Nel loro studio, Riess e i suoi colleghi hanno usato il telescopio spaziale Hubble per studiare 70 stelle variabili del gruppo delle Cefeidi nella Grande Nube di Magellano (LMC), una delle galassie satelliti della Via Lattea.
Le variabili Cefeidi si attenuano e si illuminano a velocità prevedibili e sono quindi considerate “candele standard” che consentono agli astronomi di calcolare le distanze.
Un altro tipo di candela standard, le esplosioni stellari conosciute come supernovae di tipo 1a, consente agli scienziati di misurare distanze ancora più lontane nello spazio (gli studi di Riess, Schmidt e Perlmutter sulle supernove di tipo 1a hanno portato alla scoperta che ha fruttato loro il Nobel).
Riess e il suo team hanno anche incorporato le osservazioni del progetto Araucaria, una collaborazione internazionale che ha coinvolto ricercatori negli Stati Uniti, Europa e Cile, che hanno studiato vari sistemi stellari binari LMC, studiando l’attenuazione che avveniva quando una di queste stelle passava davanti ad una vicina.
Questo lavoro ha fornito ulteriori misurazioni della distanza, aiutando il team a migliorare la comprensione della luminosità intrinseca delle Cefeidi.
La discrepanza della costante di Hubble
I ricercatori hanno utilizzato tutte queste informazioni per calcolare il tasso di espansione attuale dell’universo, un valore noto come costante di Hubble, dal nome dell’astronomo americano Edwin Hubble.
Il valore assegnato alla costante du Hubble è di circa 74,03 chilometri al secondo per megaparsec; un megaparsec equivale a circa 3,26 milioni di anni luce.
L’incertezza legata a questo numero è solo dell’1,9%, hanno spiegato i ricercatori. Questo è il più basso valore di incertezza fino ad oggi calcolato utilizzando questo approccio, in calo da circa il 10% nel 2001 e il 5% nel 2009.
“Uno è la misura di quanto velocemente l’universo si sta espandendo oggi, come lo vediamo noi, l’altro è una previsione basata sulla fisica dell’universo primordiale e sulla misura della velocità con cui dovrebbe espandersi“, ha aggiunto.
“Se questi valori non sono d’accordo, diventa molto probabile che alle nostre osservazioni manchi qualcosa nel modello cosmologico che collega le due ere“.
Probabilmente sarà necessario studiare qualche nuovo tipo di meccanismo fisico che accordi le diverse osservazioni.
Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal. Puoi leggerlo gratuitamente sul sito di preprint online arXiv.org.