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Nuove specie “aliene” di vermi martello identificate in Europa e Africa – video

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Specie “aliene” di vermi martello predatori, tra cui uno spettacolare esemplare verde-blu iridescente, sono state identificate in Europa e Africa.

Una delle conseguenze della globalizzazione è la diffusione involontaria di specie animali e vegetali invasive. I vermi piatti hanno invaso il mondo intero, principalmente attraverso il commercio delle piante. Sono ormai diffuse più di dieci specie, come Obama nungara (originariamente dall’Argentina), Platydemus manokwari (dalla Nuova Guinea) e Bipalium kewense (dal sud-est asiatico).

Diversibipalium mayottensis, una specie invasiva di verme martello che si trova a Mayotte.
Diversibipalium mayottensis, una specie invasiva di verme martello che si trova a Mayotte.

Un team internazionale guidato dal professor Jean-Lou Justine dell’ISYEB (Muséum National d’Histoire Naturelle, Parigi, Francia), riporta la descrizione di due nuove specie di vermi piatti martello. Questo è il primo studio su queste specie, riportato in un articolo pubblicato sulla rivista Open Access PeerJ.

I vermi piatti sono predatori di animali del suolo, inclusi lombrichi e lumache. Sono una minaccia per la biodiversità e l’ecologia del suolo quando vengono introdotti in un nuovo ambiente. I vermi piatti Hammerhead sono membri specializzati di questa famiglia che mostrano una testa allargata.

Numerose specie di vermi piatti martello sono state descritte dagli scienziati, non da esemplari provenienti dalla loro terra di origine, ma da esemplari ottenuti dai paesi già invasi. È il caso, ad esempio, delle due specie presenti negli USA, Bipalium pennsylvanicum e Bipalium adventitium, originarie dell’Asia ma non segnalate da nessun paese asiatico. Le due nuove specie descritte in questo nuovo documento seguono uno schema simile.

La ricerca mette in evidenza il problema delle specie aliene e il loro potenziale di diventare invasive. Sono una delle principali minacce alla biodiversità, con un notevole impatto sui costi per l’economia. È stata utilizzata una gamma completa di tecniche, tra cui scienza dei cittadini, spedizioni sul campo, macrofotografia, morfologia classica e sequenziamento di nuova generazione in biologia molecolare.

I platelminti martello includono alcuni “giganti” tra i platelminti terrestri, con una specie che raggiunge un metro di lunghezza. Tuttavia, le nuove specie qui descritte sono piccole, il che forse spiega perché sono sfuggite all’attenzione dei ricercatori prima.

La prima nuova specie è stata denominata Humbertium covidum in riferimento al lavoro in fase di completamento durante i blocchi causati dalla pandemia globale e “in omaggio alle vittime del COVID-19 ”, scrivono gli autori. È stato trovato in due giardini nei Pirenei Atlantici (Francia) e anche in Veneto (Italia). È piccolo (30 mm) e ha un aspetto uniformemente nero metallizzato, un colore insolito tra i vermi piatti martello. Attraverso analisi genetiche del suo contenuto intestinale, i ricercatori hanno scoperto che questi vermi piatti consumano piccole lumache. L’origine della specie è probabilmente l’Asia ed è potenzialmente invasiva.

La seconda nuova specie è stata denominata Diversibipalium mayottensis ed è stata trovata solo a Mayotte (un’isola francese nel Canale del Mozambico, nell’Oceano Indiano). La specie è piccola (30 mm) e mostra una spettacolare iridescenza verde-blu su fondo marrone. Le analisi genetiche, compresi i mitogenomi, hanno mostrato che questa specie era il gruppo sorella di tutti gli altri vermi piatti martello (sottofamiglia Bipaliinae), ed è quindi di particolare interesse per comprendere l’evoluzione di questi vermi. La sua origine potrebbe essere il Madagascar, da dove sarebbe stato inavvertitamente portato a Mayotte da persone in passato.

Jean-Lou Justine ha dichiarato: “A causa della pandemia, durante il lockdown la maggior parte di noi era a casa, con il nostro laboratorio chiuso. Non erano possibili spedizioni sul campo. Ho convinto i miei colleghi a raccogliere tutte le informazioni che avevamo su questi vermi piatti, a fare le analisi al computer e infine a scrivere questo lunghissimo articolo. Abbiamo deciso di nominare una delle specie “ covidum ”, rendendo omaggio alle vittime della pandemia”.

Oltre alle classiche descrizioni anatomiche e morfologiche, i ricercatori hanno utilizzato i caratteri dei mitogenomi completi per caratterizzare la nuova specie. I genomi mitocondriali (o mitogenomi) con circa 15.000 paia di basi, forniscono una quantità significativa di informazioni, in particolare dettagli sui loro geni. I ricercatori, che in precedenza avevano studiato i mitogenomi in quattro specie di platelminti terrestri, descrivono qui i mitogenomi completi di cinque specie di platelminti martello. I mitogenomi completi e altre sequenze generalmente utilizzate per la filogenesi, come quelle dell’RNA ribosomiale della subunità piccola e grande (SSU e LSU), hanno permesso al team di ricerca di proporre il primo studio molecolare delle relazioni all’interno dei vermi piatti martello (sottofamiglia Bipaliinae).

Ibernarsi per un viaggio su Marte, come gli orsi

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Ibernare gli astronauti potrebbe essere il modo migliore per risparmiare sui costi di missione, ridurre le dimensioni dei veicoli spaziali di un terzo e mantenere l’equipaggio in salute durante il viaggio verso Marte. Un’indagine condotta dall’ESA suggerisce che l’ibernazione umana va oltre il regno della fantascienza e può diventare una tecnica che cambia il gioco per i viaggi spaziali.

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Ibernarsi per un viaggio su Marte – L’astronauta dell’ESA Paolo Nespoli dentro il suo sacco a pelo nel modulo Nodo 2 di costruzione italiana. Conosciuto anche come Harmony, il Nodo 2 è stato consegnato alla Stazione Spaziale Internazionale durante la missione Esperia di Nespoli, a bordo del volo STS-120 con lo Space Shuttle Discovery. Credito: NASA

Quando si preparano i bagagli per un volo andata e ritorno verso il Pianeta Rosso, gli ingegneri spaziali devono tenere conto di oltre due anni di cibo e acqua per l’equipaggio.

Stiamo parlando di circa 30 kg per astronauta a settimana, e oltre a questo dobbiamo considerare le radiazioni e le sfide mentali e fisiologiche“, spiega Jennifer Ngo-Anh, coordinatrice della ricerca ESA e del carico utile per l’esplorazione umana e robotica e uno degli autori del documento che collega la biologia all’ingegneria.

Il torpore durante l’ibernazione è uno stato indotto che riduce il tasso metabolico di un organismo. Questa “animazione sospesa” è un meccanismo comune negli animali che desiderano conservare l’energia.

Ridurre il tasso metabolico di un equipaggio in rotta verso Marte fino al 25% dello stato normale ridurrebbe drasticamente la quantità di provviste e la dimensione dell’habitat, rendendo l’esplorazione di lunga durata più fattibile.

Ibernarsi per un viaggio su Marte, lo studio di valutazione sugli orsi

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Ibernarsi per un viaggio su Marte. L’astronauta della NASA Kayla Barron riapre la porta del modulo Columbus dell’ESA, dopo che per due giorni e due notti i moduli laterali della Stazione Spaziale sono stati chiusi come misura precauzionale contro i detriti spaziali. Matthias ha postato questa immagine sui social media il 18 novembre 2021 con la didascalia: Credito: ESA/NASA

“Dove c’è vita, c’è stress”, osserva Jennifer Ngo-Anh. “La strategia ridurrebbe al minimo la noia, la solitudine e i livelli di aggressività legati al confinamento in un veicolo spaziale”, aggiunge.

Simulare il torpore terapeutico, ovvero l’idea di mettere l’uomo in uno stato di ibernazione, esiste negli ospedali dagli anni ’80: i medici possono indurre l’ipotermia per ridurre il metabolismo durante interventi lunghi e complessi. Tuttavia, non è una riduzione attiva di energia. Gli studi sull’ibernazione necessari per visitare altri pianeti potrebbero offrire nuove potenziali applicazioni per la cura dei pazienti sulla Terra.

Gli animali vanno in letargo per sopravvivere a periodi di freddo e scarsità di cibo o acqua, riducendo la loro frequenza cardiaca, la respirazione e altre funzioni vitali a una piccola frazione della loro vita normale, mentre la temperatura del corpo si abbassa vicino alla temperatura ambiente. Tardigradi, rane e rettili sono molto bravi a farlo.

Gli orsi sembrano essere il miglior modello per l’ibernazione umana nello spazio. Hanno una massa corporea simile alla nostra e riducono la loro temperatura corporea solo di pochi gradi, un limite considerato sicuro per gli esseri umani. Come gli orsi, gli astronauti avrebbero bisogno di acquisire grasso corporeo extra prima di entrare in letargo.

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Ibernarsi per un viaggio su Marte

Orsi e Astronauti

Durante il letargo, gli orsi bruni e neri si ritirano nelle loro tane e vivono sei mesi di digiuno e immobilizzazione. Se una persona passa sei mesi a letto, c’è una grande perdita di massa muscolare, forza ossea e più rischio di insufficienza cardiaca.

“Tuttavia, la ricerca mostra che gli orsi usciranno sani dalla loro tana in primavera con solo una perdita marginale di massa muscolare. Ci vogliono solo circa 20 giorni per tornare alla normalità. Questo ci insegna che l’ibernazione previene l’atrofia da disuso di muscoli e ossa e protegge dai danni ai tessuti”, spiega Alexander Choukér, professore di Medicina all’Università Ludwig Maximilians di Monaco, in Germania.

Livelli più bassi di testosterone sembrano aiutare l’ibernazione lunga nei mammiferi; gli estrogeni negli esseri umani regolano fortemente il metabolismo energetico.

L’equilibrio molto particolare e diverso degli ormoni nelle femmine o nei maschi e il loro ruolo nella regolazione del metabolismo suggeriscono che le donne potrebbero essere candidate preferite“, sottolinea Alexander.

Rendere confortevole e basso rischio la navicella

Gli scienziati suggeriscono agli ingegneri di costruire capsule a guscio molle con impostazioni ben calibrate per una dolce ibernazione: Un ambiente tranquillo con poche luci, bassa temperatura – meno di 10 °C – e alta umidità.

