Da quando ha fatto la sua comparsa ad inizio 2020, il nuovo coronavirus non è stato unicamente argomento di dibattito tra scienziati e medici, ma ha scavalcato i confini degli addetti ai lavori per divenire terreno di scontro politico. Il tutto a colpi di notizie, e a livello globale.
La scienza
Mai prima d’ora la scienza era stata così al centro dell’attenzione dei media, con virologi, scienziati e medici ospiti fissi in tutte le trasmissioni, ogni giorno, a ogni ora; la novità rappresentata dal virus, la preoccupazione a livello globale per la crescita dei contagi e il desiderio di trovare una soluzione nel più breve tempo possibile, hanno reso la divulgazione di informazioni a riguardo un flusso continuo difficile da tenere a bada. Da argomento per gli addetti ai lavori a oggetto di discussioni da bar il passo è stato breve, non sempre con conseguenze positive: per poter parlare di scienza, è necessario almeno avere gli strumenti di base per interpretarla, un minimo di competenza che permetta di parlarne con cognizione di causa. Nella maggior parte dei casi non è stato così, e questo non ha fatto che aggiungere confusione all’incertezza generale, come se ce ne fosse bisogno.
Virologi e medici, i veri nuovi vip…
La rincorsa all’ultima notizia sul covid-19 riempie quotidianamente i palinsesti televisivi di esperti, virologi, primari di malattie infettive, epidemiologi, tutti incalzati dai media affinché diano la loro opinione: la seconda ondata sarà peggiore della prima? Si può raggiungere un’immunità di gregge? A quando il vaccino? E chi si è ammalato, può ammalarsi di nuovo? Mascherina sì, o mascherina no?
Il 2020 sarà ricordato anche per essere stato l’anno dei virologi, tanto che mediamonitor.it e Cedat85 hanno stilato una classifica per valutarne la popolarità, prendendo come parametri di riferimento il numero di citazioni fatte per ogni esperto su un campione di oltre 1500 fonti di informazione. Segno dei tempi che corrono, e non in senso buono. Soprattutto perché spesso sono gli stessi virologi e medici a dare opinioni non concordanti sul virus, fattore questo che potrebbe condurre a un generalizzato crollo della fiducia da parte delle persone nei confronti della scienza, o di un eventuale futuro vaccino, se i primi a non essere d’accordo tra di loro sono gli stessi a cui quotidianamente chiediamo certezze. Senza contare che questo potrebbe portare le persone ad assumere comportamenti poco prudenti o pericolosi ai fini del contenimento della pandemia, ottenendo quindi l’effetto opposto a quello sperato.
Proprio per correre ai ripari, recentemente 300 scienziati del CNR hanno sottoscritto una lettera aperta per rivendicare serietà e credibilità; preoccupati per l’attuale situazione in cui versa la reputazione della scienza, in questa lettera gli esperti ribadiscono l’importanza di una “informazione scientifica rigorosa e puntuale, non fuorviante e manipolabile a tutela del valore, dell’utilità e dell’indipendenza della stessa”. Insomma basta spettacolarizzazioni e contrapposizioni quando si parla di una materia così delicata, e sì a uno “spirito identitario di appartenenza”.
La politica
Ma la discussione sul covid-19 come passa dal campo medico a quello politico? L’argomento salute è forse il più democratico perché coinvolge ognuno di noi, parla dritto alla pancia delle persone, è il nostro bene più prezioso. Ed è qui che avviene il passaggio: la malattia può colpire chiunque e il modo in cui viene affrontata dalla politica può decidere l’andamento dei contagi in una nazione, il numero dei morti, la ricerca sul vaccino. Sulla lotta al nuovo coronavirus da mesi ormai si combattono le più aspre contese politiche, si legifera, si creano fazioni e tifoserie (nemmeno fossimo allo stadio), si cerca il consenso popolare, si portano avanti campagne elettorali.
Un esempio su tutti sono le recenti elezioni americane che hanno consegnato la presidenza degli Stati Uniti a Joe Biden, a discapito dell’uscente Donald Trump. I due sin da inizio emergenza sanitaria, hanno avuto atteggiamenti opposti riguardo al covid-19: da una parte il repubblicano Trump coi suoi modi troppo spavaldi e poco attenti alle indicazioni date dai virologi, uno su tutti Anthony Fauci, con cui si è spesso scontrato; dall’altra il democratico neo-eletto, giudicato più prudente e attento.
La strategia di Donald Trump nell’affrontare la pandemia è rimasta sempre la stessa: minimizzare il problema covid, anche nel momento in cui egli stesso lo ha contratto, perché fare diversamente, avrebbe significato rinnegare quanto detto negli ultimi mesi e dare ragione al proprio avversario Biden. Il tutto mentre il contagio imperversava violentemente negli Stati Uniti rendendoli il paese più colpito al mondo, senza contare gli ingenti danni economici che ne sono derivati. Un atteggiamento che gli americani non gli hanno perdonato.
