I Fast Radio Burst, o lampi radio veloci, (FRB) sono improvvise e intense esplosioni di energia ad onde radio provenienti dallo spazio profondo e restano uno dei misteri più intriganti dell’astrofisica. Un nuovo studio ha aggiunto preziose informazioni su ciò che potrebbe generarli.
Guidati da un team dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), i ricercatori hanno esaminato FRB 20201124A, scoperto per la prima volta nel 2020. In particolare, hanno analizzato una sorgente radio persistente (PRS) vicino al Fast Radio Burst.
Questa bolla di plasma è quella che viene chiamata nebulosa ionizzata, una nube di gas e polvere elettricamente carichi (ionizzati).
“In particolare, attraverso osservazioni radio di uno dei lampi più vicini a noi, siamo riusciti a misurare la debole emissione persistente proveniente dalla stessa posizione del Fast Radio Burst, estendendo di due ordini di grandezza l’intervallo di flusso radio finora esplorato per questi oggetti“, afferma l’astrofisico Gabriele Bruni dell’INAF.
Ognuno di questi fenomeni celesti potrebbe essere in grado di generare energia in quantità sufficientemente grandi da innescare i segnali Fast Radio Burst visti dal sistema, afferma il team. Una nebulosa circostante, la bolla di plasma prevista come responsabile del ronzio di fondo del PRS, potrebbe esserne la conseguenza.
“I dati ad alta risoluzione ci dicono, in primo luogo, che non sono distribuiti su un’ampia regione della galassia ospite, come ci si aspetterebbe per la formazione stellare“, afferma l’astrofisico Brendan O’Connor della Carnegie Mellon University negli Stati Uniti.
Ulteriori dati sono stati raccolti dai telescopi Northern Extended Millimeter Array (NOEMA) e Gran Telescopio Canarias, consentendo ai ricercatori di distinguere la quantità di energia rilasciata dal sistema a ciascuna lunghezza d’onda della luce, una parte fondamentale per decodificare i segnali provenienti da oltre un miliardo di anni luce di distanza.
“Sono stati rilevati nuovi dati a lunghezze d’onda radio che presentavano una risoluzione angolare migliore rispetto agli studi precedenti“, afferma O’Connor.
La ricerca è stata pubblicata su Nature.