Il delitto di Violette Nozière

Chiamati i pompieri e la polizia, nel piccolo appartamento viene trovato morto il padre di Violette, Baptiste Nozière,  mentre la madre Germaine è in coma e viene portata all’Hôpital Saint-Antoine.

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Verso l’una del mattino del 23 agosto 1933, Monsieur e Madame Mayeul vengono bruscamente svegliati dal campanello della porta di casa. Vanno ad aprire: è la figlia dei loro vicini, Violette Nozière, che sconvolta chiede il loro aiuto perché i suoi genitori hanno tentato di suicidarsi col gas. Chiamati i pompieri e la polizia, nel piccolo appartamento viene trovato morto il padre di Violette, Baptiste Nozière,  mentre la madre Germaine è in coma e viene portata all’Hôpital Saint-Antoine.
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La tesi del suicidio regge poco: si scopre che i due Nozière sono in quelle condizioni dal 21 agosto, e che in marzo era accaduta più o meno la stessa cosa, con Violette che era corsa a chiedere aiuto ai Mayeul perché aveva trovato i genitori svenuti e un principio d’incendio in casa.

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La scena del crimine

Nel pomeriggio dello stesso giorno, il sovrintendente di polizia Gueudet porta Violette all’ospedale per tentare un confronto con Germaine, e chiede alla ragazza di aspettarlo nell’ufficio della caposala; la ragazza invece fugge facendo perdere le sue tracce. Il 24 agosto la madre di Violette può finalmente parlare e fornire la sua versione dei fatti.
La sera del 21 Violette aveva portato a casa tre bustine di una polvere bianca, accompagnate da una ricetta medica, e aveva convinto i genitori a prenderle sciolte in un bicchiere d’acqua dopo cena. Baptiste aveva bevuto tutto il bicchiere, mentre Germaine, trovandolo estremamente amaro, ne aveva buttata via metà; subito dopo l’uomo si era accasciato, mentre Germaine era caduta ai piedi del letto ferendosi alla testa.
Viene quindi spiccato un mandato di cattura nei confronti di Violette, che dopo una settimana di fuga durante la quale il caso va su tutti i giornali con titoli come “Il mostro in gonnella braccato dalla polizia” viene arrestata dalla polizia criminale.
Ma chi è, in realtà, Violette Nozière?
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Nata nel 1915 in una famiglia modesta (Baptiste è ferroviere, Germaine gestisce un negozietto di vini), Violette trascorre l’infanzia in un piccolo appartamento di rue de Madagascar, nel quartiere di Picpus a Parigi. Tranquilla e ubbidiente da bambina, con l’adolescenza Violette cambia carattere tanto da meritarsi un giudizio lapidario da parte dei suoi insegnanti: “Pigra, subdola, ipocrita e sfrenata. Un deplorevole esempio per i suoi compagni ”. Perché si comporta così? Un po’ per colpa della sua indole indipendente, che contrasta con le convenzioni piccolo borghesi nelle quali i genitori l’hanno allevata; ma i tempi sono cambiati, c’è stata una guerra mondiale che ha spazzato via la morale ottocentesca, e la generazione di Violette pensa soprattutto a divertirsi e vuole liberarsi dalla tutela invasiva degli adulti.
Violette, per soddisfare il suo bisogno di indipendenza, ha bisogno di soldi. Per fare fronte alle sue spese inizia a rubacchiare in casa o nei grandi magazzini; posa nuda per una rivista e infine ricorre alla prostituzione occasionale. Trascorre la maggior parte del tempo nei cinema e nelle brasserie sui Grands Boulevards e nel quartiere studentesco: il Palais du Café del Boulevard Saint-Michel diventa il suo “quartier generale“. Frequentare gli studenti, quasi tutti di una classe sociale superiore alla sua, la porta a mentire sulle sue origini: suo padre è ingegnere capo alle ferrovie e sua madre è “première” alla famosa casa di mode Paquin. Confida però ai suoi amici altre cose più intime, come che suo padre “si è dimenticato di essere suo padre”, o “il suo comportamento troppo particolare nei suoi confronti”.
