Qualche anno fa, una nuova notevole ipotesi si è fatta strada nello zeitgeist scientifico, vale a dire, che la vita è una conseguenza inevitabile della fisica. L’autore di questo concetto, un professore associato di biofisica al MIT, Jeremy England, ha pubblicato i primi risultati sperimentali su questa idea e sembra che abbia speso bene il suo denaro.
L’ipotesi di England è basata su un ponte fondamentale tra fisica e biologia. Anche se non è ancora definitivamente dimostrata, potrebbe rivelarsi la chiave per rispondere a una delle maggiori domande che l’uomo si pone: da dove veniamo?
Ecco quello che il suo lavoro sta discutendo. Grazie alla seconda legge della termodinamica, l’universo sta dirigendosi verso uno stato di completo disordine strutturale. Sta rotolando verso uno stato in cui tutto è sostanzialmente lo stesso, non importa come le parti costituenti siano disposte.
Questo è conosciuto come “massima entropia”, dove tutto a livello energetico è equilibrato, ovunque.
Adesso, però, ci sono tasche di ordine, a bassa entropia – oggetti e cose che non possono essere riorganizzate atomicamente e sono ancora la stessa cosa (pianeti e vita, per esempio). Sono le eccezioni di un universo sempre più disordinato, cosa che è stato sottolineata innanzitutto dal saggio esemplare di Schrodinger del 1944, Che cosa è la vita?
Immaginate di versare tre coloranti in una piscina piena d’acqua. Inizialmente, rimangono come punti separati distanti, ma nel tempo i colori si spandono, si mescolano, e alla fine vi sarà un solo colore. Questo è l’universo; I puntini, in questo caso, possono essere tasche di vita biologica.
England ipotizza che la biologia nasce perché, in certi ambienti – come nei pianeti – dove l’equilibrio energetico è così fuori dalla norma, la fisica garantisce che gli atomi si riorganizzino per essere in grado di affrontare il flusso caotico di energia. Queste strutture atomiche finiscono per somigliare a ciò che noi conosciamo come “vita”.
England nel nel 2014 ha dichiarato: “Inizia con un gruppo di atomi a caso e illuminalo. Se lo farai per abbastanza tempo non dovresti trovare sorprendente se, alla lunga, otterrai una pianta.”
Utilizzando simulazioni al computer all’avanguardia, England ed i suoi colleghi hanno caricato i composti chimici di base in un ambiente simile a quello di un pianeta e hanno osservato i risultati della simulazione.
La prima pubblicazione, negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, mostra che le interazioni strutturali tra atomi nascono spontaneamente. Importante, gli input e le variabili biologiche – il comportamento delle cellule, la formazione del DNA e così via – non sono stati preprogrammati nelle simulazioni.
Il secondo studio, pubblicato in Physics Review Letters, mostra che quando guidati da una fonte di energia esterna – il Sole, in questo caso – questi atomi si riorganizzano per assorbire e emettere l’energia in modo più efficiente. Insomma, queste strutture hanno cominciato a copiare sè stesse per meglio gestire questo flusso di energia.
Applicando le leggi della fisica, la vita appare e si replica senza bisogno di nient’altro che poche sostanze chimiche fondamentali e il Sole. Così – la domanda più grande di tutti è stata risolta? Forse, ma questa è ancora un’ipotesi nascente, una delle tante.
L’idea di England ha suscitato interesse e critiche, soprattutto per la sua definizione di “vita” che appare ancora un po’ generica e un po’ troppo estensiva. Alcuni suggeriscono che le simulazioni applicate nel lavoro di England siano troppo astratte per potergli applicare il concetto di “vivi”.
Si tratta comunque di un’ipotesi di rilievo, che dimostra chiaramente che un sistema, pur destinato inesorabilmente al totale disordine, se fornito di energia esterna (la luce) tende verso qualcosa che potrebbe essere l’aggiunta più significativa alla teoria evoluzionistica da quando l’opus magnum di Darwin fu rilasciato per la prima volta.