domenica, Aprile 27, 2025
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Virus mai visti prima prosperano negli oceani

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Virus mai visti prima prosperano negli oceani
Virus mai visti prima prosperano negli oceani
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Gli scienziati hanno scoperto virus mai visti prima che prosperano negli oceani da un polo all’altro infettando il plancton. I nuovi virus sono stati soprannominati “mirusvirus” – “mirus” che in latino significa “strano”.

I ricercatori hanno concluso che i mirusvirus appartengono a un ampio gruppo di microrganismi chiamato Duplodnaviria, che comprende gli herpesvirus che infettano animali e umani, sulla base di geni condivisi che codificano il guscio, o “capside” che racchiude il loro DNA. Ma gli strani microbi appena scoperti condividono anche un numero impressionante di geni con un gruppo di virus giganti, chiamati Varidnaviria.

Ciò suggerisce che questi microrganismi sono un bizzarro ibrido tra due lignaggi virali lontanamente imparentati, hanno concluso gli scienziati.

“Sembrano essere un gruppo di virus estremamente insolito”, ha dichiarato Tom Delmont, un ricercatore del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS) che ha partecipato alla scoperta. “Questo è il motivo per cui li consideriamo chimerici, poiché sono un mix di due diversi gruppi: da un lato gli herpesvirus, basati sui geni delle particelle, e dall’altro i virus giganti, basati su molti più geni”.

Il team ha descritto gli strani microbi ritrovati in uno studio pubblicato sulla rivista Nature. La scoperta evidenzia quanto poco sappiamo dei virus in agguato negli oceani della Terra.

Per trovarli, il team ha esaminato i dati della spedizione Tara Ocean, che ha raccolto quasi 35.000 campioni di acqua oceanica contenenti virus, alghe e plancton tra il 2009 e il 2013. I ricercatori hanno quindi cercato indizi evolutivi in ​​milioni di geni di microbi.

“Lavorare su questi dati è stato come esaminare un’enorme area di sabbia con un metal detector alla ricerca di un tesoro”, ha detto Delmont. “Come risultato abbiamo trovato un tesoro evolutivo”.

Nel setacciare questa raccolta di dati, gli scienziati hanno rilevato un lignaggio precedentemente non descritto di virus a DNA a doppio filamento, i mirusvirus, che possono essere trovati nelle acque superficiali illuminate dal Sole degli oceani polari, temperati e tropicali. Questi abbondanti microbi infettano il plancton, che sono minuscoli organismi che si spostano sulle correnti oceaniche e possono produrre spettacolari fioriture visibili dallo spazio, secondo il National Ocean Service.

Invadendo le cellule del plancton, i mirusvirus probabilmente aiutano a regolare l’attività dei microrganismi e quindi il flusso di carbonio e sostanze nutritive attraverso l’oceano.

“I virus sono una componente molto naturale del plancton sulla superficie dell’oceano”, ha affermato Delmont. “Distruggeranno molte, molte cellule ogni giorno e questo rilascerà nutrienti, particelle all’interno delle cellule che verranno utilizzate da altre cellule per essere attive e sane”.

I mirusvirus potrebbero essere la chiave per risolvere l’enigmatica origine dei virus dell’herpes, sostiene Delmont. I geni che codificano il guscio protettivo attorno al DNA virale sono sorprendentemente simili in entrambi i gruppi, suggerendo che siano correlati.

“Ciò significa che esiste una storia evolutiva condivisa tra l’herpes, che infetta solo gli animali, e i mirusvirus che sono ovunque nell’oceano, dove infettano gli organismi unicellulari”, ha detto Delmont. “Tutto ciò indica un’origine planctonica per l’herpes”.

Questi microrganismi insoliti rappresentano un nuovo fronte per la ricerca sulla vita microbica nei nostri oceani e ci sono molte altre scoperte in serbo.

“Cercheremo di isolare questi microbi nel prossimo anno”, ha dichiarato il coautore dello studio Hiroyuki Ogata, professore presso l’Istituto per la ricerca chimica dell’Università di Kyoto. “L’isolamento è ora essenziale per svelare il mistero di questo nuovo gruppo virale”, ha concluso.

Fonte: Nature

Gli antichi romani mangiavano una focaccia simile alla pizza

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Gli antichi romani mangiavano una focaccia simile alla pizza
Gli antichi romani mangiavano una focaccia simile alla pizza
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Gli archeologi a Pompei hanno scoperto un affresco di 2000 anni di un pasto mediterraneo che si pensi assomigli a una pizza.

