La ricerca del “Santo Graal della fisica”, la gravità quantistica, potrebbe aver trovato un indizio cruciale in un luogo inaspettato: una ricetta quantistica per “cucinare” i buchi neri. È quanto suggerisce un nuovo studio che introduce correzioni quantistiche alla celebre teoria della relatività generale di Albert Einstein, formulata nel 1916.

La gravità quantistica: il Santo Graal della fisica
I buchi neri rivestono un ruolo fondamentale in questo contesto, in quanto la loro esistenza è stata teoricamente prevista per la prima volta proprio dalle soluzioni delle equazioni di campo di Einstein, che costituiscono il pilastro della relatività generale. L’introduzione di queste correzioni quantistiche non solo fornisce una nuova “ricetta” per la formazione dei buchi neri, ma apre anche una potenziale strada verso la gravità quantistica e l’ambita unificazione delle due teorie dominanti della fisica moderna.
Nonostante siano le colonne portanti della nostra comprensione del cosmo, la relatività generale di Einstein e la fisica quantistica coesistono in una relazione di profonda e, finora, irrisolvibile incompatibilità. La relatività generale ci offre una descrizione elegantissima e incredibilmente precisa della gravità e dei fenomeni che si manifestano su scale cosmiche, come il movimento delle galassie o la curvatura dello spazio-tempo causata da corpi celesti massicci. D’altro canto, la fisica quantistica è la nostra lente più raffinata per esplorare l’infinitamente piccolo, il mondo subatomico di particelle e interazioni fondamentali.
Entrambe le teorie vantano circa un secolo di successi, avendo superato innumerevoli test sperimentali e osservazioni che ne hanno costantemente confermato la validità nei rispettivi domini. Tuttavia, il loro conflitto emerge prepotente quando tentiamo di applicarle simultaneamente a scenari estremi, come l’interno di un buco nero o i primissimi istanti dell’universo dopo il Big Bang, dove sia la gravità che gli effetti quantistici giocano ruoli cruciali. La ricerca di una teoria unificata della gravità quantistica rimane pertanto una delle sfide più ambiziose e stimolanti della fisica contemporanea, un vero e proprio “Santo Graal” che, se raggiunto, potrebbe rivoluzionare la nostra intera visione della realtà.
L’enigma della gravità e le forze fondamentali
La fisica quantistica ha dimostrato una straordinaria capacità di decifrare le interazioni fondamentali che governano il nostro universo, riuscendo a spiegare ben tre delle quattro forze primarie: la forza elettromagnetica, responsabile di fenomeni come la luce e l’elettricità; la forza nucleare forte, che tiene uniti i nuclei degli atomi; e la forza nucleare debole, implicata nei decadimenti radioattivi. Eppure, la quarta forza, la gravità, rimane un ostinato enigma, refrattaria a un’integrazione completa nel quadro quantistico.
Nonostante le loro profonde differenze, sia la fisica quantistica che la relatività generale condividono un punto cieco critico: nessuna delle due teorie è in grado di fornire una descrizione completa di ciò che accade nel cuore dei buchi neri. Come ha spiegato Xavier Calmet, fisico teorico dell’Università del Sussex e autore principale della ricerca, i buchi neri sono regioni dello Spazio dove la gravità è così intensa da impedire la fuga persino della luce. Solitamente, li descriviamo attraverso la relatività generale, dove emergono come soluzioni alle equazioni di Einstein.
Al centro di questi colossi cosmici si annida una singolarità, un punto in cui le leggi della fisica, così come le conosciamo, cessano di avere validità. Qui, la densità dei buchi neri tende all’infinito, un concetto che i fisici detestano. Gli infiniti sono intrinsecamente non fisici e la loro comparsa in un’equazione segnala un fallimento, un’interruzione nella logica che sostiene le leggi fondamentali dell’Universo.
Quella singolarità al centro dei buchi neri non è solo un’anomalia, è un potente indizio per i fisici che la teoria della relatività generale è incompleta. Ciò che potrebbe mancare, e che è disperatamente necessario per colmare questa lacuna, è proprio la gravità quantistica. Calmet ha sottolineato che si ritiene che la relatività generale funzioni solo su scale grandi o “macroscopiche”.
