Recentemente, l’interesse scientifico per i buchi neri primordiali (PBH) è cresciuto notevolmente. Questa attenzione è in parte dovuta alla loro plausibile candidatura come potenziale componente della materia oscura, ma il loro ruolo nell’Universo primordiale potrebbe essere stato ben più ampio. Una recente bozza di articolo, pubblicata da Jeremy Mould e Adam Batten della Swinburne University, suggerisce che i PBH potrebbero aver agito come i semi originari per la formazione sia dei quasar che delle radiogalassie.

Quasar: come i PBH potrebbero averli creati
Si ipotizza che i PBH si siano formati in una fase estremamente precoce dell’Universo, ovvero entro le sue prime migliaia di anni. A differenza dei buchi neri moderni, che generalmente nascono dal collasso di stelle massicce, i PBH si sarebbero generati da minuscole discrepanze nell’ambiente di radiazione che costituiva l’intero universo in quell’epoca. Queste discrepanze sono ancora oggi osservabili nel fondo cosmico a microonde (CMB) come piccole fluttuazioni nel segnale che raggiunge la Terra, sebbene finora non sia stata stabilita una connessione definitiva tra queste fluttuazioni e la formazione dei PBH.
Se i PBH fossero esistiti così precocemente, la loro formidabile attrazione gravitazionale avrebbe potuto fungere da “seme” per l’accrescimento di gas e polvere circostanti. Questo processo avrebbe permesso loro di crescere fino a diventare i buchi neri supermassicci che oggi risiedono al centro dei quasar, gli oggetti più luminosi conosciuti nell’universo. I quasar manifestano variazioni nella loro luminosità nel tempo, e la funzione di luminosità del quasar (QLF), che descrive tale variazione, rappresenta un elemento matematico fondamentale per comprendere l’evoluzione dei quasar e la loro influenza sulla formazione delle galassie circostanti.
Quasar: carburante dalle galassie minori e il loro declino di luminosità
Fraser ha delineato i buchi neri primordiali (PBH) e ha spiegato il crescente interesse della comunità cosmologica nei loro confronti. È fondamentale notare che la complessa matematica alla base della funzione di luminosità dei quasar (QLF), derivata da osservazioni dirette di questi stessi oggetti, mostra una sorprendente corrispondenza con le previsioni avanzate dalla teoria che vede i PBH come semi evoluti in quasar.
Questa concordanza si estende anche a una formula matematica ben consolidata, la Funzione di Schechter, conferendo ulteriore credibilità a questa affascinante teoria. Ma, aspetto ancor più rilevante, questa ipotesi offre una potenziale soluzione all’annosa questione di cosa alimenti i quasar.
Si ipotizza che piccole galassie, sebbene invisibili a noi a tali distanze estreme, possano essere il carburante che illumina i quasar mentre vengono progressivamente inghiottite. Man mano che il buco nero supermassiccio al centro del quasar consuma tutte le galassie a esso più vicine, inizia gradualmente a perdere la sua intensa luminosità. Questo processo segue la curva della QLF, la quale indica che la luminosità di un quasar è probabilmente inferiore quanto più l’oggetto è vecchio, ovvero quanto più elevato è il suo spostamento verso il rosso.
Un’altra interessante conseguenza della teoria proposta nell’articolo è la possibile correlazione tra quasar e radiogalassie, un tipo di galassia caratterizzata da forti emissioni nello spettro radio. Se l’ipotesi che i quasar siano “seminati” da buchi neri primordiali è corretta, essi potrebbero successivamente evolvere in una radiogalassia una volta che si siano “calmati” e abbiano consumato tutta la materia circostante. A supporto di questa tesi, gli autori evidenziano somiglianze tra le funzioni di luminosità di quasar e radiogalassie.
A supporto di questa tesi, gli autori evidenziano somiglianze tra le funzioni di luminosità di quasar e radiogalassie. Le radiogalassie presentano un’ampiezza complessiva ridotta nella loro luminosità, ma proprio per questo motivo godono di una maggiore longevità: l’articolo suggerisce che la vita media prevista di una radiogalassia sia circa dieci volte superiore a quella di un quasar.
I buchi neri primordiali dell’Universo e i loro segreti
Fraser ci guida nella comprensione dei quasar, riconosciuti come gli oggetti più luminosi dell’universo. Sebbene la teoria che li lega ai buchi neri primordiali sia in sorprendente accordo con gran parte dei dati osservativi attuali su quasar e radiogalassie, essa presenta anche delle previsioni che ne consentono una rigorosa verifica scientifica.
Una delle implicazioni più significative di questa teoria è la possibilità che i quasar possano essere impiegati come candele standard per la misurazione delle distanze cosmologiche. Attualmente, questo ruolo è ricoperto dalle supernovae di tipo Ia, note per la loro luminosità intrinseca standardizzata. L’origine dei quasar dai buchi neri primordiali potrebbe fornire la base necessaria per comprenderne e standardizzarne la luminosità, permettendo così il loro utilizzo come strumenti di misurazione delle immense distanze cosmiche.
Forse in modo ancora più decisivo per la verifica della teoria, il telescopio spaziale James Webb possiede la capacità di acquisire informazioni sui quasar che risalgono a un’epoca dell’universo mai osservata prima. Se i nuovi dati raccolti da Webb si allineeranno con le previsioni formulate da questa teoria, essa guadagnerà una maggiore accettazione all’interno della comunità scientifica, secondo i principi del metodo scientifico.
Anche se potrebbero volerci del tempo prima che Webb rilasci dati sufficienti a confermare o confutare la teoria, è sempre un vantaggio avere, in cosmologia, ipotesi con previsioni chiaramente verificabili. Se tutto ciò dovesse portare i cosmologi a disporre di un metodo aggiuntivo per misurare le distanze cosmiche e a una comprensione più profonda della formazione delle galassie nell’Universo primordiale, sarebbe un beneficio inestimabile.
Lo studio è stato pubblicato su arXiv.