Nell’aprile 1932, a diciassette anni, Violette si fa visitare dal dottor Henri Déron per certi disturbi e scopre di essere ammalata di sifilide. Non ha scelta: deve informare i suoi, ma riesce a convincere il dottore a stilare un certificato di verginità e a convocare Baptiste per informarlo che la figlia soffre di una forma ereditaria di questa malattia, che le sarebbe stata trasmessa quindi dai genitori.
Nel giugno 1933 la ragazza incontra l’uomo della sua vita: Jean Dabin, eterno studente di giurisprudenza, perennemente indebitato, che ben presto si fa mantenere dall’innamoratissima Violette.
Ai primi d’agosto Jean Dabin va in Bretagna a trovare uno zio. Violette vorrebbe andare a trovarlo e passare qualche giorno di vacanza con lui, e le viene un’idea: perché non comperare una macchina? Sa che i genitori hanno 165.000 franchi in titoli e in contanti, conservati in casa. Il 21 agosto 1933 Violette compra tre tubetti di Somenal, un sonnifero, e scrive una falsa ricetta. Riduce in polvere le compresse e le divide tra due bustine identiche: una terza bustina contiene un comune depurativo e viene contrassegnata da una piccola croce.
La sera, dopo cena, Violette assorbe il contenuto della bustina innocua e scioglie le altre in due bicchieri d’acqua; Baptiste ingoia tutto il veleno, la madre, disgustata dal sapore amaro, riesce a bere solo mezzo bicchiere: è quello che le salverà la vita.
Violette ruba i soldi e lascia l’appartamento per tornarvi il 23 all’una di notte, aprire il rubinetto del gas e allertare i vicini.
Le indagini sono affidate a un noto commissario: Marcel Guillaume, che si era occupato di criminali celebri come Landru e la banda Bonnot. Il commissario Guillaume interroga personalmente Violette e descrive questo interrogatorio al quotidiano Paris-Soir, nel 1937: “In frasi brevi, brevi, senza fiato, ci ha raccontato di come suo padre l’aveva abusata un giorno, durante un viaggio di sua madre. Quando quest’ultima era tornata, non aveva osato confessarglielo, per paura. E, obbediente, per mesi e anni, si era prestata all’odioso capriccio dell’uomo per il quale non poteva più provare che odio e disprezzo. Quando si era innamorata di Dabin aveva cercato di negarsi a suo padre, senza risultato. – Solo la sua morte potrebbe liberarmi da lui -, aveva concluso con voce stanca, e così a poco a poco nacque in me l’idea di avvelenarlo … “
Guillaume dice di ritenere credibile la versione di Violette, e cioè che la giovane abbia voluto vendicarsi degli abusi subiti per anni dal padre. Esprime così il suo sentimento personale: “Ci sono grida di sincerità di cui non si può sbagliare: è una di quelle che ho sentito la sera del 28 agosto, e chi mi fa scrivere oggi che, per quanto colpevole fosse Violette Nozière, meritava almeno di ottenere delle attenuanti”.
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Il quotidiano “Le Petit Parisien” del 2 settembre 1933

Violette Nozière confessa quindi il suo crimine alla polizia giudiziaria lunedì 28 agosto 1933 e rinnova le sue dichiarazioni dinanzi al giudice istruttore Edmond Lanoire. Conferma di non avere complici e si assume la responsabilità delle sue azioni. “Il motivo per cui ho fatto questo ai miei genitori era perché mio padre abusava di me da sei anni. Mio padre, quando avevo dodici anni, prima mi ha baciato in bocca, poi mi ha toccato con il dito, e infine mi ha portato in camera da letto in assenza da mia madre. Poi abbiamo avuto rapporti in una capanna nel piccolo giardino di nostra proprietà vicino alla Porte de Charenton, a intervalli variabili, ma circa una volta alla settimana. Non ho detto niente a mia madre perché mio padre mi ha detto che mi avrebbe ucciso, e si sarebbe ucciso anche lui. Mia madre non ha mai sospettato nulla. Non ho mai parlato del rapporto che avevo con mio padre, con nessuno dei miei amanti, o con nessuno […] Sono passati due anni da quando ho iniziato a odiare mio padre, e un anno da quando ho pensato di ucciderlo. “
La vicenda assume molto rapidamente un carattere politico.
