mercoledì, Gennaio 15, 2025
Home Blog Pagina 6

Colonie di O’Neill, il sogno di vivere nello spazio

0
Colonie di O'Neill, il sogno di colonizzare lo spazio
Colonie di O'Neill, il sogno di colonizzare lo spazio

Qualche tempo fa, Jeff Bezos, il miliardario proprietario di Amazon e della compagnia spaziale Blue Origin, presentando il progetto di un lander lunare commerciale in via di sviluppo e destinato a trasportare carichi paganti costituiti da attrezzature, rifornimenti, mezzi ed astronauti sulla superficie lunare, ha parlato della sua visione del futuro, facendo presente che, se l’umanità resterà confinata sulla Terra è destinata in pochi secoli a decadere per via dell’aumento esponenziale della richiesta di energia a fronte all’aumento previsto della popolazione e della sempre maggiore carenza di materie prima.

Il Proprietario di Blue Origin e Amazon ha illustrato una sua idea in cui l’umanità emigrerà nello spazio, abitando in gigantesche colonie orbitali dove, grazie al Sole, l’energia non sarà mai carente. “Se ci espanderemo nel sistema solare, avremo risorse illimitate per tutte le attività e qualsiasi scopo“, ha detto Bezos. “Potremmo avere un trilione di persone sparse nel sistema solare“.

E mentre le colonie su altri pianeti, quali la Luna e Marte, sarebbero afflitte dai problemi derivanti dalla bassa gravità, la mancanza di atmosfera respirabile in superficie e le grandi distanze che le separerebbero dalla Terra (che portano a ritardi nella comunicazione e scarse possibilità di scambi commerciali), colonie stanziate nello spazio non soffrirebbero di tali limiti.

A tal fine, Bezos ha suggerito la possibilità che potrebbero essere costruite delle enormi strutture spaziali riprendendo il progetto di Gerard O’Neill, chiamate appunto “colonie di O’Neill“, dove l’umanità potrebbe trasferirsi. Un concetto futuristico per gli insediamenti spaziali inventato per la prima volta decenni fa. “Si tratta di strutture molto grandi, chilometri e chilometri, in grado di ospitare oltre un milione di persone ognuna.

Le colonie di O’Neill

Gerard O’Neill era un fisico dell’Università di Princeton che collaborò con la NASA negli anni ’70 in una serie di workshop che esplorarono metodi efficienti che permettessero agli esseri umani di vivere al di fuori della Terra. Oltre a influenzare Bezos, le sue idee hanno anche profondamente condizionato il modo in cui molti esperti e appassionati pensano a modi realistici per vivere nello spazio.

Come saranno le colonie spaziali?” Chiese una volta O’Neill  agli allievi dello Space Science Institutel da lui ha fondato. “Prima di tutto, non ha senso andare nello spazio se il futuro che vediamo per la vita nello spazio è fatto di brevi periodi di permanenza all’interno di scomodi barattoli di latta. Dobbiamo essere in grado di ricreare, nello spazio, habitat simili alla Terra, che siano tanto belli e confortevoli quanto le parti più belle del pianeta Terra – e possiamo farlo“.

Ovviamente, né O’Neill né nessuno da allora ha veramente pensato di passare dalle parole ai fatti e provare a costruire un tale habitat, ma in molti modi, i concetti che il fisico aiutò a sviluppare mezzo secolo fa rimangono ancora alcune delle opzioni più pratiche per la permanenza nello spazio su larga scala ed a lungo termine.

Le colonie di O’Neill, che ruotano nello spazio invece di occupare un territorio alieno, potrebbero garantire spazi quasi illimitati per una popolazione umana in continua crescita. – NASA

Vita nello spazio

Mentre la NASA negli ultimi anni si è concentrata principalmente sull’esplorazione della Luna e di Marte, ricavandone la certezza che un giorno sarà possibile abitare sia sulla Luna che su Marte ma a prezzo di grandi sacrifici e rinunce, le colonie di O’Neill offrono un’opzione indipendente da qualsiasi corpo planetario.

Invece che in cupole o gallerie scavate all’interno dei corpi planetari, le colonie di O’Neill permetterebbero alle persone di vivere in enormi strutture circolari sospese nello spazio che sarebbero in grado di ospitare molte migliaia di persone – o addirittura milioni secondo Bezos – su base permanente.

Colonie di questo genere sono state descritte in molti romanzi di fantascienza scritti nel secolo scorso e le abbiamo viste realizzate in parecchi film in questo secolo, da Star Trek al film Interstellar. Nella realtà, però, al momento sono poche le possibili opzioni per realizzare strutture simili: una sfera, un cilindro o un toro a forma di anello.

Invariabilmente, queste strutture sono progettate per ruotare sul proprio asse e creare così una forza centrifuga in grado di imitare la gravità terrestre che permetterà ai suoi abitanti di vivere in condizioni pressoché normali.

In generale, le colonie di O’Neill sono state progettate pensando a strutture permanenti autosufficienti. Ciò significa che useranno l’energia solare per ottenere l’energia elettrica per far funzionare la propria struttura e per illuminare le colture in crescita.

Le pareti esterne di una colonia O’Neill sono generalmente rappresentate come un materiale trasparente, in modo che un gioco di specchi possa riflettere la luce del Sole consentendo di ricavare energia elettrica e simulare il giorno e la notte, alternanza di cui gli esseri viventi evoluti sulla Terra sembrano avere bisogno, dagli uomini alle piante.

