I ratti possono padroneggiare un mondo virtuale con la mente

I ratti possono sollevare cubi virtuali e lasciarli cadere vicino a un bersaglio definito senza sfruttare strategie fisiche: si tratta di roditori che usano la loro immaginazione. Secondo gli studiosi, quello che questo esperimento mentale dimostra è che i topi possono immaginare nuove situazioni in luoghi vecchi e familiari, e questo potrebbe indicare come funziona l’immaginazione.

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Ratti: ecco come riescono a sfruttare l’ippocampo

Albert Lee è un neuroscienziato che ha guidato questa ricerca presso il Janelia Research Campus dell’Howard Hughes Medical Institute (HHMI). È ad Ashburn, in Virginia. Insieme al suo team, lo studioso ha voluto comprendere come il cervello possa tornare indietro nel tempo per rivisitare i ricordi o fare un salto in avanti per immaginare il futuro.

Questo processo è talvolta chiamato “viaggio mentale nel tempo”. Fa “parte di ciò che rende la nostra vita mentale interiore piuttosto ricca e interessante“, ha dichiarato Lee. Parte di questo viaggio nel tempo potrebbe avvenire nell’ippocampo. Questa struttura è locata in profondità su ciascun lato del cervello.

Le cellule lì hanno diverse funzioni ancora piuttosto misteriose: “C’è chiaramente molto da considerare“, ha affermato Mayank Mehta, studioso che lavora presso l’Università della California, a Los Angeles, e che non ha preso parte allo studio.

Per tracciare il viaggio mentale nel tempo, Lee ha dichiarato che la sua squadra ha iniziato chiedendosi se un topo potesse essere in un posto e pensare a un altro luogo.

Lee ha collaborato con altri ricercatori, tra cui il neuroscienziato e ingegnere Chongxi Lai. Insieme hanno addestrato i ratti a muoversi su un tapis roulant sferico: i ratti hanno usato il tapis roulant per muoversi attraverso un mondo virtuale tridimensionale proiettato su uno schermo circostante.

Mentre gli animali sono stati osservati nel loro mondo virtuale, gli elettrodi hanno registrato i segnali provenienti dalle cellule dell’ippocampo dei ratti. Nel corso del tempo, gli scienziati sono stati in grado di abbinare questi indizi di attività cellulare con luoghi definiti del mondo virtuale.

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Una volta che i ratti hanno esplorato quel mondo, i ricercatori hanno cercato di capire se i topi siano riusciti ad immaginare nuovi percorsi attraverso di esso.

Gli animali sono stati addestrati a spostare mentalmente un cubo virtuale in cima a una colonna tortuosa, ma questa volta i ratti non hanno usato il tapis roulant. Invece, hanno controllato il mondo virtuale solo attraverso l’attività cerebrale, senza muovere un muscolo. Se avessero spostato correttamente il cubo, avrebbero ricevuto una ricompensa: acqua.

Dopo un po’ di addestramento, gli apprendisti pelosi sono riusciti a padroneggiare il mondo virtuale e hanno imparato ad attivare il giusto modello di cellule nei loro ippocampi.

Mentre lo hanno fatto, hanno mantenuto mentalmente il cubo vicino alla colonna tortuosa per diversi secondi. I ratti potrebbero anche muoversi nel mondo virtuale e potrebbero utilizzare l’attività nell’ippocampo per “teletrasportare” degli oggetti.

Questa è una ricerca straordinaria“, ha aggiunto Mehta: “Apre molte possibilità entusiasmanti.” Scoprire come l’ippocampo riesce in questo esperimento potrebbe un giorno aiutare i ricercatori a diagnosticare e curare i disturbi della memoria”.

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Elettrodi posizionati in diverse parti del cervello umano hanno già consentito alle persone di controllare i computer. Questi dispositivi possono anche aiutare le persone a utilizzare gli arti robotici. Costruire dispositivi che utilizzano segnali provenienti dall’ippocampo potrebbe un giorno consentire alle persone di “muovere” oggetti nella realtà virtuale usando solo il cervello.

Daoyun Ji è un neuroscienziato del Baylor College of Medicine di Houston, in Texas. I nuovi risultati, prodotti da Lee e il suo team, offrono la prova che i ratti possono usare la loro immaginazione per eseguire alcuni compiti. E non si tratta solo dei topi: “È probabile che anche noi esseri umani immaginiamo attivando la memoria dell’ippocampo”, ha concluso il neuroscienziato.

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