Negli ultimi anni della sua vita il grande fisico Stephen Hawking si pronunciò molto chiaramente a favore dell’esistenza di civiltà extraterrestri, esprimendo al contempo però più di una perplessità sull’opportunità di contattarli. Nel caso che l’umanità dovesse captare un messaggio alieno Hawking riteneva che non avremmo dovuto rispondere.
“Incontrare una civiltà avanzata potrebbe essere come l’incontro tra i nativi americani e Colombo: non finì molto bene (per i nativi, ovviamente).” dichiarò l’astrofisico inglese.
Per il momento, però, nonostante gli sforzi del programma SETI e di altre ricerche nessun segnale alieno è stato mai captato dai nostri radiotelescopi. Un silenzio assordante sembra provenire dall’universo, tanto da chiedersi anche se una civiltà extra terrestre (CET) possedesse la tecnologia per inviare un segnale rilevabile a decine, forse migliaia di anni luce di distanza, davvero vorrebbe farlo?
Forse la CET in questione, baloccandosi con la versione aliena del paradosso di Fermi, rilevando il silenzio che pervade il cosmo, potrebbe chiedersi se è conveniente e soprattutto, esente da rischi, essere la prima civiltà ad interromperlo inviando un segnale captabile.
L’umanità da decenni invia in modo non intenzionale segnali radiotelevisivi che si disperdono nello spazio profondo. A titolo esemplificativo la diretta televisiva sul crollo del Muro di Berlino ha superato sensibilmente la stella Vega della costellazione della Lira che dista dalla terra circa 25 anni luce.
Le caratteristiche delle nostre emissioni involontarie è pero tale, per l’ampiezza elevata della banda e la potenza relativamente piccola dei trasmettitori, che occorrerebbe un colpo di fortuna affinché una civiltà aliena intercetti le nostre comunicazioni.
Del resto l’emissione terrestre involontaria di radiazioni si sta progressivamente riducendo per l’espansione delle comunicazioni via cavo.
E se volessimo farci notare, nonostante le preoccupazioni di Hawking?
Avremmo bisogno di un potente strumento in grado di inviare un segnale a banda stretta. Passare quindi dal SETI passivo (stiamo in ascolto di eventuali segnali alieni) al SETI attivo (cercare di farci notare da CET tecnologicamente evolute).
In passato ci sono già state delle trasmissioni intenzionali lanciate verso lo spazio profondo, dalla canzone dei Beatles Across the Universe, in occasione del cinquantesimo anniversario della NASA, ad uno spot delle patatine Doritos diretto verso una stella dell’Orsa Maggiore (Uma 47, una nana gialla che dista circa 46 anni luce da noi). Non ci sono state però soltanto trasmissioni a sfondo pubblicitario o dimostrativo come queste in passato.
Supponiamo di voler utilizzare le onde radio come mezzo di trasmissione. Il primo problema è scegliere la frequenza giusta. Quella più appetibile è collocata all’interno della cosiddetta fascia “waterhole”, letteralmente pozza d’acqua, che si colloca tra i 1420 e 1727 MHz. Il termine waterhole è stato coniato da Bernard Oliver nel 1971, la banda compresa in questa fascia rappresenta le molecole che formano l’acqua e quindi Oliver teorizzò che la pozza sarebbe una fascia ovvia per la comunicazione con intelligenza extraterrestre.
Il secondo problema da affrontare è quale tecnologia utilizzare per la trasmissione. Non avendo alcuna indicazione precisa su dove possa essere presente una civiltà aliena evoluta dovremmo trasmettere isotropicamente, ovvero con la stessa potenza in tutte le direzioni. Sfortunatamente questo metodo di comunicazione è molto dispendioso.
Supponendo di voler inviare un messaggio in banda stretta che possa essere captato da una piccola antenna nel raggio di 100 anni luce di distanza ci vorrebbe un trasmettitore alimentato da un’energia superiore all’energia elettrica prodotta in tutto il mondo. E 100 anni luce, a livello cosmologico, sono poco più che il cortile di casa. Quindi con il nostro livello tecnologico attuale una trasmissione isotropica a banda stretta è fuori dalla nostra portata.
Se invece di una piccola antenna gli alieni possedessero un telescopio grande come quello di Arecibo il nostro fabbisogno energetico si abbatterebbe. Se poi addirittura conoscessimo l’ubicazione esatta, anche all’altro capo della Galassia, di un simile telescopio, potremmo inviare un segnale molto preciso con il nostro telescopio di Arecibo, situato nell’isola di Porto Rico, formato da un’antenna a singola apertura del diametro di 305 metri, la più grande del mondo fino all’entrata in servizio, nel settembre 2016, del radiotelescopio FAST da 500 metri, situato nella provincia di Guizhou in Cina.