O’Neill pensava che l’unico modo in cui gli umani potranno vivere nello spazio sarà in colonie che simulino un ambiente sufficientemente simile alla Terra. – NASA
Ma la costruzione di queste colonie oggi è una sfida che va oltre ciò che qualunque essere umano ha già compiuto finora nello spazio, e Bezos lo ha riconosciuto. Ha fatto riferimento a due “porte” nel suo annuncio, che, secondo lui, gli esseri umani dovranno superare.
La prima, è quella che la sua azienda e le altre società che si occupano di spazio dal punto di vista commerciale stanno già affrontando, anche con un certo successo: la riduzione dei costi necessari per raggiungere lo spazio.
Il secondo passaggio riguarda l’imparare ad utilizzare le risorse dello spazio, piuttosto che trasportarle dalla Terra.
Bezos non è l’unico a pensarla così. La maggior parte dei piani a lungo termine della NASA per la Luna e Marte riguardano la raccolta di materiali e la produzione industriale locale, usando la regolite lunare e marziana per costruire e riparare le strutture.
Anche Elon Musk, proprietario di SpaceX, che vuole installare colonie su Marte, ha più volte dichiarato che sarà necessario imparare ad utilizzare le risorse locali per costruirle ed abitarle.
La NASA e la stessa ESA si stanno ormai da tempo concentrando nello studio di “strumenti per la ricerca e lo sfruttamento delle risorse“.
Ciò si adatta bene alla visione di O’Neill. Queste colonie hanno lo scopo di essere autosufficienti utilizzando le risorse raccolte dallo spazio, siano essi asteroidi, la Luna o persino Marte. Ciò evita lo sforzo, estremamente costoso, di sollevare materiali e beni dal profondo pozzo gravitazionale della Terra. Ciò significa che dovranno essere costruite utilizzando materiali disponibili a basso costo, raccolti nello spazio.
Gli esseri umani, piante e animali, naturalmente, arriverebbero dalla Terra ma le materie prime come l’ossigeno, l’azoto, il carbonio e l’alluminio sono abbondanti nel sistema solare, e l’estrazione di risorse nello spazio è un tema comune tra le discussioni sull’insediamento spaziale. A causa delle loro dimensioni, le colonie dovrebbero essere in grado di agire come ecosistemi completamente indipendenti, con le piante per il ciclo dell’aria e dell’acqua e cicli di risorse non così dissimili dalla Terra.
Gli esseri umani sono ben lungi dall’essere in grado di lanciare qualcosa come una colonia O’Neill nel prossimo futuro. Ma, in modo forse impensabile fino a poco fa, uno dei leader del volo spaziale privato, sembra convinto che, dopo cinquant’anni di esplorazione spaziale e sviluppo tecnologico, siamo ora finalmente in grado di cominciare a pensare di adottare davvero un’idea che risale ai primi giorni dell’esplorazione dello spazio e, se vogliamo, alla fantasia degli scrittori di fantascienza della prima metà del secolo scorso.
Le dimensioni delle colonie di O’Neill sarebbero tali tale da poter sostenere una propria agricoltura, la presenza di vere e proprie città abitate da esseri umani, l’allevamento di animali e di tutto quanto ha bisogno l’uomo per mantenere uno stile di vita equilibrato. Con il tempo, alcune colonie potrebbero addirittura specializzarsi in determinate produzioni finendo per avviare il commercio con le altre colonie spaziali, la Terra ed eventuali colonie che verranno installate sulle superfici di Lune e pianeti.
Ad oggi, tutto questo resta un sogno ma, rispetto a cinquant’anni fa, oggi ne sappiamo qualcosa di più e la nostra tecnologia si è notevolmente evoluta. È solo questione di tempo e di convenienza economica, prima o poi qualcuno lo realizzerà.

Conquisteremo Marte? Le dure critiche di Werner Herzog a Elon Musk

0
Conquisteremo Marte? Le dure critiche di Werner Herzog a Elon Musk
Conquisteremo Marte? Le dure critiche di Werner Herzog a Elon Musk

Il sogno di Elon Musk è quello di realizzare una città su Marte. Werner Herzog non trova l’idea di Musk particolarmente interessante, reputando il proposito del CEO di SpaceX un “errore”.

Elon Musk intende inviare i primi esseri umani su Marte entro la fine degli anni ’20 di questo secolo utilizzando la sua nuova creatura, l’astronave Starship che i tecnici di SpaceX stanno sviluppando. Una volta consolidati i voli da e per Marte, Musk, entro il 2050, intende costruire una città autosufficiente in grado di ospitare un milione di persone.

Secondo il famoso regista Herzog, c’è un enorme difetto nella seconda parte del piano di Elon Musk. Il regista, con una critica feroce descrive l’idea di Musk come “un’oscenità” e afferma che gli esseri umani “non dovrebbero comportarsi come le locuste”.

Nel colloquio con “Inverse.com” avuto prima dell’uscita del suo documentario sugli asteroidi, Herzog confronta il piano di Musk con l’ascesa e la caduta del comunismo e del fascismo nel 20° secolo. Il 21° secolo secondo Herzog, metterà “rapidamente” fine all’utopia tecnologica su come colonizzare Marte.

In parole povere, secondo Herzog, Marte non è adatto a sostenere la vita umana. Non c’è acqua liquida in superficie o aria da respirare. Il vento solare sarebbe cosi potente, afferma il regista, che gli esseri umani verrebbero: “fritti come in un forno a microonde”.

Musk, dal canto suo, ha già risposto a questo tipo di critiche in passato. Nel 2018, ha condiviso una ricerca che suggerisce l’esistenza di ghiaccio d’acqua su Marte nel cratere Korolev e ha suggerito che il pianeta “ha bisogno di essere riscaldato”. Nel corso del tempo, i ricercatori hanno trovato più di 1,2 milioni di miglia cubiche di ghiaccio d’acqua sulla superficie di Marte o in prossimità di essa.

Musk ha proposto un piano per riscaldare il pianeta e rilasciare l’anidride carbonica immagazzinata, citando un documento di ricerca del 1993 come prova. Secondo Musk l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera di Marte produrrebbe l’effetto serra necessario a scaldare il pianeta e ad aumentarne la pressione tanto che i futuri coloni potrebbero vivere e lavorare all’aperto sul pianeta rosso con un semplice respiratore.

L’affermazione di Musk tuttavia è ritenuta alquanto controversa. Uno studio del 2018 sostiene che se gli scienziati trovassero il modo di liberare tutte le riserve di anidride carbonica presenti su Marte, queste genererebbero circa 15 millibar di pressione, molto al di sotto quasi 1.000 millibar presenti al livello del mare della Terra.

Musk ha risposto alla ricerca scrivendo che “c’è un’enorme quantità di CO2 su Marte assorbita nel suolo che verrebbe rilasciata grazie al riscaldamento”, tuttavia mancano le prove.

Per alcuni ricercatori a preoccupare sono gli effetti delle radiazioni che piovono su Marte. Musk nel 2016 ha detto che “non sono mortali” e “non sono un grosso problema”, ma studi condotti sulla Stazione Spaziale Internazionale e sulla Terra suggeriscono che il tempo trascorso nello spazio ha conseguenze significative sulla salute.

Per aggirare il problema, nel 2017 Musk ha proposto rifugi contro le tempeste solari sulle navi progettate come primi habitat. Gli scienziati della NASA hanno proposto inoltre uno scudo magnetico per proteggere gli astronauti dai venti solari.

Herzog rivolge le sue critiche a Musk anche sull’utilizzo della Starship capace di rifornirsi di carburante per raggiungere Marte, realizzare un approdo che consenta di produrre altro carburante e tornare sulla Terra o esplorare lo spazio profondo stabilendo ulteriori punti nel sistema solare che consentirebbero alle astronavi di rifornirsi.

Herzog non è convinto che l’idea di Musk di trasformare l’umanità in una specie multiplanetaria sia valida. “Penso che Elon Musk si definisca una sorta di visionario tecnologico”, spiega Herzog. “Perché deve vendere le sue auto elettriche, è meraviglioso che lo faccia. Deve vendere i suoi razzi riutilizzabili. È meraviglioso che lo faccia. Ma non sono d’accordo con lui quando postula e predica sulla colonizzazione di Marte. E devo dirlo non solo a Elon Musk, ma a tutti. E quindi lo dico nel modo più diretto possibile … è un’oscenità. Il solo pensiero è un’oscenità”. conclude Herzog.

