Le ossa di una donna di circa vent’anni rinvenute in una fossa comune risalente a circa 5000 anni fa nella Svezia occidentale, hanno rivelato ai ricercatori che, probabilmente, la donna è morta di peste. La diagnosi è stata effettuata tramite l’analisi del DNA estratto dai dai suoi denti. Si tratterebbe del più antico caso di peste mai registrato.
Paleontologi ed archeologi concordano nell’attribuire a questa scoperta un valore determinante per la comprensione degli eventi occorsi in europa in quel periodo. Un’epidemia di peste potrebbe aver decimato la popolazione agricola dell’epoca neolitica in ampie aree dell’europa settentrionale e orientale, spingendo la popolazione a migrare verso occidente.
“Questi eventi hanno avuto conseguenze importanti per la storia dell’umanità“, ha detto Nicolas Rascovan, un bioinformatico dell’università francese di Aix Marseille, che ha guidato la nuova ricerca. “Le migrazioni di popoli da quelle che oggi sono la Russia e l’Ucraina verso l’europa occidentale nell’età del bronzo provocarono la scomparsa del pool genetico originale europeo“.
“Praticamente è il momento in cui nasce la composizione genetica dell’Europa moderna“, Aggiunge Simon Rasmussen, biologo evolutivo dell’Università di Copenaghen in Danimarca, coautore dello studio con Rascovan.
Queste migrazioni portarono anche significativi cambiamenti culturali, da cui nacquero i precursori della metà delle lingue parlate in tutto il mondo oggi.
Peste senza precedenti
Rascovan e Rasmussen hanno collaborato con gli archeologi per capire perché enormi villaggi agricoli neolitici da 10.000 a 20.000 persone sono stati improvvisamente abbandonati e bruciati. L’ampia densità di popolazione e il successivo crollo della popolazione costituiva già di per sé un indizio.
“Gli insediamenti sono i classici esempi da manuale di come un nuovo patogeno può emergere o evolvere“, ha detto Rasmussen. Migliaia di persone vivevano molto vicine tra loro, con scarse condizioni igieniche e in promiscuità con il bestiame d’allevamento e altri animali, per cui il team è andato alla ricerca di virus e batteri in grado di scatenare epidemie nei dataset di DNA umano antico disponibili pubblicamente.
Quello che hanno trovato è stata una sorpresa. Prove inequivocabili della presenza dei batteri, Y. pestis , che causano la peste. Quando hanno confrontato le sequenze di DNA della peste rinvenuto nella donna con altri ceppi noti, hanno scoperto di trovarsi davanti alla versione più evoluta del batterio identificata nell’antichità. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell.
La varietà di peste identificata dai ricercatori non è la peste bubbonica, il flagello ritenuto responsabile della Morte Nera, un’epidemia che portò via dal 30 al 60 per cento della popolazione europea verso la metà del 1300, ma è la versione chiamata peste polmonare. Al contrario della peste bubbonica, che si diffonde attraverso le pulci dei topi, la peste polmonare infetta i polmoni e può diffondersi da persona a persona attraverso goccioline di saliva. È la forma più mortale della piaga.
Secondo lo studio, è probabile che l’epidemia potè diffondersi attraverso i contatti commerciali che andavano costituendosi all’epoca grazie all’avvento della ruota e di altre tecnologie, che andavano diffondendosi. Questo fatto, se confermato, “avrà un grande impatto perché dimostrerà l’enorme impatto avuto da un singolo batterio sulla nostra storia“, ha concluso Rascovan.