Ci troviamo quindi nel classico cul de sac: la trasmissione isotropica richiede una quantità di energia mostruosa, una trasmissione direzionale rappresenta il tentativo di scoprire il classico ago nel pagliaio. Pur essendo possibile dei compromessi tra questi due estremi, la comunicazione interstellare tramite onde radio rimane un fatto piuttosto complicato.
E possibile allora che le CET preferiscono lasciare ad altri l’arduo (ed oneroso) compito di trasmettere? E’ questa la causa del silenzio degli alieni?
L’aspetto economico del problema è poco convincente. Se è vero che per noi una trasmissione isotropica è troppo onerosa per il livello tecnologico che possediamo, per una CET K2 ovvero in grado di raccogliere tutta l’energia della stella del proprio sistema solare (4×1026 watt) il problema non esisterebbe.
Inoltre, esiste la possibilità di inviare trasmissioni non utilizzando le onde radio ma la tecnologia laser, generando un impulso di luce, per quanto breve, più potente del Sole. Impulsi di questo tipo possono essere percepiti da telescopi ottici relativamente piccoli collegati ad un dispositivo di accoppiamento di carica.
Questa tecnologia molto più efficiente ed in grado di coprire distanze siderali ha però il suo tallone d’Achille nell’estrema ristrettezza del raggio. Senza conoscere “l’indirizzo esatto” della civiltà aliena che vogliamo contattare, la trasmissione laser è come tentare di colpire con una pistola un bersaglio a 200 metri mentre siamo bendati.
Non basta conoscere la posizione esatta della stella dove ipotizziamo la presenza di una civiltà extra terrestre ma dobbiamo tener presente che dal momento in cui inviamo la comunicazione laser al suo arrivo, la stella in questione non si troverà più li ma si sarà spostata. Occorre pertanto, prima di trasmettere, avere accurate informazioni circa la velocità di spostamento delle stelle destinatarie.
Raccogliere questi dati non è semplice ma è alla nostra portata. La missione GAIA lanciata nel 2013 compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle fino alla magnitudine 20. L’obiettivo principale della missione è l’effettuazione di misure astrometriche di altissima precisione. Il satellite determinerà la posizione esatta di ogni stella in tempi diversi durante la durata operativa prevista.
Misurerà quindi direttamente il moto proprio con una precisione variabile tra 20 e 200 micro arco secondi, rispettivamente per stelle di magnitudine 15 e 20. Sfruttando l’effetto della parallasse calcolerà anche la distanza di ognuna delle stelle, con una precisione maggiore per quelle più vicine e luminose. La sonda effettuerà anche misure fotometriche a diverse lunghezze d’onda e in diversi periodi temporali degli oggetti e sarà in grado di determinarne la velocità radiale.
Mettendo però da parte le difficoltà economiche e tecniche, rimane l’opportunità di inviare segnali di contatto con Civiltà aliene sconosciute. Il 16 novembre 1974 Frank Drake, sfruttando l’ammodernamento del radiotelescopio di Arecibo, inviò un messaggio radio verso l’Ammasso Globulare di Ercole, a 25 000 anni luce di distanza.
Il messaggio era composto da 1679 cifre binarie, numero appositamente scelto in quanto prodotto di due numeri primi (23 e 73). L’eventuale civiltà aliena che sarà in grado, tra 24.000 anni circa, oltre di captarlo anche di decodificarlo acquisirà importanti informazioni sulla Terra (la formula degli zuccheri e delle basi nucleotidi del DNA, una rappresentazione della doppia elica del DNA, la popolazione della Terra, una rappresentazione grafica del sistema solare, una rappresentazione grafica di un uomo con la sua altezza media, etc.).
Anche se gli alieni non riuscissero a decrittare il messaggio avrebbero comunque la prova inconfutabile dell’esistenza di una razza tecnologicamente evoluta. Il messaggio di Drake non è stato l’unico inviato verso lo spazio profondo, Alexander Zaitsev ne ha lanciato un’altro dall’osservatorio della Crimea.
Sia Drake che Zaitsev sono stati criticati per aver inviato messaggi verso CET senza aver consultato nessuno, né autorità politiche né altri membri della comunità scientifica, sull’opportunità di segnalare la nostra presenza in un universo che al momento pare contrassegnato da un silenzio assordante.
E possibile che anche le altre civiltà extra terrestri, tecnologicamente evolute, non stiano trasmettendo nell’attesa di trovare la necessaria unità politica per una decisione così delicata, che può mettere in pericolo l’esistenza stessa di un pianeta?
L’esempio fatto da Hawking sulla fine dei nativi americani seguito alla scoperta delle Americhe da parte di Colombo, non è molto incoraggiante.
[…] non venne mai realizzata, ma altre idee hanno preso forma a distanza di decenni e i tentativi di contattare gli extraterrestri sono stati […]