Gli astronauti si muoverebbero molto poco, ma non sarebbero limitati, e indosserebbero abiti che eviterebbero il surriscaldamento. Dei sensori indossabili misurerebbero la loro postura, la temperatura e la frequenza cardiaca.

Ogni capsula dovrebbe essere circondata da contenitori d’acqua che fungono da scudo contro le radiazioni. “L’ibernazione aiuterà effettivamente a proteggere le persone dagli effetti nocivi delle radiazioni durante i viaggi nello spazio profondo. Lontano dal campo magnetico terrestre, i danni causati dalle particelle ad alta energia possono provocare la morte delle cellule, la malattia da radiazioni o il cancro“, precisa Alexander.

Con l’equipaggio a riposo per lunghi periodi, l’intelligenza artificiale entrerà in gioco durante le anomalie e le emergenze.

Oltre a monitorare il consumo di energia e le operazioni autonome, i computer di bordo manterranno le prestazioni ottimali del veicolo spaziale fino a quando l’equipaggio potrebbe essere svegliato”, conclude Alexander.

Digital Pr: i comunicati stampa e la link building

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Quando si parla di link building, si fa riferimento a un’attività il cui scopo è quello di incrementare il numero di backlink che sono diretti a un sito web, allo scopo di migliorare la cosiddetta link popularity su Google e sugli altri motori di ricerca. Dal passato è stata ereditata la tecnica di link building che chiama in causa la press release, vale a dire la pubblicazione di comunicati stampa, in modo che tali comunicati possano essere pubblicati sia su siti web specializzati che su portali generalisti.

I comunicati stampa

In genere la redazione di un comunicato stampa viene effettuata mettendo al centro un determinato evento; il comunicato include un collegamento che porta a una certa pagina del sito dell’autore. Nel momento in cui il comunicato stampa viene ripubblicato su altri siti, in automatico su questi siti compare anche il backlink che conduce al sito dell’autore. Non è raro che la pubblicazione dei comunicati avvenga tramite un semplice copia e incolla. Tuttavia è importante che il comunicato venga preparato in modo che possa essere agevolata la sua ripubblicazione. È auspicabile che il contenuto non risulti troppo lungo, ma non deve essere nemmeno breve; la sua lunghezza deve essere simile a quella di un articolo classico, perché così ci sono più possibilità che il testo venga pubblicato così com’è, senza variazioni. È buona norma integrare il comunicato con alcune foto o immagini, affinché il testo risulti – per così dire – più appetibile e invogli alla lettura.

La gestione del comunicato stampa

Dopo che il comunicato è stato scritto, lo si deve segnalare tramite posta elettronica ai siti web a cui ci si vuole rivolgere in modo da beneficiare di una pubblicazione. Questo è un passaggio delicato e al tempo stesso importante: è chiaro, infatti, che maggiore è il numero di fonti online che sanno dell’esistenza del comunicato e più probabilità ci sono che esso raggiunga il successo desiderato. Se si è interessati a migliorare la diffusione del comunicato, una buona idea può essere quella di utilizzare le piattaforme di press release; le alternative tra cui scegliere sono molteplici, fra agenzie di comunicazione, siti web nati proprio per promuovere la condivisione dei comunicati, press agency e public relations. Gli esperti di pr hanno a disposizione anche i contatti personali di blogger e giornalisti, così come le mailing list.

I comunicati stampa per la Seo: pro e contro

I comunicati stampa online negli anni Duemila hanno rappresentato una tecnica di Seo off page molto diffusa: diversi siti web vi hanno fatto riferimento al fine di migliorare e aumentare la propria link popularity, anche se con un approccio artificiale. Tuttavia oggi i comunicati stampa vengono privilegiati solo come strumento di comunicazione per la link building, mentre il loro impiego in una prospettiva di tecnica Seo non solo viene ritenuto poco efficace, ma addirittura riscuote pochi apprezzamenti. Infatti, visto che – come si è detto – quasi sempre i comunicati stampa vengono copiati e incollati, apparendo con la stessa struttura e la stessa forma su siti differenti, si presentano come documenti non naturali, con gli stessi anchor text, gli stessi backlink e gli stessi contenuti.

Attenzione ai contenuti duplicati

I motori di ricerca non hanno difficoltà nel capire che hanno a che fare con un comunicato, sia a causa della presenza di contenuti duplicati, sia perché i testi si trovano in siti concepiti proprio per le press release, magari con una indicazione esplicita in tal senso. Nel momento in cui un comunicato stampa viene identificato come tale, è declassato rispetto agli articoli giornalistici o ai post tradizionali. In più, i backlink che si trovano all’interno dei comunicati vengono ritenuti link artificiali, e questo porta a diminuire o addirittura ad annullare del tutto la link popularity. In alcune circostanze, può succedere che i backlink ottimizzati per una keyword commerciale determinino un peggioramento del posizionamento sui motori di ricerca e una discesa nel ranking. I rischi di contenuti duplicati possono essere ridotti grazie alle cartelle stampa, che comprendono informazioni che i giornalisti possono rielaborare. Così, non si pubblicano più comunicati stampa tutti uguali, ma articoli diversi in base allo stile del singolo giornalista, secondo i più alti standard di qualità.

Il servizio di Digitalpr.store per la pubblicazione di comunicati stampa

Per la pubblicazione di comunicati stampa, Digitalpr.store rappresenta un importante punto di riferimento. Si tratta di una piattaforma di pubblicazione, e più precisamente di self publishing, grazie a cui è possibile raggiungere risultati soddisfacenti in una vasta gamma di settori, dalla brand identity allo storytelling, dal content marketing alla link building. Grazie a questa realtà è possibile da un lato migliorare la brand awareness e dall’altro lato sfruttare la link building per fare in modo che qualunque sito aziendale potenzi la Seo e diventi più autorevole agli occhi dei motori di ricerca.

Lunar Cruiser: il lancio Toyota previsto nel 2029

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Il team Toyota, in un comunicato, ha annunciato una grande collaborazione con la JAXA – agenzia spaziale giapponese – per la realizzazione di un veicolo per esplorare la superficie lunare, con l’ambizione di aiutare le future popolazioni ad andare a vivere sulla Luna entro il 2040, per poi puntare al pianeta rosso. A loro si accodano gli Emirati Arabi UAESA (United Arab Emirates Space Agency) che, proprio come la Toyota-JAXA, sono decisi a inviare sulla luna il primo Rover Arabo, prevedibilmente anche loro per il 2040.

In realtà, il Giappone aveva annunciato già nel 2019 il progetto di ricerca congiunto con casa Toyota, per ideare un possente rover lunare pressurizzato. Il veicolo sviluppato appunto con la Japan Aerospace Exploration Agency si chiama Lunar Cruiser, il cui nome rende omaggio al veicolo sportivo Toyota Land Cruiser. Questo lancio è fissato, salvo imprevisti, nel 2029 e, in linea progettuale dovrebbe anche essere di supporto alle operazioni avviate sul satellite nelle missioni di Artemis. Quest’ultima, ha l’obiettivo entro il 2024 di stabilire sul satellite una presenza umana, inteso uomo e donna, autosufficiente e a lungo termine sullo stesso. Vi collaborano Nasa, Esa, Jaxa, CSA (Canadian Space Agency) e altre agenzie spaziali-commerciali.

Takao Sato, che dirige il progetto Lunar Cruiser alla Toyota Motor Corp, avrebbe dichiarato che il Lunar Cruiser non è semplicemente un veicolo spaziale, bensì un mezzo che deve essere fruibile alle persone a tutti gli effetti. Basandosi sul semplice concetto che le persone mangiano, lavorano, dormono e comunicano con gli altri in modo sicuro in auto, e lo stesso può e deve essere fatto nello spazio esterno.

Consideriamo lo spazio come un’area per il nostro cambiamento, che avviene una sola volta nel corso del secolo. Andando nello spazio, potremmo essere in grado di sviluppare le telecomunicazioni e altre tecnologie che si riveleranno preziose per la vita umana“, ha dichiarato Sato a The Associated Press.

Lunar Cruiser Toyota-JAXA alla conquista della luna

Gitai Japan Inc, un’impresa convenzionata con Toyota, ha sviluppato un braccio robotico per il Lunar Cruiser, progettato per eseguire compiti come l’ispezione e la manutenzione. Il suo “grapple fixture” – letteralmente attrezzatura a pinza – permette di cambiare l’estremità del braccio in modo che possa lavorare come diversi strumenti, raccogliendo, sollevando e spazzando.

L’amministratore delegato di Gitai, Sho Nakanose, ha detto di sentire che la sfida di partire nello spazio è stata fondamentalmente raggiunta, ma lavorare nello spazio comporta grandi costi e rischi per gli astronauti. È qui che i robot potrebbero essere utili, si è detto.

Fin dalla sua fondazione negli anni ’30, Toyota si è preoccupata di perdere un core business a causa del cambiamento dei tempi. Si è avventurata in alloggi, barche, jet e robot. Il suo alloggio sostenibile collegato alla rete vicino al monte Fuji, chiamato Woven City, dove la costruzione sta iniziando quest’anno.

Il fascino giapponese per la luna è cresciuto

Un’impresa privata giapponese chiamata ispace Inc. sta lavorando su rover lunari, in atterraggio e in orbita, ed è previsto un atterraggio sulla luna più avanti nel corso dell’anno. L’uomo d’affari Yusaku Maezawa, che recentemente ha ripreso se stesso mentre galleggiava nella Stazione Spaziale Internazionale, ha prenotato un’orbita intorno alla luna a bordo della Starship del CEO di Tesla Elon Musk.

L’ingegnere della Toyota Shinichiro Noda ha detto che è entusiasta del progetto lunare, un’estensione della missione di lunga data della casa automobilistica per servire i clienti e la luna può fornire risorse preziose per la vita sulla Terra. “Inviare le nostre auto sulla luna è la nostra missione”, ha aggiunto. Toyota ha veicoli quasi ovunque. “Ma qui si tratta di portare le nostre auto in un posto dove non siamo mai stati”.

Nota: © Illustrazione grafica fornita da Toyota Motor Corp.