La destra vede in Violette la giovinezza fuorviata del dopoguerra, chiede l’ordine morale e il ritorno dei valori. Tutti i fondamenti della società, familiare e sociale, vacillano a causa di una giovane donna. I francesi sono sotto shock: come ha fatto il “mostro in gonnella” a liberarsi da ogni moralità, arrivando ad accusare il padre di relazioni incestuose? I benpensanti rifiutano di credere alla ragazza, la cui doppia vita scandalizza.
La stampa reazionaria non esita a designare gli amici di Violette come di origine straniera o con termini venati di razzismo: ad esempio il quotidiano Excelsior cita “Jacques Fellous, commerciante di circoli teatrali, 4 rue de Sèze, un tunisino“, che diventa algerino in Le Petit Journal del 4 settembre 1933. L’Excelsior del 12 settembre 1933 rincara la dose specificando, non senza un secondo fine antisemita, anche il secondo nome di un amico di Violette: “Robert Isaac Atlan e l’italiano Adari”. Questi commenti sulla stampa xenofoba avvengono in un contesto particolare, quello dell’ascesa del fascismo; le leghe di estrema destra vogliono prendere il potere come in Germania e in Italia.
La sinistra, invece fa di Violette un simbolo della lotta alla società. L’amante di Violette, Jean Dabin, quello che ha corrotto Violette vivendo della sua generosità, fa parte dell’organizzazione di estrema destra dei Camelots du Roi; i surrealisti prendono la difesa di Violette che diventa la loro musa ispiratrice. Louis Aragon scrive un articolo su L’Humanité dove la presenta come una vittima del patriarcato.
Venerdì 1 settembre 1933 avviene un confronto tra Violette e sua madre, ancora ricoverata a Saint-Antoine. Un confronto dolorosissimo, dove, nonostante la sua richiesta di perdono, la ragazza viene respinta dalla madre che pronuncia queste parole: “Violette! Violette! Ucciditi! Hai ucciso tuo padre. Un tale buon marito. Ucciditi!”. Nonostante una nuova richiesta di perdono, Germaine Nozière grida alla figlia: “Mai, mai!”, tendendo il pugno verso di lei,“Mai … ti perdonerò solo dopo il giudizio, quando sarai morta! “
Durante gli interrogatori, Violette Nozière spiega che nella loro casa in rue de Madagascar si trovano incisioni pornografiche appartenenti a suo padre, così come lo straccio che usava per evitare di mettere incinta sua figlia. Una perquisizione permette di ritrovare questi reperti, il tessuto viene analizzato e accredita la tesi di Violette. Germaine Nozière, interrogata sulla presenza di questo pezzo di stoffa in camera da letto, rivela che suo marito lo usava con lei per avere dei rapporti protetti.
Il 10 ottobre 1934 si apre a Parigi il processo davanti alla Corte d’assise della Senna. Le accuse sono pesanti. È accusata di aver “tentato, il 21 agosto 1933, di uccidere volontariamente il padre e la madre legittimi somministrando sostanze suscettibili di dare la morte più o meno prontamente”. Il primo giorno dell’udienza si concentra sulla personalità di Violette, i suoi amici, l’ambiente familiare e le circostanze della tragedia. Violette perde conoscenza durante l’interrogatorio del presidente Peyre. La questione dell’incesto non è affrontata chiaramente, ma Violette mantiene le sue accuse contro suo padre. Malgrado tutti se lo aspettassero, il Commissario Marcel Guillaume non viene convocato.