Musk è stato criticato in passato per essersi concentrato sui viaggi verso Marte piuttosto che sulla risoluzione dei problemi sulla Terra. In un’apparizione sul palco del 2019 con Jack Ma, il miliardario cinese ha detto a Musk che la Terra “ha bisogno di più eroi … migliorare le cose ogni giorno”.

Il CEO di SpaceX ha risposto: “Penso che sia importante per noi intraprendere la serie di azioni che hanno maggiori probabilità di continuare la coscienza nel futuro” – in altre parole, nel caso in cui succeda qualcosa alla Terra.

Herzog paragona la visione utopica di Musk a quella del comunismo e del fascismo. Herzog afferma che il XX secolo è stato “nella sua interezza un errore”, che ha portato “alla fine di grandi utopie sociali” come il comunismo “come paradiso terrestre”.
“Ha fallito”, dice Herzog. “Il secondo fallimento, il fascismo, quello secondo cui la razza ariana dominerà e migliorerà il nostro pianeta Terra e migliorerà davvero l’umanità. Grazie a Dio, entrambe queste gigantesche utopie non sono state portate a termine”.

Lo stesso accadrà alla città su Marte pensata da Musk, prevede Herzog. “Il nostro secolo molto rapidamente porterà alla fine un’utopia tecnologica come la colonizzazione di Marte. Porremo fine a questa utopia molto, molto rapidamente entro questo secolo”.

Herzog ha già discusso con Musk delle ambizioni su Marte. Nel documentario del 2016 Behold, Reveries of the Connected World, Herzog ha chiesto a Musk durante un’intervista un “biglietto di sola andata” per Marte, aggiungendo: “Sarei il tuo candidato”.

La risposta di Musk all’epoca ha suggerito che è consapevole che non tutti condividono il suo entusiasmo: “Penso che offriremo viaggi di andata e ritorno perché molte più persone sarebbero disposte ad andare se potessero tornare in caso si trovassero male”, ha chiarito Musk.

Ma se il motivo per cui l’umanità lascia la Terra è perché il nostro pianeta è in disordine, tornare a casa potrebbe essere più facile a dirsi che a farsi.

I lampi di raggi gamma emessi dai buchi neri in formazione potrebbero generare zone a “tempo inverso”

0
I lampi di raggi gamma emessi dai buchi neri in formazione potrebbero generare zone a "tempo inverso"

Quando una stella massiccia collassa in un buco nero, emette un segnale brillantissimo sotto forma di raffiche di raggi gamma. Ora, gli scienziati hanno notato qualcosa di molto particolare su quei lampi: sembrano invertire il tempo.

Secondo un nuovo studio pubblicato il 13 agosto su The Astrophysical Journal, le splosioni di lampi di raggi gamma emesse da una stella che sta collassando trasformandosi in un buco nero provocherebbero un’inversione temporale.

Gli astronomi hanno notato che l’onda luminosa provocata dall’esplosione di raggi gamma viene emessa dalla stella in un modo e poi inviata nuovamente nell’ordine opposto. Secondo gli autori dello studio, non è chiaro cosa provochi questi lampi di raggi gamma a tempo inverso, ma hanno aggiunto che la fisica attorno ai buchi neri è così strana che nulla può essere escluso.

Le esplosioni di raggi gamma sono tra le esplosioni a più alta energia rilevate nell’universo, capaci di luminosità superiori di un milione di miliardi superiori a quella del sole, secondo la NASA.

Le esplosioni di raggi gamma sono le più luminose conosciute in natura e producono più energia di qualsiasi altra cosa che emetta luce, ha detto l’autore principale dello studio Jon Hakkila, astrofisico e decano associato della Graduate School al College of Charleston in South Carolina.

Quando due stelle di neutroni si scontrano, emettono brevi lampi di raggi gamma mentre formano un buco nero.

Le supernovae, o esplosioni stellari, producono esplosioni di raggi gamma più lunghe mentre le stelle morenti collassano in buchi neri. Per entrambi i tipi di raffiche di raggi gamma, “la maggior parte della loro energia arriva sotto forma di impulsi” ha spiegato Hakkila.

In pratica Hakkila ha scoperto che “l’impulso esaminato in realtà presentava alcuni piccoli segni di lato“, ha detto. Ogni impulso, hanno scoperto i ricercatori, aveva tre picchi distinti in cui la luce aumentava e poi diminuiva di intensità un paio di volte per ogni impulso.

Quando gli scienziati hanno riesaminato i dati si sono accorti che la struttura di questi picchi appariva come un riflesso in uno specchio: le parti degli impulsi che uscivano per prime, uscivano per ultime nelle pulsazioni successive.

Osservando sei delle raffiche di raggi gamma più brillanti rilevate dal Compton Gamma Ray Observatory della NASA come parte del Burst e Transient Source Experiment negli anni ’90, il team ha scoperto che le raffiche di impulsi contenevano segnature luminose a tempo limitato.

n altre parole, “tutti hanno questa caratteristica di luminosità che fluttua e poi si inverte e va indietro nel tempo“, ha detto Hakkila. “Questo è vero sia per le esplosioni di raggi gamma di breve durata che per quelle a vita lunga“, ha detto Hakkila.

Per capirci, se metti su “on” tre interruttori che accendono una lampadina, lo farai secondo una sequenza: A, poi B, poi C. Per sspegnerli, però, seguirai la sequenza inversa, prima C, poi B, poi A.

Per capire se fosse davvero così, i ricercatori hanno preso l’intero segnale, lo hanno allungato e l’hanno piegato a metà strada sovrapponendo la prima metà invertita sulla seconda: il processo di “piegatura” ha allineato la fase di crescita del segnale con la fase di calo. Le due estremità hanno dimostrato di allinearsi perfettamente.

Un burst di raggi gamma rappresenta la formazione di un buco nero, e accadono cose molto strane sia nello spazio che nel tempo e nel rapporto tra spazio e tempo nelle vicinanze di un buco nero“, ha spiegato Hakkila. Anche se l’esplosione non è probabilmente un “momento di inversione mediato dalla radiazione, non possiamo escludere alcun tipo di stranezza“.

Una spiegazione più probabile potrebbe venire dal vedere come un’onda esplosiva si muove attraverso la materia. Quando una stella esplode, una grande onda d’esplosione si sposta verso l’esterno attraverso la materia, illuminandola mentre si propaga.

Per prima cosa, illumina il gruppo A, quindi il gruppo B, quindi il gruppo C. Per provocare il segnale a inversione di orario, l’onda dovrebbe in qualche modo tornare indietro attraverso questi gruppi in ordine inverso.

Posso pensare a solo due ragioni per cui succede questo: o l’onda colpisce una sorta di superficie riflettente, simile a uno specchio, che riflette l’onda d’urto all’indietro, oppure avviene una distribuzione delle radiazioni talmente bizzarra che non ha senso usare la fisica ordinaria. Capire questo processo potrebbe far luce su come le stelle muoiono“. ha concluso Hakkila.

