzata anche per utenti nazionali ed europei. Il vettore utilizzato sarebbe un lanciatore Vega in grado di portare nello spazio un carico con una massa di circa 300 chili.

Per realizzare questa opportunità, cioè la creazione di un sito mobile per lanci spaziali, serve comunque una base appoggio per la nuova unità, ovvero un porto vicino alla rete dei trasporti (ferrovie, aeroporti ed autostrade), non distante dalle aziende italiane del settore, con spazi ed infrastrutture adatte, ma soprattutto in grado di dare supporto specializzato alla nave. A oggi, ma qui le bocche sono cucite, l’idea più accreditata è quella della base navale della Marina all’interno dell’Arsenale militare della Spezia.

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