L’immagine mostra il veicolo “Lunar Cruiser” per esplorare la superficie lunare. Toyota sta lavorando con l’agenzia spaziale giapponese sul Lunar Cruiser per esplorare la superficie lunare, con l’ambizione di aiutare le persone a vivere sulla luna entro il 2040 e poi andare a vivere su Marte, hanno detto i funzionari della società venerdì 28 gennaio 2022. ©Credito: Toyota Motor Corp. via AP

Leggi anche: Il grafene e l’effetto Schwinger

Venti di guerra: La Cina addestra i droni per la difesa dai jet da combattimento – video

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La Cina ha condotto un’esercitazione per simulare un combattimento aereo tra un drone ed un aereo con e senza equipaggio 

Secondo i rapporti, i ricercatori cinesi hanno affermato di aver costruito un sistema basato sull’intelligenza artificiale in grado di insegnare ai droni da combattimento a vincere gli scontri aerei risultando migliaia di volte più efficaci della tecnologia statunitense comparabile.

I ricercatori hanno scritto sulla rivista interna peer-reviewed Acta Aeronautica et Astronautica Sinica il 28 gennaio che la maggiore velocità di apprendimento potrebbe aiutare il drone a rilevare le “manovre elusive” dei piloti umani, ridurre il carico di lavoro su un chip del computer e superare gli avversari in termini complessi nel combattimento aereo su larga scala.

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“L’algoritmo in questo documento può essere esteso a un combattimento aereo con più agenti di intelligenza artificiale, che sarà più vicino alla situazione reale in un campo di battaglia”, sostengono i ricercatori del China Aerodynamics Research and Development Center di Mianyang, nella provincia di Sichuan. Il sistema è stato messo alla prova simulando il combattimento tra un drone e un jet da combattimento.

Questo sviluppo arriva poco meno di due anni dopo che la DARPA (Defense Advanced Research Project Agency) degli Stati Uniti ha condotto un esercizio simile. Secondo il suo sito web, l’evento della DARPA era una competizione di tre giorni “intesa a dimostrare algoritmi avanzati in grado di eseguire manovre di combattimento aereo simulate, entro il raggio visivo.

Nell’esercizio, un diplomato del corso per istruttori di armi F-16 della US Air Force Weapons School è stato battuto cinque volte di seguito da un pilota guidato dall’IA in un combattimento aria-aria simulato.

Inoltre, l’attuale esercitazione basata sull’IA per addestrare i droni ad un combattimento aereo, potrebbe non essere stato il primo per la Cina. L’anno scorso, l’aeronautica militare cinese del comando del teatro centrale del PLA ha simulato un combattimento aereo in cui un pilota di grande esperienza è stato abbattuto da un aereo guidato dall’intelligenza artificiale, come riportato dall’EurAsian Times.

All’epoca, il media statale cinese Global Times citava un rapporto del PLA Daily, la newsletter ufficiale dell’esercito, sull’esercizio di simulazione. Tuttavia, non ha specificato quali aeromobili fossero impiegati nell’esercitazione.

Le capacità di combattimento della Cina sono migliori di quelle degli Stati Uniti?
I sistemi di intelligenza artificiale sono stati testati contro piloti di caccia F-16 in una competizione simile negli Stati Uniti. Heron Systems, con sede nel Maryland, è emersa vittoriosa nelle prove AlphaDogfight. Il sistema Heron aveva sconfitto i piloti in tutti e cinque i combattimenti aerei, richiedendo oltre 4 miliardi di round di “addestramento”.

Tuttavia, in netto confronto, secondo i ricercatori del Sichuan, ci sono volute solo “800.000 simulazioni” affinché il sistema cinese vincesse la maggior parte delle sue battaglie, ha affermato SCMP.

In precedenza, piloti esperti utilizzavano una picchiata profonda come ultima risorsa per far precipitare il drone a terra in una guerra simulata. Tuttavia, secondo l’autore principale Huang Jiangtao e i suoi colleghi, la nuova IA ha previsto la trappola e si è tirata su all’ultimo secondo, rimanendo in coda dell’avversario.

La tecnica originale per l’apprendimento automatico, secondo Huang, era dispendiosa poiché i computer ripetevano semplicemente i round di allenamento “alla cieca”, con ogni nuova sessione basata su dati casuali creati da esercizi precedenti. Poiché gran parte dei dati sono inutili, un computer potrebbe impiegare molto tempo per migliorare le proprie prestazioni.

Secondo Huang, il loro nuovo sistema di intelligenza artificiale è stato discriminatorio, selezionando solo i dati migliori per il round successivo

Nonostante il modello di apprendimento utilizzato fosse paragonabile a quello utilizzato da Heron e altri, il metodo di selezione ha prodotto una differenza significativa nella curva di apprendimento dell’IA. Per i motivi forniti dall’autore principale, il match di simulazione cinese avrebbe potuto funzionare meglio di quello degli Stati Uniti. La Cina sembra aver capito il deficit della tecnica che le ha permesso di ottenere risultati simili in simulazioni significativamente inferiori.

La svolta dell’IA in Cina

Secondo Huang, la macchina stava già volando costantemente come un pilota professionista dopo solo 80.000 round di allenamento. In una battaglia simulata utilizzando jet da combattimento J-10, un pilota aveva un vantaggio nei primi 30 secondi, ma la caccia si è trasformata bruscamente e non è riuscito a resistere alla macchina per più di 12 minuti.

Si prevede che i droni svolgeranno un ruolo crescente nella difesa, come è stato dimostrato negli ultimi tempi in varie zone di conflitto in tutto il mondo. Le attuali difese del paese sono vulnerabili ai droni statunitensi molto economici dotati di tecnologia stealth di ultima generazione, che potrebbero disabilitare i sistemi di comando centralizzati dell’esercito cinese.

Secondo il ricercatore dell’aeronautica, il maggiore generale Fei Aiguo, in risposta, l’Esercito popolare di liberazione ha iniziato a decentralizzare parti delle sue truppe da combattimento e ad assicurare flessibilità contro una potenziale invasione degli Stati Uniti con l’uso di droni alimentati dall’intelligenza artificiale simili.

Tuttavia, Fei e i suoi colleghi hanno dichiarato in un rapporto pubblicato sulla rivista Command Information System and Technology in ottobre che il sistema di intelligenza artificiale deve aumentare le sue capacità e imparare più velocemente dall’ambiente in continua evoluzione.

La maggior parte dei droni militari sono costruiti per la sorveglianza, l’allarme rapido, la comunicazione o l’attacco a bersagli a terra. Secondo alcuni specialisti militari, questi sistemi non possono gestire azioni sofisticate e veloci come i combattimenti aerei poiché una grande quantità di calcoli deve essere eseguita rapidamente.

Un altro problema è che la maggior parte dei chip per computer militari sono stati progettati con una tecnologia più lenta e conservativa per resistere ad ambienti difficili come calore intenso, pressione e disturbi elettromagnetici.

L’obiettivo principale del programma di intelligenza artificiale militare cinese è creare nuovi algoritmi in grado di estrarre prestazioni elevate da una macchina lenta. L’industria cinese dei droni ha visto un boom negli ultimi tempi poiché i suoi droni da combattimento hanno trovato popolarità tra gli acquirenti stranieri. Solo pochi giorni fa, il drone cinese WJ-700 con capacità di combattimento e raccolta di informazioni ha preso il volo per la prima volta, come riportato da EurAsian Times.

I droni cinesi hanno guadagnato una notevole popolarità in tutto il mondo, in particolare in Medio Oriente, che è emerso come il più grande cliente degli UAV cinesi Wing Loong. Anche il Wing Loong 1E, una nuova variante realizzata completamente in materiali compositi, è entrato a far parte della famiglia Wing Loong. È interessante notare che viene confrontato con le American Grey Eagles da osservatori militari.

Poiché i ricercatori cinesi creano sistemi di intelligenza artificiale più avanzati, in futuro si potrebbero ottenere risultati ancora migliori nei combattimenti aerei con i droni.

La normativa per la sicurezza e la tutela del patrimonio aziendale

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“Clearly worthless security is like a ship without a rudder.
But value without security is like a rudder without a ship”.
(HENRY KISSINGER)

In ogni azienda la sicurezza e la tutela del patrimonio aziendale rappresenta un aspetto fondamentale per la sua continuità operativa, la sua stessa “esistenza fisica”; un capitale che si esprime nelle sue forme più comuni, quali infrastrutture, beni, dati, valori, brevetti, proprietà intellettuale, etc.

Una condizione che richiede un forte e costante impegno, che richiede specifiche competenze manageriali sulle tecnologie, i materiali, gli impianti, i sistemi, e non ultimo sulle normative di settore, sempre in continua evoluzione, ma non sempre un “dominio” conoscitivo dei professionisti di settore.

Ecco che, per un Security Manager, rendere compliance il proprio ambito della sicurezza fisica significa tener conto di tutte le esigenze di protezione (safety e security), valutando attentamente, in fase di Risk Analysis, tutte le possibili vulnerabilità e le carenze latenti dell’organizzazione, trasformando tali analisi in concreti sistemi tecnologici di protezione (antintrusione, controllo accessi, videosorveglianza, building automation, etc).

Procedure, istruzioni di lavorazioni, capitolati per servizi esternalizzati, ordini di lavoro per specifici impianti, e così via, devono essere attentamente valutati, come abbiamo appena detto, anche sotto l’aspetto della compliance, con una particolare attenzione verso l’aspetto della conformità normativa tecnico-giuridica di ogni sistema progettato e successivamente installato.

Il professionista della sicurezza aziendale (UNI 10459) opera quotidianamente insieme ad altri professionisti di settore (installatori, progettisti), un ambito, quello della sicurezza (security, safety, building automation), dominato da una serie infinita di norme e disposizioni normative, spesso disomogenee tra loro, quando non curiosamente in antitesi, in fatto di responsabilità civili/penali.

Affine per specializzazione al comparto industriale degli impianti elettrici, è del tutto evidente come anche gli adempimenti normativi del settore sicurezza siano fortemente comuni ad entrambi, e seppur con talune sfumature, sempre ricadenti nel perimetro vincolato delle norme CEIUNI, del DM 37/08 e della Legge  186/68, tanto per citarne alcune.

Peraltro, il manager della sicurezza deve sempre affidare i progetti aziendali, per legge, a professionisti del settore di comprovata e certificata affidabilità, all’altezza del compito loro affidato.