Secondo Bing Zhang, professore di astrofisica delle alte energie presso l’Università del Nevada, a Las Vegas, però, il ritrovamento di strutture a inversione temporale si basa sul presupposto che ogni lampo di raggi gamma sia “composto da diversi impulsi ben definiti“, ciascuno con una forma descritta da un’equazione matematica.

Ma la forma e la natura di questi impulsi possono essere più complicate della semplice formula matematica, così che il residuo del triplo picco dell’impulso potrebbe non essere fisicamente reale. “Forse è valida l’ipotesi dello specchio ma, in questo momento, il supporto a questa ipotesi è piuttosto indiretto“, ha detto Zhang.

Insomma, una volta di più, man mano che ci avventuriamo nella fisica dei buchi neri il paesaggio diventa sempre più strano, e anche le leggi che lo governano.

Alla fine, potremmo scoprire che dai buchi neri si creano davvero i tunnel di Einstein – Rosen che potrebbero permettere di passare da un punto all’altro dell’universo e, magari, potremmo scoprire che avventurarci nei pressi di un buco nero potremmo incontre un’area dove il tempo si inverte…

Chissà, l’universo è ancora pieno di misteri per noi.

Risolto un importante mistero sui quasar

0
Risolto un importante mistero sui quasar
I buchi neri nascono dal collasso di stelle giganti e crescono nutrendosi incessantemente di gas, polvere, stelle e altri buchi neri nelle galassie stellari che li contengono. Se diventano abbastanza grandi, l’attrito fa sì che il materiale che si muove a spirale nelle loro fauci si surriscaldi e si trasformino in quasar, rilasciando i loro bozzoli gassosi con esplosioni di luce fino a un trilione di volte più luminose delle stelle più luminose.

Gli astronomi hanno risolto un importante mistero sui quasar, durato ben 60 anni. Adesso sappiamo qualcosa di più riguardo a questi oggetti spaziali, che sono anche i più potenti dell’universo.

Gli esperti hanno scoperto che i quasar vengono accesi dalle galassie in collisione. Essi possono brillare tanto quanto un trilione di stelle racchiuse in un volume delle dimensioni del nostro sistema solare.

Nei decenni trascorsi da quando sono stati osservati per la prima volta, ciò che potrebbe innescare un’attività così potente è rimasto un mistero. Un nuovo lavoro condotto da scienziati delle università di Sheffield e Hertfordshire ha ora rivelato che si tratta di una conseguenza dello scontro tra galassie. Il lavoro è pubblicato in Monthly Notice of Royal Astronomical Society.

L’origine dalle collisioni tra galassie

Le collisioni sono state scoperte quando i ricercatori, utilizzando osservazioni di immagini profonde dal telescopio Isaac Newton a La Palma, hanno osservato la presenza di strutture distorte nelle regioni esterne delle galassie che ospitano i quasar. La maggior parte delle galassie ha al centro buchi neri supermassicci. Contengono anche notevoli quantità di gas, ma il più delle volte questo gas orbita a grandi distanze dai centri galattici, fuori dalla portata dei buchi neri.

Le collisioni tra galassie spingono il gas verso il buco nero al centro della galassia; appena prima che il gas venga consumato dal buco nero, rilascia quantità straordinarie di energia sotto forma di radiazione, dando luogo alla caratteristica brillantezza dei quasar.

Conseguenze spaventose

L’accensione di un quasar può avere conseguenze drammatiche per intere galassie: può espellere il resto del gas dalla galassia, impedendogli di formare nuove stelle per miliardi di anni nel futuro. Questa è la prima volta che un campione di quasar di queste dimensioni è stato ripreso con questo livello di sensibilità.

Confrontando le osservazioni di 48 quasar e delle loro galassie ospiti con le immagini di oltre 100 galassie non quasar, i ricercatori hanno concluso che le galassie che ospitano quasar hanno circa tre volte più probabilità di interagire o scontrarsi con altre galassie.

L’esito dello studio

Lo studio ha fornito un significativo passo avanti nella nostra comprensione di come questi potenti oggetti vengono attivati ​​e alimentati. Il professor Clive Tadhunter, del Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Sheffield, ha dichiarato: “I quasar sono uno dei fenomeni più estremi nell’universo e ciò che vediamo probabilmente rappresenterà il futuro della nostra galassia, la Via Lattea, quando si scontrerà con la galassia di Andromeda in circa cinque miliardi di anni. È emozionante osservare questi eventi e finalmente capire perché si verificano, ma per fortuna la Terra non sarà neanche lontanamente vicina a uno di questi episodi apocalittici per un bel po’ di tempo”.

L’importanza di questi oggetti spaziali

I quasar sono importanti per gli astrofisici perché, grazie alla loro luminosità, si distinguono a grandi distanze e quindi fungono da fari per le prime epoche della storia dell’universo. Il dottor Jonny Pierce, ricercatore post-dottorato presso l’Università dell’Hertfordshire, spiega: “È un’area su cui gli scienziati di tutto il mondo sono desiderosi di saperne di più: una delle principali motivazioni scientifiche per il telescopio spaziale James Webb della NASA era studiare il prime galassie nell’universo, e Webb è in grado di rilevare la luce anche dai quasar più distanti , emessi quasi 13 miliardi di anni fa. I quasar giocano un ruolo chiave nella nostra comprensione della storia dell’universo…”.

Ma che cos’è di preciso un quasar?

Un quasar è un nucleo galattico attivo estremamente luminoso (AGN, dall’inglese active galactic nuclei). A volte è noto come oggetto quasi stellare, abbreviato QSO.

Questa emissione da un AGN è alimentata da un buco nero supermassiccio con una massa che va da milioni a decine di miliardi di masse solari, circondato da un disco di accrescimento gassoso. Il gas nel disco che cade verso il buco nero si riscalda a causa dell’attrito e rilascia energia sotto forma di radiazione elettromagnetica.

L’energia radiante dei quasar è enorme; i quasar più potenti hanno luminosità migliaia di volte superiori a quella di una galassia come la Via Lattea. Di solito, i quasar sono classificati come una sottoclasse della categoria più generale di AGN. I redshift (il rosso cosmologico che li caratterizza) dei quasar sono di origine cosmologica.

FortiCard Rafforza la Conformità in Italia e Guarda alla Crescita Futura

0

Roma, Italia — FortiCard, aggregatore finanziario di punta con sede a Singapore, ha ribadito il proprio impegno nel rispettare le normative finanziarie locali e internazionali, delineando i propri piani di espansione in Italia. Rispondendo all’interesse pubblico per le sue operazioni, FortiCard ha sottolineato il proprio impegno nell’aderire ai quadri normativi dell’UE e dell’Italia, garantendo la protezione dei consumatori e la sicurezza dei dati.

AD 4nXeYKRj

Riconosciuta a livello globale per le sue soluzioni finanziarie innovative, FortiCard offre ai clienti modalità intelligenti per gestire le proprie finanze. Sebbene non sia ancora registrata come entità locale in Italia, l’azienda opera nel rispetto delle normative finanziarie europee e collabora con esperti legali locali per garantire che i suoi servizi siano conformi a tutti i requisiti normativi.