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Germaine Nozière al processo

Il giorno successivo avviene la deposizione di Germaine Nozière. La madre di Violette, anche se si è costituita parte civile, finisce per perdonare la figlia e implora la giuria in lacrime: “Pietà, pietà per la mia bambina!”. Poi vengono le testimonianze degli amanti di Violette e soprattutto di Jean Dabin. L’avvocato generale Gaudel, di fronte all’atteggiamento altezzoso di questo testimone vitale, ha parole durissime contro di lui: “Avete trovato del tutto naturale che questa donna, cosa dico, questa bambina, vi mantenesse. (…) Voi non siete imputato, non dovete subire la Giustizia: subirete il disprezzo pubblico e ve lo dico in faccia! “
L’ultimo giorno del processo è quello della terribile requisitoria dell’avvocato generale che chiede la pena capitale contro l’accusata: “Chi potrebbe credere che la sifilide non fosse stata comunicata al padre dalla figlia, se l’incesto fosse avvenuto? “. L’avvocato della difesa, Maitre de Vésinne-Larue, ricorda ancora le relazioni incestuose di Baptiste Nozière. Ma, per l’accusa, Violette Nozière avrebbe avvelenato i genitori solo per avere i 165.000 franchi e continuare a mantenere il suo amante.
Il 12 ottobre 1934 alle 19:00, dopo solo un’ora di deliberazione, Violette Nozière viene condannata a morte per parricidio e avvelenamento, senza alcuna circostanza attenuante. Lo scrittore Marcel Aymé racconta questo momento sul settimanale Marianne: “… La condanna a morte è stata pronunciata contro l’accusata. Quando il cancelliere Willemetz ha letto la risposta della giuria a Violette Nozière, lei è rimasta impassibile:
– Ringrazio mia madre per avermi perdonato.
Impassibile, appena pallida, con gli occhi bassi, anche quando il presidente Peyre, dopo aver enumerato gli articoli dei codici penali e delle indagini penali, legge la terribile sentenza che colpisce i parricidi:
“Di conseguenza, la Corte condanna Violette Nozière alla pena di morte. Lo spettacolo si svolgerà in una pubblica piazza. La condannata sarà portata a piedi nudi, in camicia, un velo nero che le coprirà il capo. Sarà esposta sul patibolo, mentre un ufficiale giudiziario le leggerà la sentenza. Dopodiché, sarà giustiziata”.
Un silenzio opprimente regnò allora nella stanza surriscaldata. Non un muscolo della miserabile ragazza si era contratto. Ma prima che le guardie la portino via, M. de Vésinne-Larue chiede alla sua cliente di firmare il ricorso in cassazione. Questa semplice richiesta provoca la crisi che finora Violette era riuscita a contenere:
– No ! No ! … Lasciatemi! … non voglio … non voglio!
E voltandosi verso il Tribunale che si allontana, la faccia sconvolta, la condannata urla disperata:
– Ho detto la verità ! È vergognoso! Non avete avuto pietà!”
Le guardie la prendono e la trascinano via, mentre lei lotta contro di loro …
E ora la folla si muove, silenziosa… ”
Il Commissario Guillaume, a capo della Brigata criminale, esprime il suo disagio per il verdetto: “Durante i lunghi giorni del processo, sono rimasto nei corridoi del tribunale, pronto a testimoniare, a condividere con questi uomini che avevano la sacra missione di giudicare un essere umano, la mia convinzione che Violette mi fosse sembrata sincera, e avrei voluto poter dire loro anche che dovevamo mostrarci tanto più indulgenti perché non sempre avevamo fatto il nostro dovere nei confronti di questi ragazzi smarriti, che non avevamo saputo proporre loro un ideale, lasciandoli alla loro solitudine, alle loro tentazioni, alla loro incoscienza (…). Ma non ho potuto: la difesa stessa non mi ha chiamato e oggi c’è una detenuta in più tra i reclusi della Casa Centrale di Haguenau “
Il 19 dicembre 1934 Marcel Aymé fa appello alla legge: “Ma preghiamo umilmente il presidente di graziare Violette Nozière. Non diremo che è debolezza, ma semplice giustizia”. Il presidente della Repubblica francese Albert Lebrun concede la grazia che commuta la condanna a morte pronunciata contro Violette in quella dei lavori forzati a vita il 24 dicembre 1934.
