- 1. Smart TV: da strumento per l’intrattenimento a macchine per la raccolta dati
- 2. L’Assistente Google: da innovazione utile a servizio sempre meno efficace
- 3. I PDF: da formato universale a incubo di usabilità
- 4. La trasmissione degli sport: il caos delle piattaforme a pagamento
- 5. Google Search: da strumento indispensabile a giungla pubblicitaria
- 6. Windows 11 e l’ossessione per l’AI
- Conclusione
Due anni fa, lo scrittore canadese Cory Doctorow ha coniato il termine enshittification per descrivere il progressivo degrado delle piattaforme digitali che hanno occupato quasi militarmente internet.
Il termine enshittification ha subito guadagnato popolarità perché riesce a catturare in modo efficace un fenomeno che milioni di utenti sperimentano ogni giorno: servizi online che iniziano offrendo valore, poi si trasformano in strumenti di sfruttamento per monetizzare il più possibile, fino a diventare vere e proprie macchine da soldi, spesso a scapito dell’esperienza degli utenti.
Secondo Doctorow, l’enshittification segue uno schema ricorrente:
- Le piattaforme iniziano offrendo qualcosa di utile e conveniente agli utenti per attirarne il maggior numero possibile.
- Quando la base utenti è solida, le piattaforme iniziano a sfruttare gli utenti stessi per trarre profitto, spesso introducendo pubblicità invasive, limitazioni, o strategie di monetizzazione aggressive.
- Infine, quando il servizio diventa essenziale per un gran numero di persone, la qualità precipita drasticamente perché l’unico obiettivo diventa estrarre il massimo valore possibile prima che gli utenti si ribellino o siano costretti ad accettare il nuovo status quo.
Le quattro forze che potrebbero contrastare questo fenomeno —concorrenza, regolamentazione, autodifesa degli utenti e il potere dei lavoratori tech— sono state progressivamente indebolite, permettendo alle grandi aziende di abusare della loro posizione dominante. Ars Technica ha raccolto alcuni esempi eclatanti di questa degenerazione.
1. Smart TV: da strumento per l’intrattenimento a macchine per la raccolta dati
Le Smart TV moderne sono molto diverse dai primi modelli lanciati nel 2008 da Samsung. Sebbene ci siano stati miglioramenti in termini di qualità dell’immagine, suono e usabilità, il vero cambiamento è stato nella loro funzione principale: oggi le TV non servono più soltanto a guardare contenuti, ma sono diventate strumenti per raccogliere dati e spingere pubblicità.
Le aziende che producono televisori hanno scoperto che possono guadagnare di più vendendo dati degli utenti agli inserzionisti piuttosto che dal semplice acquisto del dispositivo. Questo ha portato a decisioni progettuali discutibili: ad esempio, i nuovi telecomandi LG non avranno più un pulsante dedicato per cambiare input, ma offriranno invece più opzioni per accedere alle app proprietarie. Anche i modelli economici come i TV Roku vengono venduti in perdita perché il vero guadagno viene dalla pubblicità e dalla raccolta dati.
L’invasione della pubblicità e il monitoraggio costante hanno fatto sì che, per sfuggire all’enshittification sempre più utenti cerchino di disattivare le funzioni “smart” delle loro TV, tornando ai modelli tradizionali. Ma trovare un televisore che non raccolga dati è ormai un’impresa.
2. L’Assistente Google: da innovazione utile a servizio sempre meno efficace
Google Assistant è stato lanciato con la promessa di semplificare la vita degli utenti, permettendo di controllare dispositivi smart e ricevere risposte immediate. Ma negli ultimi anni, molte persone hanno notato un peggioramento delle sue prestazioni.
Su Reddit e altri forum, gli utenti lamentano che comandi vocali semplici come “Accendi le luci del garage” o “Imposta una sveglia” funzionano in modo incostante. Molte funzioni che esistevano anni fa sono state rimosse, e la sensazione generale è che il servizio si stia lentamente deteriorando.