Impegno verso la Conformità

Il Direttore Legale di FortiCard ha dichiarato:
“FortiCard opera nel rigoroso rispetto delle normative in tutte le regioni. In Italia, collaboriamo strettamente con professionisti legali per allineare i nostri servizi alle normative dell’UE e italiane, offrendo soluzioni finanziarie trasparenti e sicure.”

L’azienda sfrutta avanzati quadri normativi per garantire la sicurezza dei dati e la fiducia dei consumatori. Questo impegno sottolinea la missione globale di FortiCard di fornire servizi basati sull’integrità, che rispettano i più alti standard.

Piani di Crescita in Italia

FortiCard sta pianificando di stabilire una filiale fisica in Italia entro i prossimi due anni, un passo mirato ad allinearsi con le dinamiche del mercato locale e a fornire servizi su misura per i clienti italiani. Secondo il Responsabile dello Sviluppo Aziendale per l’Europa:
“Il mercato italiano offre un potenziale di crescita straordinario. Comprendendo le esigenze locali, intendiamo rafforzare i rapporti con i clienti e ampliare la nostra presenza nella regione.”

Un Approccio Olistico all’Espansione

La strategia globale di FortiCard integra conformità, tecnologia all’avanguardia e solide pratiche di gestione del rischio. Oltre alle sue operazioni aziendali, la società si impegna in iniziative di sviluppo sostenibile e progetti di responsabilità sociale, consolidando la sua posizione come azienda responsabile e attenta alle esigenze della comunità.

Costruire Fiducia e Migliorare i Servizi

I piani di FortiCard per l’apertura di una filiale locale in Italia mirano a rispondere alle preoccupazioni del mercato, migliorare l’offerta di servizi e costruire fiducia con i consumatori italiani. Dando priorità all’innovazione, alla conformità e alla qualità dei servizi, FortiCard è pronta a consolidare la propria presenza nel panorama globale dei servizi finanziari.

Conclusione

Con una visione orientata a diventare leader globale nei servizi finanziari, FortiCard combina innovazione e un approccio incentrato sul cliente per offrire soluzioni intelligenti, sicure e integrate. Il suo impegno verso l’eccellenza la posiziona per avere successo nel promuovere l’accessibilità finanziaria globale.

Home

Un’analisi dei crateri da impatto sulla Terra implica un rischio di nuovi impatti importanti più alto di quanto previsto in precedenza

0
Un'analisi dei crateri da impatto sulla Terra implica un rischio di nuovi impatti importanti più alto di quanto previsto in precedenza
Un'analisi dei crateri da impatto sulla Terra implica un rischio di nuovi impatti importanti più alto di quanto previsto in precedenza

A un livello base, le probabilità di sopravvivenza dell’umanità si riducono a una cosa: le possibilità che una gigantesca roccia spaziale si schianti contro il pianeta e ci faccia seguire i dinosauri. Un modo per calibrare questo pericolo è guardare le dimensioni dei grandi crateri da impatto recenti sulla superficie del nostro pianeta e un nuovo studio suggerisce che sono più grandi di quanto si pensasse in precedenza.

Questo significa che la Terra è più a rischio di essere colpita duramente, come afferma James Garvin, capo scienziato del Goddard Space Flight Center della NASA, che ha presentato il lavoro la scorsa settimana alla Lunar and Planetary Science Conference. “Un simile evento è nel novero delle cose serie che possono accadono“.

Utilizzando un nuovo catalogo di immagini satellitari ad alta risoluzione, Garvin e i suoi colleghi hanno identificato grandi anelli attorno a tre crateri da impatto accertati e uno probabile che si sono formati 1 milione di anni fa o meno. Per Garvin, gli anelli significano che i crateri sono più larghi di decine di chilometri rispetto a quanto si pensasse in precedenza e registrano eventi molto più violenti di quanto creduto finora.

Se Garvin avesse ragione, ognuno di questi impatti ha provocato un’esplosione circa 10 volte più violenta della più grande bomba nucleare della storia, abbastanza da far esplodere parte dell’atmosfera del pianeta nello spazio. Sebbene non distruttivi come l’impatto che uccise i dinosauri, questi bombardamenti dallo spazio devono aver perturbato il clima globale e causato estinzioni locali.

Il nuovo studio, tuttavia, suggerisce che solo negli ultimi milioni di anni, quattro oggetti delle dimensioni di un chilometro hanno colpito i continenti e, dato che i due terzi del pianeta sono coperti dall’acqua, ciò potrebbe significare che sono fino ad una dozzina quelli che hanno colpito la Terra in totale, dice Bottke.

Anna Łosiak, una studiosa dei crateri da impatto presso l’Accademia polacca delle scienze, dubita che le caratteristiche ad anello identificate dal team di Garvin siano davvero bordi di crateri. Se in qualche modo lo fossero, dice, “sarebbe spaventoso perché significherebbe che non capiamo davvero cosa sta succedendo e che statisticamente ci sono un sacco di rocce spaziali che potrebbero arrivare e fare un casino“.

Il lavoro nasce da un database di immagini satellitari ad alta risoluzione della società Planet. Garvin e i suoi collaboratori hanno utilizzato migliaia di immagini stereo sovrapposte per creare mappe 3D dei quattro crateri. L’aggiunta di dati da due laser di misurazione dell’altezza della NASA che opera in orbita, incluso uno in grado di penetrare nella copertura degli alberi, ha fornito loro mappe con una risoluzione di 4 metri.

Hanno rimosso le caratteristiche dalle mappe che erano ovviamente estranee all’impatto. Quindi hanno applicato un algoritmo che Garvin aveva inizialmente sviluppato per Marte per cercare schemi circolari nella topografia.

Per crateri semplici e piccoli, identificava invariabilmente l’evidente bordo del cratere. Ma in migliaia analisi sui quattro crateri più grandi, l’algoritmo ha spesso identificato una struttura simile a un bordo molto più lontana del bordo attualmente accettato. Ad esempio, Pantasma, un cratere di 800.000 anni in Nicaragua, sarebbe largo 35,2 chilometri di diametro rispetto ai 14,8 chilometri attualmente accettato.

Scienziati esperti di crateri non vedono i nuovi cerchi. “Queste caratteristiche sono così sottili che non penso che dicano ‘grande bordo strutturale’“, dice Gordon Osinski, un planetologo della Western University. Potrebbero invece essere anelli di detriti espulsi dagli impatti, aggiunge Brandon Johnson, uno scienziato planetario della Purdue University.

Garvin, tuttavia, non pensa che una semplice cresta di detriti sarebbe ancora visibile dopo 1 milione di anni di erosione. Pensa che gli anelli implichino che i grandi crateri sulla Terra hanno strutture più variabili che altrove nel Sistema Solare a causa degli alti tassi di erosione. “Sulla Terra, le cose si complicano, in particolare quando ci metti molta energia“, dice.