Su distanze molto brevi, le cosiddette scale microscopiche, deve essere sostituita da una teoria quantistica della gravità capace di unificare le equazioni di Einstein con la fisica quantistica. Questa unificazione rappresenta il “Santo Graal della fisica teorica”, la chiave per svelare i misteri più profondi dell’Universo e per comprendere pienamente la natura stessa dello Spazio, del tempo e della materia.
Teoria delle stringhe e nuovi approcci
I fisici hanno a lungo inseguito una formula che unifichi la gravità quantistica, un vero e proprio Graal della fisica. La teoria delle stringhe, che postula la sostituzione delle particelle puntiformi con “stringhe” subatomiche vibranti, è emersa come la candidata principale per collegare la relatività generale e la fisica quantistica, ponendo le basi per la gravità quantistica. Tuttavia, questa affascinante teoria si scontra con ostacoli significativi. Attualmente, non esiste alcun metodo per verificarla sperimentalmente. Inoltre, essa si basa sull’ipotesi che l’universo possieda almeno undici dimensioni, un concetto per il quale, allo stato attuale, non abbiamo alcuna prova oltre le tre dimensioni spaziali e quella temporale che percepiamo.
Per Xavier Calmet e i suoi collaboratori, la mancanza di una teoria unificata completa non è stata un impedimento insormontabile. La loro strategia si è basata su un presupposto fondamentale: qualsiasi teoria della gravità quantistica proposta deve essere compatibile con la teoria della gravità di Einstein su larga scala.
Calmet ha spiegato che, pur non avendo ancora una teoria della gravità quantistica definitiva – che sia la teoria delle stringhe o qualcosa di completamente diverso – si sa che essa deve corrispondere alla relatività generale su scale macroscopiche. Questa informazione è sufficiente quando si utilizzano i metodi moderni della teoria quantistica dei campi per eseguire calcoli in gravità quantistica senza dover conoscere appieno la teoria sottostante. Utilizzando queste tecniche, i ricercatori possono calcolare le correzioni alle equazioni di Einstein che devono essere applicate a qualsiasi teoria della gravità quantistica.
Ciò che Calmet e i suoi colleghi hanno scoperto è rivoluzionario: oltre ai buchi neri che emergono dalle soluzioni alle equazioni della relatività generale, devono esistere anche “soluzioni quantistiche” per i buchi neri. Calmet ha precisato che è possibile costruire queste soluzioni analiticamente vicino all’orizzonte degli eventi, la superficie esterna del buco nero che intrappola la luce, e lontano dal buco nero stesso.
Un limite di questo approccio alla gravità quantistica è l’impossibilità di costruire soluzioni in prossimità della singolarità, poiché in quel punto è richiesta la piena conoscenza della gravità quantistica. Questo significa che il team non può affermare se la loro ricetta quantistica per i buchi neri porti alla stessa morfologia dei buchi neri che emerge dalla relatività generale.
Calmet ha sottolineato l’importanza di aver dimostrato l’esistenza di nuove soluzioni per i buchi neri nella gravità quantistica che non trovano riscontro nella relatività generale. Queste nuove soluzioni non sono semplici modifiche a quelle esistenti, ma rappresentano buchi neri completamente nuovi che esistono in un mondo di gravità quantistica. Il ricercatore dell’Università del Sussex ritiene che questo lavoro rappresenti un significativo passo avanti verso la comprensione di come la meccanica quantistica e la gravità interagiscono.
Calmet ha concluso che i buchi neri astrofisici che stiamo osservando potrebbero essere descritti altrettanto bene dalle loro nuove soluzioni quanto da quelle della relatività generale. Dato che le due teorie coincidono su grandi distanze, proporre test in grado di distinguere tra i due tipi di soluzioni sarà difficile. Quindi, almeno per ora, i segreti della gravità quantistica potrebbero rimanere gelosamente custoditi nel cuore oscuro dei buchi neri.
Lo studio è stato pubblicato su Letters Journal Exploring the Frontiers of Physics.
