Un gruppo di ricercatori ha sviluppato una nuova tecnica in grado di riparare e persino rigenerare le cellule del muscolo cardiaco dopo un infarto (o infarto del miocardio). Sebbene finora sia stato testato solo sui topi, il trattamento, se applicato agli esseri umani, potrebbe potenzialmente essere un salvavita per le persone che hanno subito un infarto.
La tecnica utilizza un acido ribonucleico messaggero sintetico (mRNA). L’mRNA crea un “modello” di sequenze di DNA che il corpo utilizza poi per costruire le proteine che formano e regolano le nostre cellule. Modificando l’mRNA, gli scienziati possono fornire istruzioni diverse per diversi processi biologici.
Nella fattispecie, le istruzioni modificate promuovono la replicazione delle cellule del muscolo cardiaco (cardiomiociti) tramite due cosiddetti fattori di trascrizione mutati, Stemin e YAP5SA.
In sostanza, l’idea è di fare in modo che le cellule del muscolo cardiaco, che hanno pochissima capacità di rigenerarsi, agiscano come cellule staminali, che possono essere trasformate in vari altri tipi di cellule specializzate dall’organismo.
“Nessuno è stato in grado di farlo fino a questo punto e pensiamo che potrebbe diventare un possibile trattamento per gli esseri umani“, afferma il biologo Robert Schwartz, dell’Università di Houston in Texas.
Meno dell’1% delle cellule muscolari cardiache adulte può rigenerarsi – i cardiomiociti che abbiamo quando moriamo sono per lo più gli stessi che abbiamo dal primo mese di vita – e ciò significa che attacchi di cuore e malattie cardiache possono danneggiare il cuore in modo permanente.
In esperimenti sia su piastre di coltura tissutale che su topi vivi, Stemin ha dimostrato di riuscire ad attivare proprietà simili a quelle delle cellule staminali nei cardiomiociti, grazie all’azione di YAP5SA che promuove la crescita e la replicazione degli organi. Il processo è stato descritto come un “punto di svolta” dal team.
Lo studio in vivo che ha coinvolto topi vivi affetti da cuore danneggiato a causa di infarto ha mostrato che i nuclei dei miociti si replicano almeno 15 volte nelle 24 ore successive alle iniezioni dei fattori di trascrizione mutati, Stemin e YAP5SA. “Quando entrambi i fattori di trascrizione sono stati iniettati nei cuori di topi adulti infartuati, i risultati sono stati sorprendenti“, afferma Schwartz .
“Il laboratorio ha scoperto che i miociti cardiaci si sono moltiplicati rapidamente in un giorno, mentre i cuori nel mese successivo sono stati riparati a una funzione di pompaggio cardiaca quasi normale con poche cicatrici di tessuto connettivo residue“.
L’mRNA sintetico aggiunto alle cellule è scomparso in pochi giorni, proprio come fa l’mRNA prodotto nel nostro corpo, riferiscono i ricercatori. Ciò conferisce alla nuova tecnica un vantaggio rispetto ai processi di terapia genica che non possono essere facilmente fermati o rimossi una volta che sono in corso.
Resta ancora da vedere se l’approccio può essere tradotto con successo negli esseri umani – e saranno necessari molti anni di ricerca per trasformarlo in un trattamento funzionante – ma il team dietro la ricerca è fiducioso.
Il lavoro continua per capire di più sulle malattie cardiache e le lesioni cardiache provocate da infarto e su come il corpo risponde in seguito. Lo studio della salute cardiovascolare rimane una priorità per gli scienziati, con le malattie cardiache che sono attualmente la principale causa di morte negli Stati Uniti (rappresentando circa un quarto di tutti i decessi).
“Questo è un enorme studio sulla rigenerazione del cuore, soprattutto data la strategia intelligente di utilizzare l’mRNA per fornire Stemin e YAP5SA“, afferma il biologo Siyu Xiao, dell’Università di Houston.
In effetti, il successo di una simile terapia costituirebbe una svolta per le persone colpite da infarto, in cui il cuore resta danneggiato in modo permanente con pesanti limitazioni della funzionalità cardiaca. Il trattamento sviluppato dal team di Schwartz potrebbe restituire ad una vita pressochè normale le persone colpite da infarto.
La ricerca è stata pubblicata qui e qui nel Journal of Cardiovascular Aging.