Questo perché, quando i professionisti vengono meno ai vincoli contrattuali, convenuti con la committenza, ne risponderanno in sede civile e penale del “danno contrattuale” cagionato, come anche del “danno extracontrattuale”, effetto contemplato quando il professionista non è rispettoso della buona “regola dell’arte”e si concretizza, inoltre, quando non presta la dovuta “diligenza tecnica” propria delle sue capacità e cognizioni “tecnico-normative”.

Ciononostante, abbiamo due casi nei quali il professionista non risponde del danno, ovvero: quando nel contratto di commessa sarà espressamente prevista una certa “discrezionalità tecnica” gestita dallo stesso, che dovrà però sempre muoversi nell’alveo dell’obbligatorietà tecnica, mentre in secondo luogo, quando la committenza imponga le sue esigenze, laddove poi il professionista renderà edotta la stessa sulla reale possibilità di una “risultanza tecnica imperfetta” dei lavori commissionati.

Sebbene la nozione regola dell’arte abbia registrato una vasta divulgazione e il suo concetto inserito nei contratti, come nelle sentenze, pur essendo espressamente citata nell’art. 2224 del Codice Civile (C.C.) dove è scritto che “il prestatore d’opera è tenuto a procedere all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte”, ebbene, nonostante ciò mai è stata fornita una esplicazione tangibile della “regola”.

Invero, è proprio nel settore impiantistico elettrico che rinveniamo una prima definizione della regola dell’arte, infatti, all’interno dei due unici articoli che compongono la Legge n° 186/1968 sulle Disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni e impianti elettrici ed elettronici”, così è scritto:

Art. 1, tutti i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici devono essere realizzati e costruiti a regola d’arte;

Art. 2, i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici realizzati secondo le norme del Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) si considerano costruiti a regola d’arte.

Del resto, è lo stesso significato contenuto nella Legge n° 46/1990 sulle “Norme per la sicurezza degli impianti”, sostituita poi nel prosieguo del tempo dal Decreto Ministeriale DM n° 37/2008 “Regolamento sul riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici”, attività regolatoria che interesserà ancor di più i professionisti del settore, decreto che nell’art. 6 dice:

“Le imprese realizzano gli impianti secondo la regola dell’arte, in conformità alla normativa vigente e sono responsabili della corretta esecuzione degli stessi. Gli impianti realizzati in conformità alla vigente normativa e alle norme dell’UNI, del CEI o di altri Enti di normalizzazione appartenenti agli Stati membri dell’Unione europea o che sono parti contraenti dell’accordo sullo spazio economico europeo, si considerano eseguiti secondo la regola dell’arte”.

Una disciplina di applicazione, questa, basilare in quanto, a caratterizzazione speciale per gli impianti elettrici (residenziali/industriali) ed elettronici (security/safety), completa negli aspetti progettuali, procedurale e documentali, oltremodo precisa nel dettato installativo degli impianti tecnologici.

Concetti questi, ulteriormente rimarcati quando si realizzano installazioni, elettriche o elettroniche che fossero, negli ambienti di lavoro la dove impera il D.Lgsl n° 81/2008meglio conosciuto come il “Testo Unico” sulla “Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, dove nell’art. 81 riafferma parimenti il concetto:

comma 1. tutti i materiali, i macchinari e le apparecchiature, nonché le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici devono essere progettati, realizzati e costruiti a regola d’arte;
comma 2. ferme restando le disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, i materiali, i macchinari, le apparecchiature, le installazioni e gli impianti di cui al comma precedente, si considerano costruiti a regola d’arte se sono realizzati secondo le pertinenti norme tecniche;

Ma tuttavia, quando le norme tecniche (CEI/UNI, etc) non trovano applicazione, ebbene, una risposta alla definizione della regola dell’arte la dobbiamo pur trovare!

Sul punto troviamo una possibile soluzione nella locuzione legislativa “Bonus pater familias”ovvero, l’attenzione del buon padre di famiglia, che si concretizza giuridicamente con l’agire con perizia, prudenza e diligenza, secondo quanto contenuto nell’art. 1176 C.C.; indubbiamente, ciò posto rappresenta la diligenza media che si deve presuppone nell’uomo medio, ovverosia, la valutazione di quella diligenza che il codice sollecita affinché non sussista una colpa.

Pertanto, in questa fattispecie, sarà più laborioso e particolarmente macchinoso poter dimostrare come si applichi concretamente la regola d’arte, non avendo più nessun riferimento positivo e vincolante, proposto, ad esempio, dalla normativa tecnico-giuridica.

Orbene, alla luce di quanto accennato sin qui appare chiaro il fatto di non poter certificare, questa “astratta” regola dell’arte, né come realizzarla in una maniera certa, tale da non prestarsi a svariate ed equivoche interpretazioni.

E’ tuttavia indubbio, alla stregua di quanto detto, come nel settore elettrotecnico si imponga, per progettare prima e realizzare poi impianti tecnologici “a regola”, il rispetto delle regolamentazioni (leggi e norme) che sono articolate in due tipologie di riferimento: la norma tecnica e la norma giuridica.

Peraltro, la conoscenza delle normative, nella esatta distinzione dottrinale tra norma giuridica e norma tecnica, rappresenta il presupposto fondamentale, imprescindibile per un approccio professionale alle problematiche tipiche del settore impiantistico elettrico ed elettronico; sistemi che andranno realizzati al solo scopo di conseguire quel “livello di sicurezza accettabile” che la norma impone, ma che non è mai assoluto, perché al progredire tecnologico seguirà sempre una consequenziale rideterminazione regolatoria fatta sia dall’ente normativo (CEI/UNI, etc), che dal legislatore (Leggi, DPR, DM, D.Lgs, etc).

E allora diamolo uno sguardo, seppur sommario, alla differenza che intercorre tra la norma tecnica e quella squisitamente giuridica.

Per definizione le norme giuridiche appartengono alla “famiglia” delle norme di diritto, che impongono, in uno specifico settore, “regole” di condotta da seguire e quelle da evitare, mentre le leggi (scomponibili anche in più norme specifiche) hanno una caratterizzazione di applicabilità di larga portata.

D’altra parte, sebbene queste terminologie siano spesso prese come sinonimi, la norma non va mai erroneamente confusa con la legge, perché anche avendo sì le stesse caratteristiche (imperatività, positività, etc), si sostanziano, e dunque si differenziano, per la portata: la norma possiede un valore limitato in uno specifico settore, al contrario della legge che assume un valore di rilevanza generale, su regole di vita, di condotta e di comportamento.

Diversamente, l’osservanza delle norme tecniche non è obbligatoria per volontà espressa dal legislatore, che non le connota come “leggi”, ma le considera piuttosto come “documenti” che definiscono talune prassi, caratteristiche, processi, secondo uno “stato dell’arte” tecnologico del momento, dichiarandone pertanto la volontarietà di queste fonti.

Quindi, a ben vedere, non rappresentano l’esercizio in capo al potere legislativo, in quanto rappresentano il prodotto dell’elaborazione e dell’aggiornamento continuo che gli enti di normazione, in base allo sviluppo tecnico-scientifico, pongono in essere in delegazione di tutte le parti socioeconomiche interessate.

Questo è sempre vero laddove le norme volontarie sono considerate “isolatamente”;  diversamente, non è mai vero quando le norme tecniche e giuridiche si condizionano a vicenda, esercitando un impatto “giuridico” le une sulle altre, nella fattispecie applicativa propria dei loro ambiti di appartenenza, meglio conosciuta come “sfera di influenza”.

Un effetto di tal genere diventa cogente nel momento in cui la norma tecnica è richiamata all’interno di una legge, e dunque, questo richiamo fa valere il principio giuridico per cui qualsiasi norma richiamata assume la forza di legge.

E’ ben vero allora, e ora lo sappiamo con certezza, che solo quando il professionista applicherà con diligenza tali “indirizzi” dimostrerà un metodo deontologicamente corretto nel soddisfare il dettato applicativo della legge 186, garantendo peraltro, quel “livello minimo di sicurezza” rispondente proprio alla regola dell’arte, e dunque, applicando la normativa tecnica di riferimento non è più tenuto a dimostrare di avere lavorato secondo legge.

Detto ciò, appare evidente come la regola dell’arte vada considerata quale elemento in continua evoluzione dottrinale, ma riferita sempre allo “stato dell’arte” tecnologico in cui si opera, alla conoscenza tecnica del periodo, della normazione e delle vigenti leggi.

Quanto appena sostenuto sottolinea con forza l’obbligo per il professionista nel mantenersi sempre aggiornato sulla evoluzione tecnico-normativa (CEI, EN, UNI, etc), e su quella legislativa (Leggi, DPR, DM, DLgs, etc.), perché il mancato rispetto delle “Norme”, a prescindere dall’osservazione o meno dei singoli vincoli contrattuali, determinerà sempre una  giudiziale responsabilità per danni, confermata peraltro dalle molteplici pronunce giurisprudenziali (civili/penali), tanto di merito (Tribunali, Corti d’Appello) quanto di legittimità (Suprema Corte di Cassazione).

Né può, del resto, essere mai sottovalutata la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del professionista che opera nel settore della sicurezza, dato che la tal cosa nasce per effetto dell’entrata in vigore di indirizzi specifici contenuti nell’allegato K, appendice nella norma CEI 79/3:2012, oltre all’azione delle sentenze di condanna nel risarcire danni per negligenza, colpa, errata progettazione/realizzazione, mancato o cattivo funzionamento dei sistemi di sicurezza in occasione di eventi criminosi.

A tale riguardo, ogni professionista è tenuto a mantenere sempre un comportamento diligente necessario alla realizzazione dell’opera, adottando puntualmente tutte quelle misure e cautele necessarie, idonee per la corretta esecuzione della prestazione commessagli, secondo un modello di accuratezza e di abilità tecnica.

Ora, la diligenza si evidenzia nei profili della cura, della cautela, della perizia, della legalità sotto l’aspetto dell’integrità materiale, come nella mancanza di vizi.

Mentre, la perizia si sostanzia invece nell’uso delle abilità supportate da appropriate nozioni tecniche caratterizzanti la professione svolta, anche mediante l’utilizzo della strumentazione adeguata e necessaria all’attività professionale.