Affinché i risultati acquisiscano credibilità, Johnson afferma che il team dovrà raccogliere ulteriori prove. In primo luogo, lo sconvolgimento climatico innescato da impatti così grandi come afferma Garvin dovrebbe aver lasciato il segno nelle carote di ghiaccio o nei sedimenti oceanici o lacustri. In secondo luogo, i ricercatori dovranno visitare i siti degli anelli per cercare le rocce deformate e le variazioni gravitazionali che indicherebbero un vero bordo del cratere.

Data la posta in gioco, questa è un’ipotesi che sarà necessario testare, afferma Johnson. “Dobbiamo andare lì, controllare la geologia e ottenere maggiori dettagli“.

Una nuova teoria risolve il paradosso del gatto di Schrödinger affermando che viviamo in un multiverso

0
Una nuova teoria risolve il paradosso del gatto di Schrödinger affermando che viviamo in un multiverso

Nel 1935, il fisico austriaco Erwin Schrödinger descrisse un esperimento mentale che ingigantiva un problema evidente al centro della meccanica quantistica.

Il problema persiste ancora oggi, ed è sintetizzato dall’idea apparentemente assurda di Schrödinger secondo cui, in certe condizioni, un determinato gatto si troverebbe in uno stato indeterminato tra vita e morte.

I fisici teorici dell’Università autonoma di Barcellona, ​​in Spagna, pensano di aver finalmente trovato una spiegazione del motivo per cui il gatto di Schrödinger, una volta osservato, appare sempre in un unico stato.

La loro proposta si basa in gran parte sul presupposto che ogni possibilità di un sistema quantistico costituisca di per sé un universo, un concetto noto come interpretazione a  molti mondi della meccanica quantistica.

Partendo da questa idea, Philipp Strasberg, Teresa E. Reinhard e Joseph Schindler hanno utilizzato i principi primi per dimostrare come l’intreccio (entanglement) di particelle in un paesaggio esistente trascini il gatto di Schrödinger fuori dalla sua stessa equazione, decisamente vivo o morto, ma mai a metà strada.

Alcuni dei primi dibattiti nella fisica quantistica riguardavano i modi di interpretare l’indeterminazione. Nelle parole di Albert Einstein, Dio “non gioca a dadi“.

Mentre sulla carta le combinazioni di stati di particelle sono costrette a una serie di possibili destini, esistono come assoluti fisici anche quando nessuno le guarda… giusto?

No.

Un secolo dopo, la divinità metaforica di Einstein continua a giocare a dadi in un gioco cosmico, e i fisici continuano a discutere di cosa questo significhi, al di là dei calcoli astratti.

Un tentativo di dare un senso a questa distinzione nelle realtà è immaginare tutte le possibilità degli stati di una particella come ugualmente valide, ciascuna rappresentante il proprio universo privato. Di questi molti mondi, solo uno è intrecciato nel nostro quando incontra la nostra vasta rete di possibilità stabilite, guadagnandosi il diritto di essere considerato “reale“.

Nella dimostrazione numerica del team, la portata delle interazioni aumenta rapidamente, tanto da sopprimere le possibilità finché non rimangono singoli stati.

In altre parole, data la complessità dell’Universo che circonda il gatto di Schrödinger, che include la scatola, gli osservatori, l’edificio in cui si trovano e molto altro, le interazioni in rapida crescita nel tempo tra un ambiente e gli stati di vita e di morte implicano che i due non appariranno come una sovrapposizione di stati indeterminati.

grafico di Strasberg et al
Grafico che mostra le probabilità quantistiche di uno stato in equilibrio (a), che si assesta su uno dei due sistemi classici. (Strasberg et al., Physical Review X , 2024)

In effetti, questa fusione di mondi avviene a un livello così piccolo e così rapidamente che relativamente poche particelle riescono a risolvere rapidamente la confusione di uno stato indeciso, facendo sì che la foschia quantistica svanisca praticamente anche sulla scala più piccola.

Poiché gli oggetti della vita quotidiana contengono un numero enorme di particelle, questo spiega perché il multiverso non è direttamente percepibile da noi“, scrive il team nel suo articolo.

Problema risolto, giusto? Sì e no. Mentre l’ipotesi ci aiuta a visualizzare la selezione di un singolo stato da una lotteria di innumerevoli possibilità, la spiegazione si basa ancora sul presupposto che tutti gli universi si comportino in questo modo. Quegli universi inoltre non tengono conto delle complessità della relatività generale.

Si potrebbe ancora immaginare che la giusta combinazione di stati entangled potrebbe ancora avere come risultato un mix di gatto vivo e gatto morto, o almeno, non è escluso. Rimane anche la questione di quanto la casualità quantistica possa esercitare un’influenza in una realtà macroscopica come la nostra.

Tuttavia, non è la prima volta che i fisici teorici suggeriscono la necessità di includere immagini su larga scala di stati esistenti per dare un senso al motivo per cui una confusione quantistica indecisa si assesta improvvisamente su una singola misurazione.

Il gatto di Schrödinger rimarrà ancora per molto tempo un enigma nella fisica, rigirandosi nella tomba come metafora perfetta di un campo della fisica che resta ricco di possibilità.

Questa ricerca è stata pubblicata su Physical Review X.

Madonna della Rosa: l’IA rivela dettagli inediti sul capolavoro di Raffaello

0
Madonna della Rosa: l'IA rivela dettagli inediti sul capolavoro di Raffaello

Il mondo dell’arte, da sempre custode di misteri e segreti, si apre a nuove dimensioni grazie all’avvento dell’intelligenza artificiale. Un recente studio, condotto attraverso l’impiego di sofisticate reti neurali, ha portato alla luce dettagli inediti su uno dei capolavori del Rinascimento italiano: la “Madonna della Rosa” di Raffaello.

Madonna della Rosa: l'IA rivela dettagli inediti sul capolavoro di Raffaello
Madonna della Rosa

Raffaello e la “Madonna della Rosa”: un’opera iconica

Raffaello Sanzio, figura di spicco del Rinascimento, è noto per la sua capacità di coniugare bellezza formale e profondità emotiva nelle sue opere. La “Madonna della Rosa”, realizzata durante il tardo periodo della sua carriera, è un esempio emblematico di questo stile raffinato. Il dipinto, attualmente conservato al Museo del Prado di Madrid, è sempre stato oggetto di studi e dibattiti da parte degli storici dell’arte.

Grazie all’applicazione di algoritmi di deep learning, i ricercatori sono riusciti a penetrare al di là della superficie pittorica, rivelando dettagli finora invisibili all’occhio umano. L’IA ha infatti individuato sottili variazioni di pennellata e di colore che suggeriscono una possibile collaborazione tra Raffaello e i suoi allievi nella realizzazione dell’opera.

Questa scoperta getta nuova luce sulle dinamiche lavorative all’interno delle botteghe rinascimentali, dove spesso maestri e allievi collaboravano alla realizzazione di opere d’arte. L’IA, in questo caso, si rivela uno strumento prezioso per svelare i segreti della creazione artistica e per ridefinire le nostre conoscenze sulla produzione di Raffaello.

