Uno degli scenari più popolari della fantascienza utilizza i buchi neri come portali per un’altra dimensione o tempo o universo. Questa fantasia potrebbe essere più vicina alla realtà di quanto immaginato in precedenza.
I buchi neri sono forse gli oggetti più misteriosi nell’universo. Nascono come conseguenza della gravità che comprime una stella morente senza limiti, arrivando a formare una singolarità; in pratica, un’intera stella viene compressa in un singolo punto producendo un oggetto con una densità infinita.
La singolarità provoca un buco nel tessuto dello spaziotempo stesso, forse aprendo un’opportunità per il viaggio nell’iperspazio, una scorciatoia, cioè, attraverso lo spaziotempo che consente di attraversare distanze su scala cosmica in un breve periodo.
I ricercatori finora hanno ritenuto che qualsiasi veicolo spaziale che tentasse di utilizzare un buco nero come un portale di questo tipo finirebbe per soccombere alle particolari leggi che regolano i buchi neri. L’ambiente caldo e denso della singolarità e, soprattutto le maree provocate dagli effetti gravitazionali, stirerebbero e comprimerebbero una navicella alla navicella, prima di vaporizzarla completamente.
Volare attraverso i buchi neri rotanti
Il mio team all’università Dartmouth del Massachusetts e un collega del Georgia Gwinnett College hanno dimostrato che non tutti i buchi neri vengono creati nello stesso modo e non tutti sono uguali.
Se il buco nero noto come Sagittario A*, situato al centro della nostra galassia, fosse grande e rotante, allora le prospettive per un veicolo spaziale cambierebbero drasticamente. Questo perché la singolarità che un veicolo spaziale dovrebbe affrontare sarebbe molto delicata e potrebbe consentire un attraversamento pacifico. La ragione per cui questo sarebbe possibile è che la singolarità rilevante all’interno di un buco nero rotante è tecnicamente “debole“, e quindi non danneggia gli oggetti che interagiscono con esso.
In un primo momento, questo fatto può sembrare controintuitivo. Ma si può pensare ad esso come analogo all’esperienza comune di passare rapidamente il proprio dito attraverso la fiamma di quasi 2000 gradi di una candela, senza bruciarsi.
La mia collega Lior Burko e io abbiamo studiato la fisica dei buchi neri per oltre due decenni.
Nel 2016, la mia studentessa in corso di dottorato, Caroline Mallary, ispirata dal film di successo di Christopher Nolan Interstellar, ha deciso di provare se Cooper (il personaggio di Matthew McConaughey), avrebbe potuto sopravvivere al tuffo dentro Gargantua, un buco nero fittizio, supermassiccio e in rapida rotazione, grande circa 100 milioni volte la massa del nostro sole.
Interstellar era basato su un libro scritto dall’astrofisico vincitore del premio NobelKip Thorne e le proprietà fisiche di Gargantua sono fondamentali per la trama di questo film di Hollywood.
Basandosi sul lavoro svolto dal fisico Amos Ori due decenni prima, e armato delle sue forti capacità computazionali, Mallary costruì un modello in grado di valutare la maggior parte degli effetti fisici essenziali su un veicolo spaziale, o qualsiasi oggetto di grandi dimensioni, che cada dentro un buco nero rotante grande come Sagittario A *.
La scoperta fu che in tutte le condizioni un oggetto che cade in un buco nero rotante non avrebbe esperienza di effetti infinitamente grandi sul passaggio attraverso la cosiddetta singolarità dell’orizzonte interno del buco nero.
Questa è la singolarità che un oggetto che entra in un buco nero rotante non può evitare.
Non solo, nelle giuste circostanze, questi effetti possono essere piccoli o trascurabili, consentendo un passaggio piuttosto confortevole attraverso la singolarità. In effetti, non ci possono essere effetti evidenti sull’oggetto che cade. Ciò aumenta la fattibilità dell’utilizzo di buchi neri rotanti di grandi dimensioni come portali per il viaggio nell’iperspazio.
Mallary scoprì anche una caratteristica che non era stata pienamente apprezzata prima: il fatto che gli effetti della singolarità nel contesto di un buco nero rotante comporterebbero un rapido aumento dei cicli di dilatazione e compressione sulla navicella spaziale.
Ma per i buchi neri molto grandi come Gargantua, la forza di questo effetto sarebbe molto piccola, al punto che la navicella spaziale e gli individui a bordo non la rileverebbero nemmeno.
Il punto cruciale è che questi effetti non aumentano senza limite; in effetti, rimangono finiti, anche se gli stress sulla navicella spaziale tendono a crescere indefinitamente mentre si avvicina al buco nero.
Ci sono alcuni importanti assunti di semplificazione e caveat risultanti nel contesto del modello di Mallary. L’ipotesi principale è che il buco nero preso in considerazione sia completamente isolato e quindi non soggetto a disturbi costanti da parte di una sorgente come un’altra stella nelle sue vicinanze o persino da una radiazione in entrata.
Questa ipotesi consente importanti semplificazioni e vale la pena notare che la maggior parte dei buchi neri sono circondati da materiale cosmico: polvere, gas, radiazioni. Pertanto, un’estensione naturale del lavoro di Mallary sarebbe quella di eseguire uno studio simile nel contesto di un buco nero astrofisico più realistico.
L’approccio di Mallary all’utilizzo di una simulazione al computer per esaminare gli effetti di un buco nero su un oggetto è molto comune nel campo della fisica dei buchi neri.
Inutile dire che non abbiamo la capacità di eseguire veri e propri esperimenti in o vicino ai buchi neri, quindi gli scienziati ricorrono alla teoria e alle simulazioni per comprenderne il funzionamento, facendo previsioni e nuove scoperte.
Gaurav Khanna, professore di fisica, Università del Massachusetts Dartmouth.
Questo articolo è ripubblicato da The Conversation sotto una licenza Creative Commons. Leggi l’articolo originale.