Solo per citare qualche esempio, richiamiamo l’attenzione del professionista su alcune sentenze della Cassazione, come la sentenza n° 12879/2012, dove è scritto che se un sistema di sicurezza antirapina non funziona correttamente per difetti imputabili alla manutenzione, allorquando il sito protetto è soggetto ad evento rapina, l’azienda incaricata dell’appalto manutentivo ne rispondere in solido dei danni sofferti, visto che: “… se non si ritenesse che un impianto di allarme specifico possa in qualche misura essere utile per evitare il furto o per attenuarne le conseguenze non vi sarebbe allora alcuna ragione per installarlo (sicché la sua potenziale utilità allo scopo può dirsi costituire nozione di fatto rientrante nella comune esperienza per gli effetti di cui all’art. 115, secondo comma, c.p.c.)…”

In un’altra sentenza, la n° 12995/2006, si ribadisce ad esempio come il professionista, anche laddove si attenga rigidamente alle indicazioni del progettista, può essere chiamato alla corresponsabilità per i “vizi dell’opera” in quanto, conservando in ogni caso una sua autonomia, non esegue gli impianti secondo la regola dell’arte, o in assenza di specifica formazione; quindi, quando il danno è provocato da elementi non contemplati nei precetti dottrinali, andrà sicuramente esercitato il comportamento del Buon padre di famiglia (perizia, prudenza e diligenza) che l’installatore deve sempre osservare, quando la norma è carente.

Tuttavia, anche quando l’installatore, nei limiti e in base alle cognizioni tecniche da lui conosciute, non segnala al committente le carenze progettuali o gli errori macroscopici dell’opera da realizzare, sarà comunque ritenuto corresponsabile in caso di danno, anche quando abbia eseguito fedelmente il progetto e le indicazioni in esso contenute, nonostante la presa di coscienza degli errori rilevati.

Diversamente, se il professionista rende edotta la committenza, documentando compiutamente i rilievi sulle eventuali carenze e/o errori progettuali, ma quest’ultima gli ordina comunque di eseguire le indicazioni palesemente errate del progettista, lo stesso sarà esente da ogni responsabilità, perché privato oggettivamente dalla libertà decisionale quale “nudus minister”, perché indotto comunque ad eseguirle su insistenza del committente, e a totale rischio di quest’ultimo (Cassazione sentenza n° 538/2012).

Partendo da questi capisaldi la Suprema Corte si è spinta oltre, stabilendo un assunto, secondo il quale, anche in assenza specifica normazione tecnica che obblighi precisi adempimenti, è configurabile la responsabilità per danni extracontrattuali conseguenti alla mancata osservanza delle generiche norme di salvaguardia.

D’altra parte, nel caso dell’installatore, tale figura opera spesso in un contesto eterogeneo, dove regolarmente vengono coinvolti più professionisti, e dunque, costretto a confrontarsi con progettisti, direttore dei lavori, responsabili della sicurezza, un fattore questo che implica possibili e significativi “effetti” in termini di responsabilità legali di “terzi” verso la committenza, però ascrivibili indirettamente anche allo specialista estraneo ai fatti.

Un classico esempio, che racchiude il tutto, è ben rappresentato da installazioni realizzate in zone classificate, e dunque altamente pericolose; ebbene, il mercato offre soluzioni di protezione per ambienti classificati di tipo “Ex d” ed “Ex tb” che consentono l’impiego, altrimenti impossibile, di strumentazioni e/o tecnologie non progettate per aree pericolose o a rischio di esplosioni.

In questo caso di “scuola” osserviamo diverse figure professionali coinvolte, ma con responsabilità interdipendenti tra loro:

  • il produttore;
  • il progettista;
  • l’installatore;

Il produttore garantisce l’adeguato livello di sicurezza delle apparecchiature e ne certifica l’idoneità all’installazione nel corretto ambito operativo, vincolato a fornire specifiche tecniche chiare ed esaustive, su impiego, utilizzo, installazione e manutenzione.

Viceversa, il progettista è il responsabile del dimensionamento e della corretta selezione dei componenti certificati, sempre vincolata alle esigenze impiantistiche, operative e di utilizzo, nel pieno rispetto della conformità alle norme e ai limiti delle attestazioni funzionali dei componenti.

Invece, la responsabilità dell’installatore assume una posizione decisamente più ambigua, nel momento che riceve la documentazione progettuale, giacché a seguire, ricadranno più incombenze su di lui, che sono quelle di attenersi alle indicazioni dettate dal progetto, verificandone però la fattibilità, come il rispetto dei limiti di utilizzo e installazione delle apparecchiature imposti dal produttore, e mai sindacabili, senza apportare modifiche di nessuna natura, anche quando effettuate “a regola d’arte”, considerando che ogni modifica arbitraria annullerà la sicurezza funzionale, pregiudicandone, peraltro, la conformità alle norme di riferimento e, quindi, la validità stessa del certificato, pregiudicando nel suo complesso l’intera realizzazione.

Proprio su tali motivazioni, la magistratura a preso delle contromisure processuali, affidando sempre più tutte le “indagini tecniche”, che riguardassero violazioni nel settore degli impianti tecnologici, con specifici incarichi investigativi volti a verificare la sussistenza giuridica di quell’accorgimento (bonus pater familias) che, quando non diversamente normato, avrebbe potuto evitare il concretizzarsi del danno e/o di un possibile reato, che si realizza in concreto con quanto già raccontato nella parte iniziale del nostro ragionamento, ossia: Perizia, Prudenza e Diligenza!

Ma la responsabilità dei professionisti del settore non si esaurisce esclusivamente nel solo ambito civile, perché per talune fattispecie viene estesa anche in quello penale, che ricordiamo, nell’ordinamento italiano è tipicamente “personale”.

Al riguardo è bene tenere a mente il disposto dei due commi dell’art. 40 del Codice Penale (C.P.) che dice:

  • c1, nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione;
  • c2, non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Altri punti chiave del Codice sono l’art. 5 ignoranza della legge penale (leggasi conoscere le leggi della propria professione), l’art. 483attestazione di falso in atto pubblico (leggasi falsa dichiarazione di conformità), l’art. 449incendio colposo (leggasi l’errato dimensionamento di un impianto, la sua cattiva realizzazione, l’utilizzo non conforme di materiale e tecnologie), l’art. 451 omissione colposa di cautele/difese (leggasi per colpa, omissione, ovvero rimuovere o rendere inservibili apparecchi destinati alla sicurezza).

Quindi, da questa summa lettura emerge chiaro come in tutti i campi professionali è l’omissione colposa ad essere punita, e dunque, è certamente sulla base di questo elemento principe, ad esempio, che si possono ascrivere ai professionisti fattispecie penali per reati consumati nell’esercizio della propria attività, quando questa ne comporta l’assunzione di una “posizione di garanzia”  (Cassazione sentenza n° 38624/2019), quale ad esempio quelle del progettista o dell’installatore degli impianti tecnologici, quando quest’ultimi sono sottoposti a certificazione di legge.

In aggiunta a quanto scritto qualche riga più sopra, per concretizzare la condizione di una qualsiasi responsabilità penale del professionista, non occorre necessariamente l’accadimento reale dell’evento, perché in ambito penale sussistono anche i reati di “mero pericolo”, una fattispecie penale dove viene punito già il semplice insorgere del possibile pericolo per l’incolumità pubblica.

Riassumendo, possiamo affermare che:

  • la regola dell’arte va intesa come quel complesso di regole tecniche da rispettare per garantire la realizzazione di opere con un livello minimo di accettabilità, in termini di gestione, efficienza, sostenibilità, durata e sicurezza del sistema reso;
  • un professionista, in buona sostanza, per poter operare conformemente secondo la regola d’arte deve anzitutto conoscere e applicare le relative norme tecniche di settore supportate dalla normativa giuridica di salvaguardia; sul punto, solamente gli impianti realizzati in conformità alle normative CEI/EN, sono, per la nostra legislazione, considerati realizzati a regola d’arte;
  • ricevendo un progetto, dovrà essere sempre all’altezza di interpretarlo correttamente, come, peraltro, capace di stabilirne le carenze e le non rispondenze, compatibilmente alle conoscenze e capacità tecniche limitate al suo profilo professionale;
  • al termine dei lavori dovrà sempre effettuare tutte le prove funzionali e le verifiche di sicurezza, certificando il tutto in accountability agli obblighi normativi.

In conclusione: uscire erroneamente, o peggio ancora dolosamente, dal “fil rouge” che unisce le normative tecniche a quelle giuridiche, danneggerà sempre la credibilità del professionista, giacché le non conformità rappresentano una chiara responsabilità amministrativa, civile e penale, della quale tanto i professionisti, quanto la committenza, ne risponderanno inequivocabilmente di fronte all’Autorità.

Probabilmente specie aliene simili a esseri umani vivono su pianeti lontani

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Se le condizioni su un pianeta lontano nell’universo permettessero alla vita di prosperare, assomiglierebbe in qualche modo alla vita qui sulla Terra? È una domanda che ha visto un aumento darwiniano di teorie contraddittorie nel corso degli anni.

Ora, in un’intervista con la rivista Science Focus della BBC, Simon Conway Morris, un paleobiologo evoluzionista dell’Università di Cambridge, afferma “con ragionevole sicurezza” che un’evoluzione simile a quella umana è avvenuta in altre parti dell’universo.

Applicare la teoria di Darwin all’intero universo

L’idea fa parte di una più ampia scuola di pensiero chiamata “evoluzione convergente“. La teoria afferma che le mutazioni casuali guidano l’evoluzione in media in un dato ambiente, il che significa che è probabile che organismi simili evolvano indipendentemente l’uno dall’altro. Questo, infatti, è stato osservato sulla Terra, dove uccelli, pipistrelli, insetti e pterosauri si sono evoluti per volare in modo indipendente. 

“La convergenza è uno dei migliori argomenti per l’adattamento darwiniano, ma la sua assoluta ubiquità non è stata apprezzata“, spiega il prof. Morris. “Si può dire con ragionevole sicurezza che la probabilità che qualcosa di analogo all’evoluzione di un essere umano si evolva è davvero piuttosto alta. E dato il numero di potenziali pianeti, ora abbiamo buone ragioni per pensare che esistano, anche se i dadi dei lanci riportano risultati 1 volta su 100, il che è ancora a un numero abbastanza elevato di intelligenze sparse in giro, che probabilmente saranno simili a noi”.