Le implicazioni di questa scoperta sono molteplici e vanno ben oltre il singolo caso della “Madonna della Rosa”. L’applicazione dell’IA all’analisi delle opere d’arte apre nuove prospettive per la ricerca storica e per la comprensione dei processi creativi. L’IA può aiutare a risolvere controversie attributive, identificando con maggiore precisione l’autore di un’opera d’arte.

L’analisi dei dati ottenuti grazie all’IA può guidare gli interventi di restauro, consentendo di preservare al meglio le opere d’arte. L’IA può rivelare dettagli nascosti sulle tecniche pittoriche, sui materiali utilizzati e sulle influenze culturali che hanno plasmato l’opera di un artista.

L’intelligenza artificiale si conferma uno strumento rivoluzionario per lo studio dell’arte. Grazie all’IA, possiamo rileggere i capolavori del passato con occhi nuovi, scoprendo dettagli inaspettati e approfondendo la nostra comprensione della creatività umana. La “Madonna della Rosa” è solo uno dei tanti esempi di come l’IA stia trasformando il modo in cui studiamo e apprezziamo l’arte.

Il volto di San Giuseppe

Secondo questa analisi il volto di San Giuseppe nella ‘Madonna della Rosa’ di Raffaello non sarebbe opera del maestro. Grazie a sofisticati algoritmi, gli studiosi hanno individuato differenze stilistiche significative nel volto di San Giuseppe, suggerendo l’intervento di un altro artista. Questa scoperta riapre il dibattito sull’autenticità dell’opera e sulle dinamiche lavorative nelle botteghe rinascimentali.

Grazie all’intelligenza artificiale, siamo riusciti a ‘insegnare’ al computer a vedere oltre ciò che è visibile all’occhio umano. Analizzando migliaia di dettagli invisibili, come le micro-pennellate e le sottili variazioni cromatiche, è stato possibile creare un modello in grado di riconoscere con estrema precisione lo stile di Raffaello.

I ricercatori hanno messo a punto un algoritmo sofisticato che, basandosi su un vastissimo database di opere autentiche di Raffaello, è in grado di individuare le più sottili differenze stilistiche presenti nel dipinto. Utilizzando tecnologie all’avanguardia come ResNet50 e Support Vector Machine, l’intelligenza artificiale è in grado di analizzare l’opera a livello microscopico, con un’accuratezza che sfiora il 98%.

Per risolvere questo enigma, i ricercatori hanno adottato un approccio innovativo: analizzare i singoli volti del dipinto. Mentre i volti della Madonna, del Bambino e di San Giovanni presentavano inequivocabilmente lo stile inconfondibile di Raffaello, quello di San Giuseppe si è rivelato un’eccezione, mostrando caratteristiche stilistiche incompatibili con il resto dell’opera.

Le prove storiche e l’analisi dell’intelligenza artificiale convergono verso un’unica ipotesi: il volto di San Giuseppe potrebbe essere stato dipinto da Giulio Romano, uno dei più brillanti allievi di Raffaello. La minore raffinatezza stilistica di questa figura, rispetto alle altre, ha da sempre alimentato i sospetti degli esperti.

Questa scoperta dimostra che l’intelligenza artificiale è un prezioso alleato per gli esperti d’arte. L’IA, analizzando i dipinti con una precisione inaudita, completa le competenze umane, offrendo nuove prospettive nell’autenticazione delle opere. Come sottolinea Ugail, l’intelligenza artificiale non sostituisce l’esperto, ma lo supporta, fornendo un’analisi dettagliata che va ben oltre le capacità dell’occhio umano.

Conclusioni

La ‘Madonna della Rosa’ è un tesoro inestimabile che continua a rivelarci nuove sfumature. Grazie all’intelligenza artificiale, possiamo preservare e valorizzare al meglio questo patrimonio artistico. Questa scoperta sottolinea l’importanza di combinare le competenze umane con le tecnologie più avanzate per proteggere e studiare le opere d’arte del passato.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Heritage Science.

Yellowstone: nuovo segnale di attività nel supervulcano americano

0
Yellowstone: nuovo segnale di attività nel supervulcano americano

Il Parco Nazionale di Yellowstone, una delle meraviglie naturali più spettacolari degli Stati Uniti, cela un segreto inquietante: un supervulcano che dorme sotto la sua superficie. Negli ultimi anni, gli scienziati hanno osservato con crescente attenzione l’attività di questo colosso geologico, notando cambiamenti significativi nel comportamento dei suoi sistemi magmatici.

Yellowstone: nuovo segnale di attività nel supervulcano americano

Yellowstone: un supervulcano in evoluzione

Recenti studi, guidati dalla sismologa Ninfa Bennington dell’US Geological Survey, hanno rivelato un fenomeno sorprendente: i serbatoi di magma che alimentano le potenti eruzioni di Yellowstone sembrano migrare verso nord-est rispetto alla caldera principale. Questa scoperta suggerisce che la prossima grande eruzione potrebbe verificarsi in una zona precedentemente considerata meno attiva.

I dati raccolti indicano un accumulo significativo di magma ricco di silice nella parte nord-orientale della caldera“, ha affermato la Bennington: “Questa zona, in passato relativamente tranquilla, sembra ora essere il nuovo bersaglio delle forze vulcaniche in gioco“.

Yellowstone è un sistema vulcanico estremamente complesso, caratterizzato da una camera magmatica profonda e da una serie di serbatoi più superficiali. Il magma, riscaldato dalle profondità della Terra, risale verso la superficie attraverso fratture e fessure nella crosta terrestre. Nel corso dei millenni, questi processi hanno portato alla formazione di caldere, vaste depressioni causate dallo svuotamento e dal collasso delle camere magmatiche.

Le eruzioni che hanno formato le caldere sono state eventi catastrofici, in grado di influenzare il clima globale e di alterare profondamente l’ecosistema terrestre. Fortunatamente, eventi di questa portata sono estremamente rari. L‘attività vulcanica tuttavia continua a manifestarsi attraverso geyser, sorgenti termali e terremoti, ricordandoci la potenza della natura.

La scoperta dello spostamento dei serbatoi magmatici solleva interrogativi importanti sul futuro di Yellowstone. Sebbene non ci siano indicazioni imminenti di una grande eruzione, gli scienziati continuano a monitorare attentamente l’attività vulcanica del parco.

È fondamentale sottolineare che la previsione delle eruzioni vulcaniche è una sfida complessa“, ha aggiunto la Bennington: “Tuttavia, grazie ai progressi tecnologici e a una migliore comprensione dei processi geologici, siamo sempre più in grado di valutare i rischi e di mettere in atto misure di prevenzione”.

Yellowstone rimane uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi del nostro pianeta. La scoperta del nuovo fronte vulcanico ci ricorda che la Terra è un sistema dinamico in continua evoluzione. Gli scienziati continueranno a studiare questo supervulcano, cercando di svelarne i segreti e di proteggere le comunità che vivono nelle sue vicinanze.

