Dibattito sull’esistenza di buchi neri intermedi

Sono diverse le teorie che riguardano la formazioni di buchi neri intermedi, ovvero entità con dimensioni diverse da quelle solitamente stimate finora

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Fino a poco tempo fa i buchi neri, quelle sfere così dense che nemmeno la luce è in grado di sfuggire dalla loro attrazione gravitazionale, sembravano avere delle dimensioni molto piccole, o molto grandi. Recentemente, gli astrofisici hanno dedotto la presenza di piccoli buchi neri stellari, con un peso che supera anche di 50 volte la massa del Sole, così come buchi neri giganteschi, collocati al centro delle galassie, milioni o miliardi di volte più pesanti. E’ un pò come vedere dei bambini e degli adulti, ma non vedere mai gli adolescenti.
Il 21 maggio del 2019, in occasione del rilevamento, da parte degli osservatori LIGO e Virgo, di un tremore derivante dalla fusione di una coppia di buchi neri, nelle profondità dello spazio, sono stati osservati per la prima volta, in maniera inequivocabile, dei buchi neri di medie dimensioni. Secondo le analisi, la coppia di buchi neri dovrebbe pesare tra le 66 e le 85 masse solari.
Da quando, lo scorso mese di settembre, la scoperta è stata ufficializzata, si è sviluppato un ampio dibattito, riguardante, in particolar modo, il modo in cui questi buchi neri di dimensioni intermedie si formerebbero. Una delle ipotesi potrebbe essere che buchi neri più piccoli crescono verso dimensioni intermedie assumendo gas e polveri. Oppure, la crescita potrebbe derivare dal consumarsi a vicenda, con un allargamento a ogni fusione successiva. E comunque, ancora le dinamiche di questi processi non sono molto chiare. In ogni caso, la genesi dei buchi neri di dimensioni intermedie ha una rilevante importanza perchè si intreccia con numerose altre questioni astrofisiche.
E’ comunque certo che questi buchi neri, 66 o 85 volte la massa solare, devono essere cresciuti in qualche modo, perchè non si sarebbero potuti formare semplicemente dal collasso gravitazione di stelle.
Quando le grandi stelle si avvicinano al loro esaurimento, al loro interno l’idrogeno si fonde, dando origine a elementi sempre più pesanti. Una volta che si è raggiunto l’elemento ferro, la fusione rende meno energia di quanta ne entra, e quindi il processo si ferma. Incapace di sostenere gli strati esterni pesanti della stella, il nucleo denso collassa gravitazionalmente, innescando un’esplosione e lasciandosi dietro un residuo ultracompatto e pesante: il buco nero.
Questo è quanto si verifica per le stelle fino a una certa dimensione. Se il nucleo di un’enorme stella si trova tra le 65 e le 135 volte la massa solare, esso può raggiungere delle temperature prossime ai 300 milioni di gradi Celsius, determinando la spontanea conversione di particelle di luce in coppie di elettroni e positroni. Con la scomparsa della pressione di radiazione, gli strati esterni prendono il sopravvento e cadono verso l’interno con maggiore impeto rispetto a quanto esperito in una supernova. L’intero nucleo subisce una forte esplosione, incenerendo completamente la stella senza lasciare nulla dietro.
I nuclei con un peso che oscilla tra 50 e 65 masse solari, sperimentano delle esplosioni parziali finché non scendono al di sotto dell’intervallo dove si verifica la formazione delle coppie elettroni-positroni; quindi, collassano gravitazionalmente in buchi neri. Questo significa che, in teoria, i buchi neri con un peso tra 50 e 135 masse solari non possono essere creati da stelle.
Eppure, anche prima della recente scoperta, molti astrofisici pensavano che potessero esistere dei buchi neri in quella regione proibita, in quanto ipotizzavano che i buchi neri stellari potessero trasformarsi in buchi neri giganti che ancorano le galassie, passando attraverso uno stadio intermedio.