Doctorow vede in questo il classico schema dell’enshittification: una volta che abbastanza persone hanno adottato un servizio, l’azienda smette di investire nella qualità e inizia a tagliare costi o introdurre nuove forme di monetizzazione.
3. I PDF: da formato universale a incubo di usabilità
Il formato PDF è stato per anni una soluzione indispensabile per condividere documenti, garantendo compatibilità tra piattaforme diverse. Tuttavia, nel tempo è diventato sempre più ingombrante e meno pratico.
Adobe, proprietaria del formato, ha introdotto una serie di funzioni che spesso risultano inutili per la maggior parte degli utenti, rendendo il software più pesante e pieno di problemi di sicurezza. Molti PDF oggi sono difficili da copiare e incollare, soprattutto quelli accademici, dove formule e note a piè di pagina creano problemi di formattazione.
Apple ha cercato di migliorare la situazione integrando la possibilità di creare PDF direttamente nel sistema operativo, ma ironicamente, il modo più affidabile per estrarre testo da un PDF oggi è fare uno screenshot e usare il riconoscimento ottico dei caratteri (OCR).
4. La trasmissione degli sport: il caos delle piattaforme a pagamento
Fino a pochi anni fa, seguire uno sport era relativamente semplice: bastava un abbonamento a un canale sportivo. Oggi, i diritti di trasmissione sono frammentati tra più servizi, costringendo i fan a sottoscrivere molteplici abbonamenti per seguire una stagione completa.
Un esempio è il ciclismo: nel 2020, il servizio GCN+ offriva quasi tutte le gare professionistiche per 40 dollari all’anno. Ma nel 2023, il servizio è stato assorbito da Warner Bros. Discovery, e ora seguire le stesse gare può costare fino a 550 dollari all’anno, suddivisi tra più piattaforme.
Questo modello si sta diffondendo anche in altri sport, con il calcio, la Formula 1 e persino l’NFL che spostano sempre più eventi su piattaforme in abbonamento come Peacock, Amazon Prime e Netflix. Il risultato è un’esperienza frammentata e costosa che scoraggia i nuovi spettatori e spinge molti a cercare soluzioni pirata.
Enshittification nella sua massima espressione.
5. Google Search: da strumento indispensabile a giungla pubblicitaria
Google Search, un tempo il motore di ricerca più affidabile, è sempre più invaso da pubblicità e risultati pilotati. Oggi, una ricerca può restituire pagine di contenuti sponsorizzati prima di arrivare a risultati utili.
L’introduzione delle risposte AI ha peggiorato ulteriormente la situazione. Molti utenti si sono lamentati di dover scorrere centinaia di parole di testo generato dall’AI prima di trovare la vera risposta alla loro domanda. In alcuni casi, le risposte automatiche si sono rivelate inesatte o addirittura pericolose.
L’ironia è che, mentre Google ha sempre criticato i social media per la diffusione della disinformazione, ora sta contribuendo al problema inserendo risposte AI non verificate in cima ai risultati di ricerca.
Anche qui, l’enshittification è ormai ad uno stadio davvero avanzato.
6. Windows 11 e l’ossessione per l’AI
Windows 11 è stato accolto con freddezza da molti utenti, soprattutto per le numerose modifiche imposte da Microsoft. Il sistema operativo è pieno di funzionalità indesiderate, aggiornamenti forzati e notifiche invasive che spingono gli utenti a usare Edge e Bing.
L’ultima tendenza è l’integrazione forzata dell’intelligenza artificiale, con funzioni spesso riservate ai nuovi PC più costosi. Il risultato è che molti utenti rimangono bloccati con un sistema meno efficiente e più invadente.
Per Microsoft l’enshittification con Windows è un problema cronico almeno dai tempi di Window ME.
Conclusione
L’enshittification è diventata la norma per le aziende tech, con servizi che iniziano offrendo valore per poi trasformarsi in strumenti di monetizzazione aggressiva. Che si tratti di Smart TV, motori di ricerca o piattaforme di streaming, la qualità dell’esperienza utente è sempre più sacrificata in nome del profitto. E finché le aziende non avranno incentivi a invertire la rotta, il problema non farà che peggiorare.