Un nuovo fronte vulcanico

Studi precedenti hanno indicato che i serbatoi di magma riolitico, che alimentano le eruzioni di Yellowstone, fossero sostenuti da riserve più profonde di magma basaltico. Quest’ultimo, a differenza della riolite, è caratterizzato da un basso contenuto di silice e un’alta concentrazione di ferro e magnesio. La sua viscosità è significativamente inferiore, mentre la densità è maggiore. Queste differenze intrinseche, in particolare la diversa conducibilità elettrica, hanno fornito a Bennington e al suo team un potente strumento per indagare la composizione del serbatoio magmatico sottostante l’altopiano di Yellowstone.

L’indagine magnetotellurica condotta da Bennington e colleghi ha dipinto un quadro complesso del sistema magmatico di Yellowstone. I dati raccolti hanno rivelato l’esistenza di una rete di serbatoi magmatici, interconnessi tra loro, che si estendono fino a 47 chilometri di profondità. Questa scoperta sottolinea l’estrema dinamicità del sistema vulcanico e la necessità di un monitoraggio continuo.

La zona più attiva si trova a nord-est della caldera. In questa regione, profonde sacche di magma basaltico, come dei forni naturali, scaldano e mantengono attive camere magmatiche più superficiali, ricche di magma riolitico. Queste camere, con un volume stimato in centinaia di chilometri cubi, rappresentano una vera e propria miniera di magma, molto più grande rispetto ad altre zone della caldera.

Conclusioni

Le eruzioni nella caldera di Yellowstone hanno mostrato una complessa alternanza di eventi riolitici ed eruzioni basaltiche di minori dimensioni. Tuttavia, i meccanismi che regolano questa alternanza non sono ancora del tutto chiari. La ricerca suggerisce che le camere magmatiche riolitiche debbano raffreddarsi completamente prima che possa avvenire una nuova intrusione di magma basaltico. Saranno necessarie ulteriori indagini per comprendere meglio questa dinamica e prevedere i tempi e le modalità delle future eruzioni.

La ricerca è stata pubblicata su Nature.

Energia oscura: le ultime osservazioni mettono in discussione tutto

0
Energia oscura: le ultime osservazioni mettono in discussione tutto

L’energia oscura, un pilastro del modello cosmologico standard, sta subendo un intenso scrutinio. Da quando è stata introdotta per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, questa misteriosa componente ha dominato le discussioni cosmologiche. Tuttavia, le recenti scoperte e le discrepanze osservate stanno mettendo in discussione le nostre attuali comprensioni.

Energia oscura: le ultime osservazioni mettono in discussione tutto

L’energia oscura nel modello standard

Nel modello cosmologico standard, l’energia oscura è descritta come una costante cosmologica, una proprietà intrinseca dello spaziotempo che causa un’espansione accelerata dell’Universo. Questa idea, apparentemente semplice, ha risolto molte delle incongruenze osservate nei dati cosmologici. La metrica di Friedmann-Lemaître-Robertson-Walker (FLRW), che descrive un universo omogeneo e isotropo, è lo strumento matematico fondamentale per modellare l’Universo in presenza di energia oscura.

Una delle maggiori discrepanze riguarda il tasso di espansione dell’Universo. Le misurazioni ottenute dalle osservazioni delle supernovae di tipo Ia e quelle ottenute dal fondo cosmico a microonde (CMB) forniscono valori leggermente diversi per la costante di Hubble. Questa discrepanza, nota come tensione di Hubble, suggerisce che potrebbe esserci qualcosa di fondamentale che non stiamo comprendendo nel nostro modello cosmologico.

L’assunzione che l’energia oscura sia distribuita uniformemente in tutto l’Universo è un pilastro del modello standard. Tuttavia, alcune osservazioni suggeriscono che la distribuzione dell’energia oscura potrebbe non essere così uniforme come si pensava, portando a dubitare della validità della metrica FLRW su tutte le scale.

Un recente studio ha proposto una teoria radicalmente diversa: l’energia oscura potrebbe non esistere affatto. Gli autori suggeriscono che le osservazioni che indicano un’espansione accelerata dell’Universo potrebbero essere spiegate da altri meccanismi, senza la necessità di introdurre una nuova forma di energia.

Potrebbe essere necessario rivedere le leggi della gravità su larga scala per spiegare l’accelerazione cosmica senza ricorrere all’energia oscura. La materia oscura, un’altra componente misteriosa dell’Universo, potrebbe avere un ruolo più complesso nel guidare l’espansione cosmica di quanto si pensasse in precedenza. Le discrepanze osservate potrebbero essere dovute a errori sistematici nelle nostre misurazioni o nelle nostre analisi dei dati.

L’energia oscura rimane uno dei più grandi misteri della cosmologia. Le recenti scoperte hanno messo in discussione le nostre attuali comprensioni e hanno aperto la strada a nuove e affascinanti teorie. È fondamentale continuare a raccogliere dati e a sviluppare nuovi modelli per comprendere appieno la natura dell’Universo e il suo destino.

Rivedere le leggi della gravità

Uno studio recente, basato sul dataset Pantheon+ di supernovae di tipo Ia, ha messo a confronto due modelli cosmologici: il modello standard e il modello Timescape. La principale differenza tra i due risiede nell’assunzione sull’espansione dell’Universo: nel modello standard, l’espansione è uniforme in ogni direzione, mentre nel modello Timescape questa uniformità non è necessaria.

I risultati dello studio indicano che, sebbene entrambi i modelli riescano a descrivere i dati delle supernovae, il modello Timescape sembra fornire una leggermente migliore aderenza. Questo suggerisce che l’energia oscura, un pilastro del modello standard e introdotta per spiegare l’accelerazione cosmica, potrebbe essere un’interpretazione eccessiva dei dati.

È importante sottolineare che la discrepanza tra i due modelli non è così significativa da escludere definitivamente il modello standard. Sono necessarie ulteriori indagini e dati più precisi per poter affermare con certezza quale dei due modelli offra la descrizione più accurata dell’Universo.

Conclusioni

Se i dati futuri continueranno a favorire il modello Timescape, assisteremo a una vera e propria rivoluzione nella nostra comprensione dell’Universo. Tuttavia, è fondamentale mantenere un approccio cauto. Il modello Timescape è solo una delle tante teorie alternative proposte per spiegare l’espansione accelerata dell’Universo, e presenta ancora alcuni aspetti da chiarire.

Nonostante ciò, i risultati di questo studio ci invitano a riconsiderare il modello cosmologico standard. È chiaro che la nostra attuale comprensione dell’Universo potrebbe essere incompleta. Stiamo vivendo un’epoca entusiasmante per l’astronomia, dove nuove scoperte stanno continuamente sfidando le nostre teorie e ampliando i nostri orizzonti cosmici.

Lo studio è stato pubblicato sul New Journal of Physics.