Umani delle dimensioni di un orso polare?

Tuttavia, non tutti gli scienziati sono d’accordo. Il defunto biologo evoluzionista Stephen J. Gould, ad esempio, ha sostenuto che se si potesse ripristinare l’evoluzione sulla Terra, la probabilità che gli esseri umani rinascano ancora una volta sarebbe quasi trascurabile.

Un altro scienziato, il cosmologo Fergus Simpson dell’Università di Barcellona, ​​sottolinea il ruolo delle dimensioni del pianeta sulle dimensioni e sulla natura di qualsiasi potenziale vita intelligente che potremmo scoprire. Usando le statistiche bayesiane, Simpson ha ipotizzato che è molto probabile che gli alieni abbiano le dimensioni di un orso polare a causa della dimensione media stimata dei pianeti in tutto l’universo. Poiché la Terra ha una dimensione maggiore della media, è probabile che siamo più piccoli di qualsiasi alieno che incontreremo mai: minore è la gravità di un pianeta, maggiore è la probabilità che una forma di vita cresca.

Che i suoi abitanti abbiano le dimensioni di un orso polare o meno, è certamente interessante immaginare una civiltà simile a quella umana distante milioni di anni luce dalla Terra. Potrebbe una tale civiltà anche interrogarsi sulla vita in altre parti dell’universo?

Con la NASA che ha recentemente lanciato il suo ambizioso telescopio James Webb, che aiuterà a cercare segni di vita aliena, presto potremmo avere un’idea migliore di cosa c’è là fuori.

La Russia aumenta la pressione su Ucraina e NATO

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Cresce la preoccupazione che la Russia intenda invadere l’Ucraina in tempi brevi. Una forza di Terra di circa 18.000 uomini dell’esercito russo si è infatti posizionata lungo il confine nord ucraino, in territorio bielorusso, mentre parte della flotta del mar Nero ha raggiunto il Mediterraneo unendosi alla flotta del Mediterraneo ed incrocia ora al largo delle coste della Sicilia, pericolosamente vicina alla flotta USA.

Nell’ultima settimana di gennaio, il ministero della Difesa russo ha annunciato che un’ondata di 140 navi da guerra e di supporto, 60 aerei e un totale di 10.000 membri del personale stavano partecipando a esercitazioni navali simultanee. Questo livello di attività non ha precedenti dai tempi della Guerra Fredda e prevede il dispiegamento di unità delle flotte del Mar Nero, del mare del Nord e del Pacifico. L’attività è progettata per dimostrare la capacità della Russia di minacciare l’Europa in vari modi e di concentrare ulteriormente le forze anfibie nel Mar Nero, potenzialmente per colpire il fianco meridionale dell’Ucraina.

Manovre costiere nel Mar Nero

L’operazione è iniziata a metà gennaio con i primi spostamenti significativi di navi da sbarco russe si sono spostate nel Mediterraneo. Due navi d’assalto di classe Ropucha, la RFS Olenegorskiy Gornyak e la RFS Georgiy Pobedonosets insieme alla moderna RFS Pyotr Morgunov sono salpate dalla base della flotta settentrionale. Altre tre Ropucha, RFS Korolev, RFS Minsk e RFS Kaliningrad si sono mosse dal Baltico e sono state sorvegliate a distanza quando hanno attraversato la Manica da navi NATO tra cui la HMS Dragon e la HMS Tyne. Tutti e sei le navi russe sono poi passate attraverso lo Stretto di Gibilterra e probabilmente condurranno esercitazioni nel Mediterraneo. La loro destinazione finale è probabilmente Sevastapol, dove aumenteranno la capacità anfibia della flotta del Mar Nero.

L’arrivo di queste 6 navi di modeste dimensioni aumenterà il numero di truppe che potrebbero sbarcare nella prima ondata di un assalto da circa due gruppi tattici di battaglione (BTG) a tre BTG e mezzo rinforzati (un BTG conta circa 800 soldati). Qualsiasi assalto anfibio è rischioso, ma fornisce ai comandanti una gamma di opzioni e creerà incertezza nella mente dei difensori ucraini, vincolando risorse che potrebbero essere utilizzate altrove. Con concentrazioni di truppe che ammontano a oltre 100.000 unità appena oltre il confine ucraino dalla Bielorussia a nord fino ai confini marittimi meridionali, l’Ucraina, di fatto circondata su tre lati e con parte dei territori meridionali, il Donbass e la Crimea, di fatto già egemonizzati dai ribelli pro Russia, potrebbe presto vedersela con navi d’assalto pronte a minacciare la sua costa.

Esercitazioni atlantiche

Dal punto di vista del Regno Unito, l’annuncio della Russia di organizzare un’esercitazione a fuoco vivo nei 240 km a sud-ovest dell’Irlanda tra il 3 e l’8 febbraio è dell’interesse più immediato. Un gruppo di 5 navi russe è stato osservato da un P3C-Orion dell’aeronautica norvegese dirette verso ovest nel Mare di Barents il 22 gennaio. Il gruppo è composto dalla fregata ASW FRS Vice-Admiral Kulakov, dalla moderna fregata missilistica FRS Admiral Flota Kastanov e dall’incrociatore FRS Marshal Ustinov insieme alla petroliera di supporto Vyazma il rimorchiatore SB-406. Le tre navi da guerra, probabilmente anche accompagnate da almeno un SSN, condurranno esercitazioni a fuoco.

Il piano originale emesso in un avviso agli Airmen (NOTAM) stabiliva che l’operazione si svolgerà all’interno della Zona Economica Esclusiva (ZEE) irlandese. I dettagli di ciò che è pianificato non sono naturalmente stati forniti, ma probabilmente includeranno fuoco d’artiglieria e lanci di missili. Il luogo dell’esercitazione è interessante perché sono stati osservati aerei russi TU-142 Bear a lungo raggio effettuare lunghi voli dalla Russia per girare intorno a quest’area prima di rientrare alla base. Ci sono anche cavi sottomarini transatlantici sui fondali marini della zona. I Bears dovranno probabilmente valutare le reazioni irlandesi (o la mancanza di) e le navi che parteciperanno all’esercitazione non hanno alcuna capacità di interferire con i cavi sottomarini.

Secondo il diritto internazionale, la ZEE si trova in acque internazionali, ma l’Irlanda ha il diritto di sfruttare le risorse minerali e naturali nell’area. I russi hanno il legittimo diritto di operare in quella zona, ma l’Irlanda ha manifestato una notevole preoccupazione e l’Autorità per l’aviazione ha confermato la necessità di reindirizzare i voli commerciali. In una svolta inaspettata e divertente della storia, però, i pescatori irlandesi sono riusciti a costringere i russi a trasferire l’esercitazione al di fuori della ZEE. Temendo che il rumore dell’esercitazione potesse influenzare i modelli di migrazione del melù, del tonno e di altra fauna marina, l’organizzazione irlandese dei produttori di pesce del sud e dell’ovest è entrato in azione, promettendo che avrebbero inviato pescherecci per monitorare e potenzialmente interrompere l’esercitazione. Ora, i russi terranno la loro esercitazione leggermente più lontano nell’Atlantico.

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Questo è il NOTAM originale che indica l’area dell’esercitazione russa prevista all’interno della ZEE irlandese e a circa 500 km dalla costa del Regno Unito (Via notaminfo.com). Sullo sfondo è mostrata la posizione approssimativa dei cavi di comunicazione sul fondale (tramite submarinecablemap.com).

La situazione evidenzia la difficile posizione dell’Irlanda come membro non NATO che spende solo lo 0,29% del PIL per la difesa, di gran lunga la più bassa di qualsiasi nazione europea tranne l’Islanda. In quanto debole potenza “neutrale”, non ha le risorse per scoraggiare o addirittura rilevare l’attività navale russa al largo delle sue coste. La flotta del servizio navale irlandese è composta da nove OPV armati solo di cannoni e non hanno capacità anti-sottomarino. Inoltre, l’Irlanda non dispone di un radar primario per monitorare il proprio spazio aereo e dipende dai transponder degli aerei e dall’aiuto della RAF per monitorare il traffico. In effetti, l’Irlanda conta sul Regno Unito e la NATO per la sua difesa e qualsiasi aspettativa di assistenza credibile da una sorta di costrutto di difesa dell’UE è una speranza vana.

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La fregata FRS Admiral Flota Kasatonov da 4.500 tonnellate è equipaggiata con 16 celle VLS per missili da crociera Kalibr Land Attack, P-800 Onik o missili antinave 3M22 Zircon, più 32 celle per missili terra-aria. Il subsonico 3M-54 Kalibr LACM ha una portata di 1.650 km e la variante Kalibr-M a portata estesa (fino a 4.500 km) è in fase di sviluppo per la distribuzione alla fine degli anni ’20. È improbabile che l’esercitazione pianificata sia un test missilistico da crociera, ma la Russia ha numerose piattaforme in grado di lanciare LACM. Il Regno Unito ha poche difese contro i missili da crociera.

Nel 2021 la marina russa ha condotto una serie di lanci di prova del missile ipersonico Zircon da navi di superficie e sottomarini nel Mare di Barents. Si dice che quest’arma abbia un ranger maggiore di 1000 km e voli a velocità fino a Mach 9. Non è chiaro se sia ancora entrato in servizio operativo, ma i test sembrano avere avuto successo. Se i russi possono schierare un affidabile missile antinave ipersonico, ciò potrebbe cambiare in modo significativo l’equilibrio del potere in mare. Nonostante ciò, nessuna arma è del tutto infallibile e il missile è solo parte di una complessa “catena di uccisioni” che richiede il perfezionamento di robuste reti di dati per fornire le informazioni necessarie per colpire un bersaglio in movimento a così lungo raggio.

È probabile che navi e sottomarini della Royal Navy e altri mezzi navali della NATO vengano schierati per monitorare da vicino l’esercitazione. Il lancio di prova di uno Zircon sarebbe un altro segnale forte da parte della Russia che sottolinea la sua superiorità sugli europei nella tecnologia missilistica. È possibile che l’esercitazione non abbia luogo affatto o in un’altra località e lo spostamento delle navi russe faccia solo parte di una campagna di distrazione da parte di Mosca mentre attività potenzialmente più nefaste vengono svolte altrove.

