Recentemente, la rivista americana PNAS ha riportato la notizia della scoperta di un nuovo rappresentante ancestrale del clade degli Avemetatarsalia, il gruppo di cui fanno parte dinosauri e pterosauri.
La peculiarità della scoperta è tutta nelle dimensioni di questo reperto risalente al Triassico medio-superiore, rinvenuto in Madagascar nel 1998 ma finora mai studiato in maniera approfondita: si tratta, infatti, di una specie ben più piccola dei suoi più famosi e imponenti successori, che raggiunge la modesta altezza di soli 10 centimetri.
Kongonaphon kely, questo il nome attribuito alla specie, il cui significato è “piccolo divoratore di insetti”, testimonia, dunque, di quello che gli autori dello studio definiscono un evento di “miniaturizzazione” che si localizzerebbe alla base dell’albero filogenetico da cui, in seguito, si origineranno i grandi dinosauri.
Questo ritrovamento sembra a prima vista smentire la consueta correlazione fra “dinosauri” e “gigantismo”.
Kongonaphon kely, un piccolo antenato per i giganteschi dinosauri
Ma si tratta davvero di una scoperta così sorprendente?
“In realtà, non è una rivelazione totalmente inaspettata”, afferma il professor Massimo Bernardi, paleobiologo, attualmente impegnato al MUSE – Museo delle Scienze di Trento come Conservatore per la Paleontologia e Responsabile dell’Area Ricerca e Collezioni.
“L’importanza di questo lavoro – spiega Bernardi – è, in parte, nel risollevare il dibattito circa le caratteristiche del gruppo da cui si originano i dinosauri. I reperti disponibili sono molto rari, motivo per cui ogni ritrovamento getta nuova luce su questo momento di radiazione dei rettili arcosauri, antenati di quei grandi animali che, solo pochi milioni di anni dopo, saranno già dominatori delle terre emerse”.
“Tuttavia, i resti del Kongonaphon kely non costituiscono l’unica testimonianza di Archosauria di piccole dimensioni. Tutti i primi dinosauri hanno dimensioni contenute, nonostante poi la stazza aumenti molto rapidamente, nell’arco di pochi milioni di anni. Il piccolo dinosauromorfo in questione fa parte di un gruppo – quello dei Lagerpetidi – in cui le piccole dimensioni sono diffuse e ben documentate da prove fossili indipendenti, come scheletri e orme fossili: è dunque problematico, in questo caso, parlare di un autentico fenomeno di “miniaturizzazione”.
Più che la taglia di questo piccolo esemplare, a destare interesse sono alcune sue caratteristiche morfologiche. Sono infatti presenti caratteri che è possibile individuare sia nei dinosauri che negli pterosauri, come ad esempio i denti a forma conica, che denotano la specie come insettivora, il bipedismo, la presenza di una leggera peluria.
“Questo periodo storico all’inizio dell’era Mesozoica è caratterizzato da una rapida diversificazione ed esplorazione del morfospazio”, spiega Bernardi.
“Nell’arco di pochi milioni di anni, all’incirca tra i 250 e i 240 milioni di anni fa, si dispiegano una diversità e una disparità morfologica molto ampie, in cui la piccola taglia è una soluzione adattativa diffusa. È un momento di grande esplorazione, in cui si sviluppano anche gruppi che andranno velocemente incontro all’estinzione”.
Le dimensioni ridotte non sono l’unico vantaggio evolutivo che sembra di poter rinvenire in questo piccolo progenitore dei dinosauri: “La presenza di un primo accenno di piumaggio in un arcosauro molto piccolo – carattere potenzialmente di grande aiuto nel sopravvivere in un ambiente turbolento come quello successivo alla grande estinzione del Permiano (251 milioni di anni fa) – potrebbe aiutarci a spiegare il motivo per cui un simile carattere, importante per la termoregolazione e dunque per la fitness, soprattutto per organismi piccoli, si ritrovi poi in maniera abbastanza uniforme tra i successivi dinosauri e pterosauri giganti“.
Rimane da comprendere per quali motivazioni ecologiche ed evolutive si verifichino, come in questo e in tanti altri casi nel corso della storia della vita sulla Terra, fenomeni di “miniaturizzazione”.
Le dinamiche sono molteplici: si pensi, ad esempio, al cosiddetto “effetto Lilliput”, secondo cui dopo un’estinzione di massa vi sarebbe, nei vertebrati, una drastica diminuzione delle dimensioni corporee; oppure al nanismo insulare, altro fenomeno di riduzione della taglia, di cui vi sono esempi, peraltro, anche nella storia evolutiva del genere Homo.
“Le ipotesi che chiamano in causa fattori ecologici per spiegare la taglia ridotta di alcuni organismi hanno una storia lunga in paleontologia“, afferma Bernardi.
“Nessuna delle due dinamiche citate può essere però ritenuta responsabile della piccola statura di Kongonaphon kely: è complesso, in questo caso, trovare una connessione con l’effetto Lilliput, che è più facile da documentare per organismi che hanno una relazione diretta tra le dimensioni e la responsabilità di risorse, come gli invertebrati”.
“Il gruppo evolutivo dei Lagerpetidi, nel quale si colloca il piccolo arcosauro in questione, presenta dimensioni ridotte in maniera diffusa e uniforme, motivo per cui non è necessario ipotizzare che Kongonaphon kely costituisca un’eccezione significativa”.
Per quanto riguarda il nanismo insulare, si tratta di una dinamica evolutiva che si verifica in casi di isolamento geografico: è improbabile che Kongonaphon kely, pur provenendo dal Madagascar, si trovasse in condizioni di maggiore isolamento rispetto a specie contemporanee, poiché quella che oggi è un’isola faceva parte, a quel tempo, della Pangea.
A mio avviso, dunque, quello documentato nello studio di PNAS è un tentativo di esplorazione del morfospazio in direzione di quelle nicchie ecologiche rimaste libere dopo il grande evento di estinzione di fine Permiano, più adatte a organismi di dimensioni minime.
Tra i rettili arcosauri non si ripresenteranno più specie con simili caratteristiche, e l’evoluzione virerà in direzione del gigantismo.
Tuttavia, vi è un’eccezione: nella linea evolutiva degli uccelli si ripresenta questo fenomeno di “miniaturizzazione”, che viene poi mantenuto nel corso della storia evolutiva e che suggerisce il legame di questo carattere con un vantaggio nella probabilità di sopravvivenza nel corso dell’estinzione K-Pg, alla fine del Cretaceo, rispetto ai dinosauri non aviani.