Priyamvada Natarajan, un’astrofisica della Yale University, che ha lavorato per tanto tempo a modelli sui buchi neri di dimensioni intermedie, ha raccolto le sue ultime idee in un documento pubblicato lo scorso mese di settembre. Predilige scenari dove si vengono a creare dei piccoli buchi neri all’interno di aggregati di stelle nucleari, che si trovano nei pressi dei centri delle galassie. Questi buchi neri iniziali attraversano l’ammasso di stelle, accumulando gas e polvere, fino a quando non si collocano in un punto ben definito e interrompono il processo di crescita. A seconda della quantità di materiale che è contenuto all’interno del cluster, e del tempo di permanenza dei buchi neri dentro il cluster, si potrebbero sviluppare delle entità intermedie con un ampio intervallo di masse finali, tra cui potrebbero trovarsi entrambi i buchi neri rilevati a maggio 2019 da LIGO e Virgo.
Una teoria alternativa a quella della Natarajan è proposta da Imre Bartos, un fisico della University of Florida e si basa su modelli a fusione gerarchica, in cui i buchi neri crescono mangiandosi a vicenda, piuttosto che assumere gas e polvere.
I buchi neri possono avere un proprio momento angolare, lo spin, i cui valori estremi sono 01. Quando due buchi neri di dimensioni simili si accoppiano, lo spin del buco nero risultante è circa uguale a 0,7. Il buco nero finale, prodotto nella fusione osservata da LIGO/Virgo, per esempio, aveva uno spin pari a 0,72. Ma, i due buchi neri coinvolti nella fusione avevano spin simili, con valori pari a 0,690,73, suggerendo quindi che ognuno si sarebbe potuto formare da fusioni precedenti. Sembra che questo evento sia consistente con l’idea che i buchi neri tendano a fondersi continuamente.
Inoltre, i gas e le polveri che si accumulano nei buchi neri influenzano gli spin. La materia che cade all’interno di un buco nero, teoricamente va a formare un disco rotante, nel suo moto verso il centro del buco nero, generando quindi un moto rotatorio che si trasferisce all’intero buco nero. Ancora non sono chiari i dettagli di questo processo, ma certamente i materiali che finiscono dentro il buco nero sono responsabili degli spin osservati.
Esiste un’altra evidenza che si contrappone alla teoria della fusione multipla. Quando due buchi neri, di massa diversa, orbitano uno attorno all’altro, diffondono delle onde gravitazionali, come un irrigatore spruzza l’acqua, piuttosto che dirigere le onde simmetricamente in tutte le direzioni. Quindi, nel momento della fusione, è come se si chiudesse l’acqua. Le onde gravitazionali si dirigono da una parte e il buco nero risultante da un’altra, muovendosi con una velocità di decine di milioni di chilometri all’ora. Risulterebbe difficile rallentarne il moto per permettere una nuova fusione.
I buchi neri che si formano negli aggregati di stelle, sarebbero meno suscettibili a questo tipo di moto, causato da spinte gravitazionali. Ciò perchè questo tipo di aggregati si trova nei pressi di buchi neri giganteschi, la cui enorme influenza potrebbe frenare oggetti veloci e quindi consentire ai buchi neri di incontrare partner per la fusione.
Per il momento, ogni teoria deve avere lo stesso livello di considerazione, anche perchè i prossimi rilevamenti di LIGO/Virgo potrebbero dare vita a nuovi, e completamente diversi, scenari.
Anche se per il momento, a causa della pandemia da COVID-19, l’attività è un pò rallentata, comunque i dati raccolti finora continuano a dare agli astronomi del materiale su cui riflettere. Lo scorso mese di ottobre, una revisione dei dati LIGO/Virgo ha suggerito che la fusione in questione (quella rilevata il 21 maggio 2019) potrebbe aver coinvolto due buchi neri con pesi estremamente diversi, qualcosa come 16 e 166 volte la massa solare, piuttosto che le 66 e le 85 stimate. Se fosse così, entrambi i buchi neri deriverebbero da collassi solari, poichè le loro masse si trovano al limite della regione proibita. Non è necessario che siano dovuti crescere. E comunque, una tale situazione richiederebbe una spiegazione, perchè il più pesante dei due buchi neri sarebbe scaturito da una stella insolitamente grande.
Si può solo dire che siamo ancora all’inizio di un percorso in uno scenario finora inosservato.
Fonte: quantamagazine.org

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