La bufala dei semiconduttori organici di Schön

Le applicazioni di questi semiconduttori organici, sono diverse e potenzialmente rivoluzionarie

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Nel 2000 Jan Hendrik Schön era un giovane ricercatore tedesco impegnato ai Bell Labs in New Jersey, una struttura che dal 1925 ha annoverato tra i suoi collaboratori ben 13 premi Nobel. Schön era impegnato in un campo ancor oggi all’avanguardia, il campo di ricerca dei semiconduttori organici, materiali che hanno reso possibili gli attuali comunissimi display ultrapiatti.

Le applicazioni di questi semiconduttori organici, sono diverse e potenzialmente rivoluzionarie

I sogni qualche volta si avverano e Schön decise che era il momento di far avverare tutte quelle predizioni che fino a quel momento erano state solo dei concetti. Schön grazie alle sue “scoperte” esordì su Nature con la storia di un transistor molecolare, un’unica molecola organica che si comportava elettricamente come un chip di silicio tradizionale.

Cosa avrebbe comportato una scoperta del genere? Sicuramente l’elettronica sarebbe cambiata tantissimo e ci avrebbe fatto superare i limiti fisici del silicio, grazie all’avvento dei circuiti a semiconduttori organici, più economici e più piccoli. Quello che stava per succedere era solo la punta dell’iceberg, perché le ricerche di Schön indicavano che i circuiti organici avevano un comportamento da superconduttore, funzionavano come pannelli fotovoltaici o emettevano luce coerente, luce laser!

Schön divenne presto una star…

Pubblicò inoltre nove articoli su Science e sette su Nature; nel mese di novembre del 2001 arrivò a pubblicare ben sette articoli, una produzione degna di nota per un professore a capo di un gruppo di medie dimensioni.

I dubbi però vennero a galla quasi subito perché nessun altro gruppo di ricerca riusciva a riprodurre i risultati ottenuti da Schön che si giustificava spiegando di aver ottenuto i suoi risultati in un laboratorio tedesco e di non disporre di nessun hard disk in grado di immagazzinare i dati dei suoi esperimenti che dopo l’elaborazione erano stati cancellati e i campioni oggetto dei suoi esperimenti danneggiati o misteriosamente persi.

Ma allora, come passavano, i suoi articoli, al setaccio della peer-review?

Le prove ulteriori che venivano richieste venivano semplicemente manipolate ingannando cosi il referee che magari richiedeva controlli ulteriori.

Arriviamo al 2002 quando Lydia Sohn (allora a Princeton, oggi a Berkeley) scoprì la punta dell’iceberg della truffa. Individuò due articoli, uno su Science e uno su Nature, che descrivevano due esperimenti molto diversi avevano in comune lo stesso grafico che presentava la stessa identica curva, con tutte le stesse minuscole deviazioni dell’errore casuale, e che per questo motivo non dovrebbero assolutamente ripresentarsi perfettamente uguali in due esperimenti simili, e ancora meno in due esperimenti realizzati a temperature differenti di 200 gradi.

Dopo queste constatazioni la Bell aprì un’inchiesta che costò a Schön il posto di lavoro e la cancellazione dei suoi articoli dalle riviste su cui erano comparsi. Dopo una battaglia legale durata sette anni, l’Università di Costanza presso la quale Schön aveva conseguito il dottorato vinse la causa e gli revocò il titolo per “condotta disonorevole”.