Per non parlare della Cina, della Russia o del Brasile, solo per citare qualche paese in cui i governi hanno portato avanti un’idea di lotta al virus più fondata sulla politica che sulla scienza.
Pandemia e infodemia
Sembra dunque che il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 non sia più (o non sia mai stato) a esclusivo uso e consumo della comunità scientifica, ma ha attraversato tutti campi delle nostre vite, stravolgendole. E un ruolo primario lo ha svolto l’informazione, o meglio, il modo in cui è stata fatta, e continua a essere fatta, informazione a riguardo.
Abbiamo detto quanto la salute sia argomento sensibile per ognuno di noi, catturi la nostra attenzione e condizioni i nostri comportamenti: da qui emerge la responsabilità dei media nel modo di divulgare notizie sul coronavirus, troppo spesso più attenti al sensazionalismo che alla sostanza o all’utilità pubblica della notizia stessa.
Si è ingenerato un pericoloso circolo vizioso in cui gli scienziati dicono ognuno una cosa diversa, l’informazione divulga queste notizie dando a ognuna dignità di verità assoluta, e la politica manipola le scoperte che vengono fatte in base ai propri interessi.
Insomma, se il covid corre, di certo le notizie che lo riguardano non sono da meno: complice infatti la capacità oggi dei mezzi di comunicazione di raggiungere capillarmente ampie fette di popolazione anche grazie ai social network, insieme all’impossibilità di verificare tutto ciò che viene pubblicato, questo mare di informazioni ha avuto modo di espandersi indisturbato, influendo sulla percezione del virus da parte delle persone, spesso prive di competenze scientifiche per poterle rielaborare e comprendere.
D’altronde, se anche l’OMS ha parlato di infodemia, e la Treccani ha inserito la parola tra i neologismi un motivo ci sarà: di cosa si tratta esattamente? Per infodemia si intende tutta quell’abbondanza di informazioni, non tutte accurate e verificate, che rendono difficile per le persone orientarsi e trovare fonti attendibili quando ne hanno bisogno. Segno che il problema fake news è esploso col coronavirus come mai prima d’ora, e rappresenta una fonte di non poche preoccupazioni, soprattutto perché la cassa di risonanza di queste news spesso sono i social network, dove distinguere tra ciò che è vero e ciò che è falso non sempre è facile.
Fermo restando il diritto dei cittadini a essere informati, appare chiaro come un argomento così delicato come quello del covid-19 debba essere fatto oggetto di una comunicazione consapevole e verificata, lontana da sensazionalismi che portano sì ascolti, o like, ma che di certo non rendono un favore alla comunità.
Qualche dato
Secondo uno studio condotto dagli esperti della Fondazione Bruno Kessler per la rivista Nature Human Behaviour, sulla base dell’analisi di più di 100 milioni di messaggi su Twitter postati in 127 paesi in tutto il mondo, postati dal 22 gennaio al 10 marzo 2020, l’affidabilità dei dati circolanti in rete si è rilevata molto bassa e capace di correre ancor più velocemente dello stesso contagio da coronavirus, con le pericolose conseguenze apportate dalle fake news che tutti possiamo immaginare. “Abbiamo calcolato l’affidabilità delle notizie in circolazione – ha spiegato Riccardo Gallotti, della Fondazione Kessler – ed elaborato un indice infodemico per valutare l’entità dell’esposizione a notizie inaffidabili in tutti i paesi. Ondate di informazioni potenzialmente inaffidabili hanno preceduto l’aumento delle infezioni da covid-19, esponendo le nazioni a fake news che rappresentano una seria minaccia per la salute pubblica”.
Un dato che dovrebbe farci riflettere su quanto sia fondamentale una corretta comunicazione quando si parla di salute pubblica. La posta in ballo è davvero troppo alta. Le pandemie del passato ovviamente non hanno avuto a che fare con i social media, che svolgono un ruolo cruciale nel modo in cui è stato percepito il pericolo coronavirus, in un fiume in piena di informazioni praticamente senza filtri.
Insomma, la cosa migliore che possiamo augurarci per i mesi a venire, oltre ovviamente che la ricerca trovi finalmente una cura o un vaccino contro il covid-19, è che vi sia una maggiore senso di responsabilità da parte degli attori principali di tutta questa caotica vicenda: scienziati, politici e giornalisti.
D’altronde, una volta Umberto Eco disse che internet ha dato diritto di parola agli imbecilli. Certo non poteva immaginare che la pandemia facesse fatto tutto il resto.