Uno sforzo coordinato

Oltre all’esercitazione a fuoco vivo nell’Atlantico e ai trasferimenti di navi nel Mediterraneo, altre flotte russe stanno organizzando grandi esercitazioni. La flotta settentrionale è costituita da navi che esercitano il controllo del mare nel Mare di Barents e nell’Artico. Le principali unità coinvolte includono il cacciatorpediniere RFS Severomorsk, la fregata RFS Admiral Flota Gorshkov e la nave da sbarco RFS Ivan Gren.

Tra il 26 e il 31 gennaio, più di 20 navi della flotta del Mar Nero sono state coinvolte in esercitazioni di guerra contro le mine, in particolare la caccia alle mine, forse un precursore di una potenziale operazione anfibia. Le fregate RFS Admiral Essen e RFS Ladney con le corvette RFS Grayvoron, Ingushetia, Naberezhnye Chelny, Suzdalets e Yeysk hanno svolto esercitazioni ASW e di difesa aerea. 20 navi della flotta baltica sono in mare per esercitazioni nella regione e le corvette RFS Stoykiy e Soobrazitelny hanno navigato per quello che è stato ufficialmente descritto come un “dispiegamento a lungo raggio“.

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L’incrociatore russo RFS Varyag, una fregata iraniana e il cacciatorpediniere cinese di tipo 052D Urumqi nel Mar Arabico.

Coordinamento con i cinesi

Un gruppo di lavoro della flotta russa del Pacifico, tra cui l’incrociatore RFS Varyag e il cacciatorpediniere RFS Admiral Tributs, ha condotto l’esercitazione antipirateria “Peaceful Sea-2022” nel Mar Arabico occidentale con il cacciatorpediniere cinese PLAN Urumqi e la nave di rifornimento Taihu. Il ministero della Difesa nazionale cinese ha commentato: “L’esercitazione ha ulteriormente arricchito la connotazione del partenariato strategico globale di coordinamento tra Cina e Russia nella nuova era” . RFS Varyag e Admiral Tributs dovrebbero passare a nord attraverso il Canale di Suez, concentrando ulteriormente la potenza navale russa nel Mediterraneo orientale.

Non sorprende che i cinesi stiano appoggiando diplomaticamente Putin sull’Ucraina e niente sarebbe più interessante per loro di un’invasione che potrebbe attirare risorse e mezzi statunitensi a concentrarsi in Europa e lontano dal Pacifico. L’imposizione di dure sanzioni economiche contro Mosca che seguirebbero a un’invasione probabilmente costringerebbe i russi a fare più affidamento sul sistema finanziario cinese.

Formidabile nemico?

Viene spesso commentato il peso maggiore dell’armamento trasportato dalle navi russe rispetto alle loro controparti della Royal Navy. In generale, le navi russe sono costruite sacrificando resistenza e comfort dell’equipaggio con armi più offensive.

Gran parte della flotta di superficie come la maresciallo Ustinov (1984) risale ancora all’era sovietica, ma lentamente vengono consegnati combattenti di piccole e medie dimensioni più moderni. L’Ustinov è una buona dimostrazione di come riempire di armi ogni centimetro di una nave da guerra possa essere una benedizione mista. Ustinov, uno dei 3 splendidi incrociatori di classe Slava costruiti negli anni ’80 che prevedeva un’importante modernizzazione, è rimasto in cantiere per 6 anni, per poi emergere nel 2016 dopo i lavori di ristrutturazione. Tuttavia, gli aggiornamenti per le sue due sorelle Mosvaka e Varyag sono stati abbandonati a causa del costo e della complessità del lavoro.

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L’aspetto del maresciallo della RFS Ustinov è dominato dai contenitori per 16 missili anti-nave P-1000 Vulkan. Progettato principalmente come “assassino di portaerei” da sparare a salve di quattro, il missile ha una testata da 1000 kg e una portata di 700 km. Ustinov ha anche rampe VLS per 104 SAM (Foto: Forsvaret / Norwegian Air Force, Barent Sea, 22 gennaio).

In un confronto simile, le navi da guerra russe sembrano spesso superare considerevolmente le loro equivalenti occidentali, ma questo deve essere visto nel contesto di numeri complessivamente inferiori rispetto al peso combinato delle marine NATO. Nei domini meno ovvi, ma critici della guerra elettronica, del radar e della tecnologia acustica subacquea, si ritiene generalmente che i russi siano indietro. La marina russa è anche notevolmente vincolata dalla geografia e deve attraversare acque relativamente confinate per entrare nell’Atlantico o nel Mediterraneo, rendendola più vulnerabile al rilevamento, al monitoraggio o all’attacco. I problemi della flotta di superficie con la propulsione, la mancanza di ausiliari navali e la resistenza limitata si basano su una strategia di “colpisci per primo e colpisci duramente” piuttosto che su una guerra di logoramento prolungata.

Tra gli osservatori c’è a volte la tendenza a liquidare la Marina russa come un mucchio di relitti arrugginiti, un’opinione che ha messo radici negli anni ’90 dopo che il crollo del comunismo ha visto un drammatico declino delle forze sovietiche un tempo potenti. Questa percezione è rafforzata dalla classica immagine della portaerei Admiral Kusnetsov che erutta fumo dai motori spenti, dalla necessità di rimorchiatori per supportare schieramenti a qualsiasi distanza e dai regolari incendi e disastri nell’infrastruttura costiera. Ci sono certamente problemi con lo stato materiale di molte navi, ma Putin ha fatto un deciso sforzo per aumentare l’efficacia di ciò che è disponibile. L’industria si è dimostrata incapace di costruire grandi combattenti di superficie, ma una strategia asimmetrica di costruzione di navi da guerra piccole ma pesantemente armate è un percorso alternativo ragionevole.

La marina russa è in declino, mentre lotta per sostituire le sue numerose navi e sottomarini dell’era sovietica. Ma nel prossimo decennio i numeri riprenderanno a salire. Se la capacità industriale e i fondi corrisponderanno pienamente alle sue aspirazioni è ancora discutibile, ma gli analisti svedesi affermano che i numeri di SSN/SSGN raddoppieranno, passando da 10 a 21 navi entro il 2029. Gli SSK aumenteranno da 18 a 38. Il numero totale di cacciatorpediniere, fregate e corvette aumenterà da 61 a 92.

La linea europea

Tra le nazioni europee, il Regno Unito ha assunto la guida diplomatica più decisa nel resistere a ulteriori mosse russe contro l’Ucraina. In termini di hard power, ciò ha comportato la fornitura all’Ucraina di armi anticarro e addestramento, ma non comporterà l’invio di truppe. È, però, in mare che il Regno Unito può contribuire maggiormente, potenzialmente inviando navi come parte del gruppo di lavoro della NATO a rotazione nel Mar Nero e nel Mediterraneo orientale. L’HMS Prince of Wales è ora l’ammiraglia della NATO Response Force e sarà la piattaforma di comando per l’esercitazione Cold Response al largo della Norvegia a marzo con il coinvolgimento di HMS Defender, Albion e RFA Mounts Bay. Cold Response e la successiva esercitazione BALTOPS hanno lo scopo di rassicurare i partner della NATO ai confini della Russia, ma il programma potrebbe essere modificato man mano che gli eventi si svolgono.

Intanto, sei navi delle forze da sbarco russe si sono posizionate tra la Sicilia e le Baleari; secondo quanto riferito, le navi russe sono state seguite da una nave da pattuglia d’altura classe Meteoro della Marina spagnola e almeno un aereo da pattugliamento marittimo P-8A Poseidon della Marina degli Stati Uniti sembra essere stato nelle vicinanze durante il loro passaggio.

il Ministero della Difesa russo aveva annunciato che tutte e sei queste navi da guerra anfibie prenderanno parte a manovre su larga scala pianificate nel Mediterraneo. Altre navi da guerra che dovrebbero partecipare sono l’incrociatore di classe Slava Varyag , il cacciatorpediniere di classe Udaloy Admiral Tributs e la petroliera della flotta Boris Butoma, tutte della flotta del Pacifico.

Nel frattempo, un’altra nave della Marina russa, la nave per la raccolta di informazioni di classe Vishnya Vasiliy Tatishchev, è entrata nel Mediterraneo la scorsa settimana attraverso lo Stretto di Gibilterra. La sua destinazione non è chiara, ma potrebbe essere un potenziale partecipante alle imminenti manovre navali russe.

Sebbene il Ministero della Difesa russo non abbia specificato esattamente quando si svolgeranno le manovre nel Mediterraneo, esse sono configurate come parte di una serie molto più ampia di esercitazioni che vengono condotte dalla Marina russa in tutto il mondo. Queste vedranno attività nelle regioni del Nord Atlantico e del Pacifico e si prevede che coinvolgeranno circa 140 navi e 60 aerei, in totale.

Allo stesso tempo, con un focus sull’accumulo di forze russe intorno ai confini dell’Ucraina, permane la preoccupazione che queste manovre navali, così come quelle che avranno luogo in Bielorussia, possano far parte della pianificazione del Cremlino per una nuova campagna contro l’Ucraina. Questi timori sono stati rafforzati non solo dalla vastità degli schieramenti militari russi nelle aree di confine, ma anche dalla comparsa di alcuni sistemi di armi offensive, inclusi i missili balistici a corto raggio Iskander e aerei da combattimento .

Per quanto riguarda le sei navi da guerra anfibie ora nel Mediterraneo, se la Russia dovesse lanciare un’invasione dell’Ucraina, alcune o tutte dovrebbero continuare verso il Mar Nero da dove probabilmente prenderebbero parte a sbarchi anfibi lungo le coste meridionali del paese, soprattutto nel Mar d’Azov.

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Un’esercitazione russa di sbarco sulla spiaggia nella Crimea occupata.

Tutte e tre le navi da guerra anfibie della flotta settentrionale ora nel Mediterraneo, e le tre della flotta baltica che dovrebbero unirsi a loro, sono in grado di trasportare diverse combinazioni di carri armati e altri veicoli corazzati, nonché truppe ed equipaggiamento.

