L’orbiter Mars Express dell’ESA ha puntato la sua fidata telecamera stereo ad alta risoluzione (HRSC) verso Olympus Mons, il vulcano più imponente di Marte, rivelandone i drammatici dintorni e il turbolento passato.
Marte ospita i più grandi vulcani del Sistema Solare. Il più alto di questi è l’Olympus Mons, un gigantesco vulcano a scudo avvistato nel 1971 dalla navicella spaziale Mariner 9 della NASA. L’Olympus Mons è alto 21,9 km al suo apice, circa 2,5 volte più alto del Monte Everest della Terra.
Gli scienziati della sonda Mariner 9 osservarono non solo la vetta dell’Olympus Mons ma anche i suoi dintorni, notando un'”aureola” che si estende dalla base del vulcano per centinaia di chilometri. Questa aureola a sua volta circonda la “scarpata basale” del vulcano, un perimetro immediato attorno all’Olympus Mons che è notevolmente ripido, raggiungendo in alcuni punti i sette chilometri di altezza.
Queste nuove immagini mostrano una caratteristica accartocciata denominata Lycus Sulci, sui bordi dell’aureola; il vulcano stesso si trova fuori inquadratura in basso a sinistra (sud-est), a molte centinaia di km di distanza.
Crollo catastrofico
L’aureola – vista particolarmente bene in questa immagine del 2004 dal Mars Orbiter Laser Altimeter della NASA e nella mappa contestuale associata a questa nuova versione di Mars Express – racconta la storia di come i fianchi inferiori dell’Olympus Mons siano collassati catastroficamente diverse centinaia di milioni di anni fa.
Grandi quantità di lava un tempo scorrevano lungo il vulcano, innescando frane che precipitavano lungo i suoi fianchi per incontrare il substrato roccioso, in questo caso un substrato roccioso contenente ghiaccio e acqua.
La lava bollente ha fatto sì che questo ghiaccio si sciogliesse e diventasse instabile; di conseguenza, il bordo roccioso dell’Olympus Mons si spezzò e scivolò parzialmente. Questo crollo si verificò sotto forma di enormi cadute di massi e frane, che scivolarono verso il basso e si diffusero ampiamente nella pianura circostante.
Mentre le frane si allontanavano dall’Olympus Mons e viaggiavano attraverso la superficie marziana, venivano alternativamente compresse e allungate, accartocciate e separate. Ciò ha creato le caratteristiche rughe viste in queste nuove immagini di Lycus Sulci.
Indebolito dal vento
Dopo la sua formazione, Lycus Sulci divenne ancora più prominente per effetto del vento che sferza la superficie marziana, erodendone il materiale. Questo vento raccolse anche la polvere e la portò in lungo e in largo su Marte, spargendo poi questa sabbia fine sulle colline e sulle creste vicine.
Le singole frane come quelle vissute da Olympus Mons possono avere uno spessore di centinaia di metri. Tuttavia, per questo colosso, che ha visto numerosi crolli colossali e sovrapposti, possono raggiungere uno spessore di due chilometri.
Questa sovrapposizione di frane è ben visibile nell’immagine qui sopra; il terreno rugoso a destra dell’inquadratura è più antico delle accartocciature sovrastanti a sinistra, formatesi lungo le pendici del vulcano più tardi nella storia di Marte.
Simili ma alieni
Nonostante le loro dimensioni ultraterrene, i vulcani di Marte mostrano somiglianze con quelli che vediamo sulla Terra. Frane comparabili – nel tipo, se non nella scala – possono essere viste intorno alle isole vulcaniche delle Hawaii e delle Isole Canarie, che in passato hanno visto grandi cadute di massi.
Un’altra caratteristica che evidenzia le proporzioni davvero immense dell’Olympus Mons può essere vista a destra dell’inquadratura nel cratere Yelwa. Anche se piccolo rispetto all’esteso Lycus Sulci, questo cratere ha un diametro di oltre 8 km, poco meno dell’elevazione del Monte Everest sul livello del mare.
Il cratere Yelwa è situato a oltre 1000 km dalla vetta dell’Olimpo, a dimostrazione di quanto lontano si siano spostate le frane distruttive dai fianchi del vulcano prima di stabilizzarsi.
Esplorare Marte
Mars Express orbita attorno al Pianeta Rosso dal 2003 e continua a riprendere immagini della superficie di Marte, mappando i suoi minerali, identificando la composizione e la circolazione della sua tenue atmosfera, sondando sotto la sua crosta ed esplorando come i vari fenomeni interagiscono nell’ambiente marziano.
L’HRSC della navicella spaziale, responsabile di queste immagini, ha rivelato molto sulla superficie di Marte negli ultimi 20 anni. Le sue immagini mostrano di tutto, da creste e solchi scolpiti dal vento alle doline sui fianchi di colossali vulcani, ai crateri da impatto, alle faglie tettoniche, ai canali fluviali e alle antiche pozze di lava. La missione è stata immensamente produttiva nel corso della sua vita, creando una comprensione molto più completa e accurata del nostro vicino planetario che mai.