Il 14 gennaio 1935, a vent’anni appena compiuti, Violette parte per il carcere femminile di Haguenau in Alsazia. La vita della prigione è durissima, le regole estremamente severe: Violette comincia un percorso di espiazione, si rivolge alla religione e diventa una detenuta modello. Nel 1937 scrive due lettere nelle quali ritratta le accuse di stupro rivolte al padre, cosa che facilita i rapporti tra madre e figlia che piano piano ritornano affettuosi.
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Il carcere di Haguenau, dove Violette fu reclusa dal 1935 al 1940

Grazie a un intervento della Chiesa cattolica, il maresciallo Philippe Pétain riduce la sua pena a 12 anni di lavori forzati a far data dalla sua condanna nel 1933; Violette Nozière viene definitivamente liberata il 29 agosto 1945 e si stabilisce a Parigi.
Nel 1946 sposa Pierre Garnier, figlio del sovrintendente del carcere di Rennes nel quale era stata trasferita allo scoppio della guerra: dal matrimonio nasceranno cinque figli. I due aprono un piccolo albergo in Normandia. Purtroppo Pierre muore in un incidente stradale nel 1961.
Il 13 marzo 1963, Violette viene riabilitata dalla Corte d’appello di Rouen, riavendo i suoi diritti civili e una fedina penale pulita. E’ un fatto eccezionale nella storia giudiziaria francese. Lo scrittore Jean-Marie Fitère sottolinea giustamente:
“… Questa è la prima volta negli annali della giustizia francese che l’autore di un crimine comune viene riabilitato dopo essere stato condannato a morte. Per M.e de Vésinne-Larue, questa decisione del tribunale di Rouen, va molto lontano. Dimostra chiaramente l’inanità della pena di morte. La riabilitazione di Violette Nozière è, per lui, la prova che ci sono per ogni essere umano, a partire da quando è caduto, possibilità di redenzione. Quanti di coloro che muoiono sotto la ghigliottina non sarebbero in grado di seguire un percorso paragonabile a quello della parricida? Rabbrividiamo al pensiero che se, nel 1934, la pena di morte non fosse stata abolita per le donne, Violette Nozière sarebbe stata giustiziata, portando con sé le sue prodigiose capacità di pentimento e di redenzione. “
Violette dichiara: “Volevo questa riabilitazione per i miei figli. Per me, non mi importava. La mia vita è finita. Sono felice che mia madre, a cui ho raccontato tutto, abbia finalmente capito la verità. Sa che ero innocente – nonostante quello che avevo fatto – e mi ha perdonato ”.
Violette non può beneficiare a lungo di questa riabilitazione: muore di cancro nel 1966, a soli cinquantun anni.
L’affaire Violette Nozière va oltre il fatto criminale nudo e crudo: secondo Anne-Emmanuelle Demartini, professore di Storia Contemporanea all’Università Paris-Diderot, la buona società prebellica ha incanalato tutte le sue paure in questa vicenda. Una Francia coloniale, immersa in recessione, crisi politiche e scandali ha trovato una via d’uscita respingendo le proprie colpe morali nell’affaire Violette Nozière. Quest’ultima è accusata di tutti i mali e, secondo gli echi della stampa, minaccia le fondamenta stesse della società. La deriva dei media sfrutta eccessivamente questa vicenda e fa affidamento sull’emozione che provoca. La segretezza delle indagini è violata e la collusione tra stampa e sistema giudiziario è evidente. In realtà, “è perché in questa vicenda giuridica si annodano il parricidio e l’incesto, cioè la trasgressione di due tabù fondamentali, strettamente legati tra loro, che sono alla base della filiazione e del legame sociale, secondo alle famose analisi di Freud. Ignorata l’accusa di incesto, Violette Nozière viene condannata a morte da una giuria composta da uomini, perché la giovane parricida spaventa la società e ne mette in discussione tutti i valori”.
Nel 1978 il regista Claude Chabrol gira il film omonimo con Isabelle Huppert, nel quale Violette viene presentata come una vittima della mentalità chiusa e ottusa dei genitori e dell’ambiente soffocante nel quale era costretta a vivere; è anche una requisitoria contro la pena di morte. Il film ha uno straordinario successo e contribuisce a mantenere vivo il mito di Violette Nozière.

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