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Il complesso del grande supervulcano italiano, i Campi Flegrei, ha sperimentato un sollevamento del suolo fino a 20 metri prima della sua ultima eruzione, secondo un recente studio pubblicato su Geophysical Research Letters.
I ricercatori, spinti dalla recente irrequietezza nel complesso del supervulcano, hanno studiato la sua eruzione del 1538 per approfondire la conoscenza delle dinamiche che animano i Campi Flegrei. I nuovi dati di ricerca ed i nuovi codici di modellizzazione possono migliorare i futuri strumenti di previsione e prevenzione della protezione civile.
Modelli matematici simulano il sistema magmatico dei Campi Flegrei
I Campi Flegrei, noti anche come “campi ardenti”, sono un vasto complesso vulcanico, distinto dal Vesuvio, che si trova nei pressi di Napoli, in Italia. Consiste di 24 crateri e strutture che si estendono dalla sua grande caldera vicino alla montagna del Vesuvio fino nel Golfo di Pozzuoli.
Oltre 1,5 milioni di persone risiedono sopra questo vulcano sotterraneo, con 500.000 che vivono all’interno della sua caldera lunga 11 chilometri, formata da una eruzione massiva avvenuta circa 39.000 anni fa.
I ricercatori hanno studiato un set di dati unico, inclusi dati geologici, archeologici e storici, per comprendere gli eventi che circondano l’eruzione del 1538, l’unica eruzione storicamente analizzabile della caldera flegrea. Hanno analizzato i cambiamenti del livello del suolo lungo la costa dal 1515 al 1650.
“E’ emerso che l’eruzione è stata preceduta da un’intensa deformazione del suolo che ha interessato dapprima l’area di Pozzuoli, poi localizzata nell’area della futura bocca eruttiva, raggiungendo una quota di 20 metri“, ha detto la prima autrice dello studio Elisa Trasatti, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in un comunicato stampa.
I modelli sviluppati hanno anche mostrato il trasferimento del magma durante l’eruzione da una sorgente profonda 4 km alla bocca del Monte Nuovo. Nel periodo successivo, il sollevamento del suolo si è verificato senza eruzione: Mauro Antonio Di Vito, coautore e direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV, ha spiegato che il suo team ha definito questo fenomeno una “eruzione interrotta“.
Cosa accadrebbe nel caso in cui Campi Flegrei eruttasse?
L’eruzione rilascerebbe anche un pennacchio di zolfo e cenere tossica, inducendo potenzialmente un inverno globale lungo anni, provocando gravi danni all’agricoltura ed estinzioni di massa.
Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che le eruzioni dei Campi Flegrei possono esaurirsi senza che il vulcano scateni tutta la sua potenza distruttiva.
“È stato stimato che la porzione di magma eruttato nel 1538 sia circa un centesimo di quello accumulatosi sotto il vulcano tra il 1250 e il 1650″, ha spiegato Valerio Acocella, docente dell’Università Roma Tre e coautore della ricerca. “Questo fatto evidenzia la forte capacità del sistema flegreo di trattenere il magma, eruttandone una porzione minima“.
Estratto dello studio:
Il trasferimento superficiale del magma è difficile da rilevare nei vulcani scarsamente monitorati. Il trasferimento di magma prima dell’ultima eruzione del 1538 nella caldera dei Campi Flegrei (Italia) è stato eccezionalmente monitorato utilizzando dati storici, archeologici e geologici.
Qui, estendiamo quel set di dati al 1650 per scoprire qualsiasi trasferimento di magma durante la subsidenza post-eruttiva. I risultati mostrano due fasi di subsidenza post-eruttiva, separate da un sollevamento precedentemente non documentato durante il 1540-1582. Il sollevamento evidenzia la pressurizzazione delle sorgenti pre-eruttive centrali (~ 3,5 km di profondità) e periferiche (~ 1 km di profondità), suggerendo un’eruzione interrotta.
Gli eventi di subsidenza richiedono principalmente la depressurizzazione della sorgente centrale e la pressurizzazione di uno strato magmatico più profondo (~8 km di profondità). Pertanto, nonostante la generale deflazione post-eruttiva, dopo il 1538 il serbatoio più profondo sperimentò un continuo rifornimento di magma, con magma quasi eruttato tra il 1540 e il 1582, sfidando l’ipotesi comune di deflazione post-eruttiva.
Ciò sottolinea l’importanza di monitorare i sistemi magmatici più profondi, anche dopo le eruzioni, per valutarne adeguatamente il potenziale eruttivo.