Per ora, tuttavia, non ci sono conferme che il Mar Nero sia la destinazione finale prevista per le navi da guerra anfibie, per non parlare delle altre navi da guerra che dovrebbero raggiungerle nel Mediterraneo per manovre congiunte. Le loro operazioni potrebbero essere altrettanto facilmente una forza di distrazione per la potente armata NATO che opera nel Mediterraneo orientale.

Sebbene Neptune Strike 22 sia stato pianificato dal 2020, ora inevitabilmente ha un significato aggiuntivo alla luce della situazione con la Russia. Il segretario stampa della Casa Bianca Jen Psaki ha dichiarato lunedì che “questa esercitazione aiuterà a dimostrare l’unità, la capacità e la forza dell’alleanza transatlantica“.

Altrove all’interno dell’alleanza, i membri della NATO hanno schierato altre risorse navali nella regione in risposta diretta alle tensioni intorno all’Ucraina. La Spagna ha annunciato l’intenzione di inviare un cacciatorpediniere e un dragamine nel Mar Nero, con il potenziale per schierare aerei da combattimento in Bulgaria. La Francia ha affermato che sta valutando la possibilità di dispiegare truppe nella regione e restano possibili altri rinforzi della frontiera orientale dell’alleanza. Inoltre, secondo il Pentagono, gli Stati Uniti hanno già messo in allerta circa 8.500 soldati per un possibile dispiegamento rapido nella regione, per rafforzare la Forza di risposta rapida della NATO o per “essere pronti per qualsiasi altra evenienza”. il portavoce John Kirby.

Sul lato politico, nel frattempo, il Cremlino ha affermato di rimanere aperto a ulteriori colloqui con gli Stati Uniti, ma che è anche chiaro che Washington non ha soddisfatto le principali richieste di sicurezza della Russia, inclusa la promessa che la NATO non si espanderà per includere l’Ucraina.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che è nell’interesse sia di Mosca che di Washington continuare il dialogo, ma solo su quelle che i media russi hanno descritto come questioni secondarie e non su quelle fondamentali.

Secondo quanto riferito, la risposta degli Stati Uniti include proposte per affrontare la concorrenza militare in Europa, comprese misure specifiche per ridurre gli scontri nel Mar Nero e per introdurre ispezioni missilistiche su ciascuna parte.

Rimane, almeno, la possibilità di ulteriori colloqui su questioni secondarie, che potrebbero potenzialmente aiutare a disinnescare le tensioni intorno a Russia e Ucraina. Per ora, tuttavia, l’attività navale russa sembra continuare a concentrarsi sul Mediterraneo, con il potenziale che almeno alcune delle navi da guerra ora presenti potrebbero fare rotta verso il Mar Nero.

Onde gravitazionali: un passo avanti verso un nuovo metodo per rilevarle

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L’astronomia moderna sta superando i propri limiti, con nuove scoperte eguagliate nell’impatto solo da modi nuovi ed emergenti di avanzare le frontiere del campo.

E uno di questi campi, lo studio delle onde gravitazionali, provenienti da buchi neri supermassicci indicibilmente distanti, è sull’orlo di una piccola rivoluzione. Gli ultimi risultati di più gruppi di ricerca suggeriscono che lo sforzo globale collaborativo per confermare la fattibilità di un metodo radicalmente nuovo per rilevare le onde sta già dando i suoi frutti, secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society.

In particolare, gli astronomi in Nord America, Australia ed Europa hanno sondato i dati sull’estensione del cosmo e hanno notato una sorta di “rumore rosso” che corrisponde esattamente alle previsioni.

In altre parole, lo studio delle onde gravitazionali, e quindi dell’universo primordiale, sembra pronto a ricevere un importante aggiornamento.

Esplorare l’universo primordiale attraverso le onde gravitazionali

“Questa è una pietra miliare importante”, ha affermato l’astronomo Michael Kramer del Max Planck Institute for Radio Astronomy, che aiuta a guidare il team europeo, in un rapporto su Nature. Sebbene l’osservazione del “rumore rosso” non significhi che il nuovo metodo ha effettivamente rilevato le onde gravitazionali, è un passaggio cruciale sulla strada per farlo, ha aggiunto Kramer.

Se il rumore rosso non si fosse manifestato a questo punto, i cosmologi potrebbero aver avuto bisogno di cambiare le loro previsioni su quanto fossero popolosi e causalmente efficaci i buchi neri supermassicci durante i giorni di “insalata” dell’universo primordiale. Quindi, anche se questo non è il passo finale per creare un nuovo percorso per esplorare le onde gravitazionali nella storia antica dell’universo, “è rassicurante”, ha detto in un rapporto il radioastronomo Xavier Siemens della Oregon State University, che guida il gruppo nordamericano.

Rilevamento delle onde gravitazionali in sottofondo “rumore rosso”

Ciò avviene circa sette anni dopo il primo rilevamento diretto delle onde gravitazionali nel 2015, quando il Laser Interferometry Gravitational-Wave Observatory (LIGO), con sede sia nello stato di Washington che in Louisiana, ha confermato qualcosa di incredibile. Usando il suo duo di antenne, LIGO ha misurato le onde generate negli ultimi istanti di due buchi neri, ed entrambi avevano una massa che faceva impallidire quella del nostro Sole, 10 volte più massiccia.

Da questa scoperta rivoluzionaria, LIGO e Virgo (una matrice simile, in Italia), hanno assistito a dozzine di altri eventi di onde gravitazionali. Si tratta di onde le cui frequenze possono raggiungere frequenze fino a migliaia di cicli, ogni secondo. In particolare, questo è molto simile alle frequenze più basse del suono udibile, motivo per cui può essere rilevato per secondi o, a volte, minuti.

E, sia nel 2020 che nel 2021, i tre assi degli scienziati che lavorano per rilevare le onde gravitazionali con nuove tecniche hanno visto tutti le prove chiave che le onde sono in agguato: in particolare, il fenomeno del rumore rosso. Al contrario, il rumore “bianco” consiste nelle fluttuazioni casuali osservate a tutte le frequenze dell’universo, il che significa semplicemente che viviamo in un cosmo.

Il rumore rosso, d’altra parte, è più forte di quello e si attiva a frequenze più basse. L’analisi collaborativa ha esaminato i dati su 65 diverse pulsar, per migliorare la sensibilità del metodo alle onde gravitazionali. E, quando un altro articolo uscirà entro la fine dell’anno o nel 2023, questi stessi dati potrebbero essere utilizzati per confermare finalmente le onde gravitazionali nel rumore rosso di fondo generato dai buchi neri supermassicci.

Cosa si intende quando si parla di Teoria del Tutto?

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È ormai quasi un secolo che gli scienziati cercano di descrivere un modello capace di descrivere e predirre il comportamento dell’universo nella sua interezza, dalle particelle più piccole agli enormi buchi neri supermassicci.
Ricercatori e scienziati sono alla ricerca di un modello simile sin dagli albori del XX secolo quando furono postulate la teoria della meccanica quantistica e la teoria della relatività di Albert Einstein.

Meccanica quantistica e teoria della relatività sono i due pilastri che sorreggono e descrivono la fisica moderna, ognuna nella sua rispettiva area di studio, descrivendo gli oggetti più piccoli e quelli più massicci dell’universo con estrema precisione, ma fallendo quando applicate l’una all’altra.

Ogni tentativo di realizzare una teoria del tutto in grado di unire relatività e meccanica quantistica finora ha miseramente fallito, tanto che alcuni ritengono tale obiettivo impossibile da raggiungere. Fu Albert Einstein, negli anni venti del secolo scorso, a cercare per primo una teoria unificata. Einstein non aveva mai accettato del tutto i paradossi della meccanica quantistica e riteneva che le uniche forze all’epoca note, elettromagnetismo e gravità, potessero essere combinate in un’unica forza.

Voglio sapere come Dio ha creato questo mondo, non mi interessa questo o quel fenomeno, nello spettro di questo o quell’elemento. Voglio conoscere il Suo pensieri; il resto sono solo dettagli” cosi disse Albert Einstein alla giovane studente di fisica Esther Salaman nel 1925.

Ma la ricerca di Einstein, durata per tutta la sua vita, si rivelò vana. “La maggior parte della mia prole intellettuale finisce molto giovane nel cimitero di speranze deluse“, scrisse in una lettera del 1938. Eppure non si arrese e, sul letto di morte, chiese di avere i suoi ultimi appunti sulla teoria del tutto.

Durante la metà del XX secolo, i fisici hanno sviluppato il modello standard, che è stato anche chiamato la “la teoria del quasi tutto”. Descrive le interazioni di tutte le particelle subatomiche note e tre delle quattro forze fondamentali: l’elettromagnetismo e le forze nucleari forti e deboli, ma non include la gravità.

Il modello che includerebbe anche la gravità sarebbe noto come teoria della gravità quantistica. Alcuni ricercatori ritengono che la teoria delle stringhe sia una struttura e si adatta a una teoria del tutto. Tale teoria ipotizza che le particelle siano in realtà entità unidimensionali simili a stringhe che vibrano in una realtà a 11 dimensioni. Le vibrazioni determinano le diverse proprietà delle particelle, come la loro massa e carica.

Per altri scienziati l’idea della teoria delle stringhe è un vicolo cieco intellettuale. Peter Woit, fisico teorico alla Columbia University, ha ripetutamente ammonito i suoi colleghi per aver inseguito quello che considera un sogno immaginario.

Sul blog di Woit si legge: “Il problema di base con la ricerca sull’unificazione della teoria delle stringhe non è che il progresso è stato lento negli ultimi 30 anni, ma è stato negativo, con tutto ciò che è stato appreso mostrando più chiaramente perché l’idea non funzion “.

Anche il fisico Stephen Hawking, Nel suo libro “A Brief History of Time” (Bantam Books, 1988), ha discusso del suo desiderio di aiutare a creare una teoria di tutto (che era anche il titolo del suo film biografico del 2014). Ma il famoso studioso cambiò idea più tardi nella vita; pensava che una simile teoria sarebbe stata fuori portata per sempre perché le descrizioni umane della realtà sono sempre incomplete, secondo una lezione del 2002 disponibile su un sito web dedicato postumo al fisico.

Questo fatto non lo rattristò, ma piuttosto gli diede speranza. “Sono lieto che la nostra ricerca della comprensione non finirà mai e che avremo sempre la sfida di una nuova scoperta“, dichiarò Hawking. “Senza di essa, ristagneremmo“.

Fonte: space.com