La pizza come la conosciamo oggi, con pomodoro e mozzarella, è nata in Italia intorno al 1800, il pomodoro, infatti, è arrivato in Europa solo dopo la scoperta delle americhe; l’affresco romano mostra quella che, probabilmente, era una focaccia piatta, cibo che veniva comunemente consumato in città prima che fosse distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Il Parco Archeologico di Pompei ha svelato il piccolo affresco il 27 giugno. L’immagine è stata rinvenuta durante recenti scavi nella Regio IX, una sezione dell’antica città che conteneva un mix di case residenziali e strutture commerciali, come una lavanderia e un forno, così come i resti scheletrici di almeno tre persone.

Su sfondo nero, l’affresco rinvenuto comprende un bicchiere di vino pieno su un vassoio d’argento, datteri, melograni e una ghirlanda di bacche gialle accanto a un bastoncino blu avvolto da un nastro rosso. Tuttavia, i carboidrati a sinistra del vassoio hanno attirato maggiormente l’attenzione.

“Come non pensare alla pizza”, ha detto in una nota il direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ricordando che si tratta di un alimento “nato come piatto ‘povero’ nel sud Italia, che ha ormai conquistato il mondo”.

Gli archeologi hanno trovato l'affresco della focaccia piatta durante i recenti scavi nella Regio IX, una sezione di Pompei che conteneva un mix di case residenziali e strutture commerciali.(Credito immagine: Parco Archeologico di Pompei)
Gli archeologi hanno trovato l’affresco della focaccia piatta durante i recenti scavi nella Regio IX, una sezione di Pompei che conteneva un mix di case residenziali e strutture commerciali.(Credito immagine: Parco Archeologico di Pompei)

I tratti distintivi della pizza, tuttavia, includono la mozzarella e la salsa di pomodoro, nessuna delle quali era disponibile per gli antichi romani che vivevano a Pompei, un’antica destinazione di vacanza. I pomodori non furono introdotti in Europa fino al XVI secolo, mentre la mozzarella fu probabilmente prodotta per la prima volta nell’XI secolo.

Ma i romani avevano qualcosa che chiamavano panis focacius, che significa “pane del focolare“, che consisteva in un impasto lievitato fatto con farina, olio d’oliva, acqua e sale, una ricetta base che è stata tramandata nei millenni come focaccia. Questo pasto si adatta al dipinto, che ha punti colorati che sembrano rappresentare una focaccia con spezie e condimenti come il pesto, secondo gli archeologi.

Guardando l’affresco emerso a Pompei, non può esserci dubbio che il panis focacius sia l’antenato della pizza.

La natura morta a Pompei è un genere di pittura chiamato xenia – un motivo che rappresenta doni di ospitalità – hanno detto gli archeologi. La collocazione di questo affresco nell’atrio di una casa potrebbe quindi riflettere il desiderio del padrone di casa di trattare bene gli ospiti. Circa 300 di questi affreschi sono stati ritrovati a Pompei e nelle città vicine.

Riferimenti al pane tipo focaccia si trovano anche nella letteratura latina, dove diversi autori romani descrivono verdure, frutta, aglio, erbe e formaggi come il pecorino romano spalmato su focacce come tipico pasto frugale.

Il semplice pasto reso con colori vivaci sul muro di una grande casa riflette un contrasto intrigante, poiché “ci ricorda una sfera che sta tra il pastorale e il sacro da un lato, e il lusso dei vassoi d’argento e la raffinatezza delle rappresentazioni artistiche e letterarie sul lato opposto”, ha affermato Zuchtriegel.

Tuttavia, sono in corso altri scavi presso la Regio IX, che coprono un’area di circa 3.200 metri quadrati.

“Pompei non finisce mai di stupire; è uno scrigno che svela sempre nuovi tesori” ha affermato il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. “Al di là della questione di cui parlano i ricercatori, va sottolineato il valore globale di questo sito, al quale stiamo dedicando la nostra attenzione, sia con la chiusura del Grande Progetto Pompei e con l’avvio di nuove iniziative. La conservazione e la valorizzazione del patrimonio, come previsto dall’articolo 9 della Costituzione, costituiscono una priorità assoluta”, ha concluso.

Fonte: Parco Archeologico di Pompei

Benvenuti nel nuovo New World Order

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Comunicato ufficiale del Nuovo Ordine Mondiale (NWO)

Dipartimento Globale per l’Annessione Pacifica & Riscrittura Geografica (DGAPRIG)
Sede provvisoria: Ovunque ci sia spazio da conquistare

COMUNICATO STAMPA N. 001/2025

Titolo:
Verso un futuro unipolare, unipopolare e unipranzo


Introduzione:
Alla luce dei recenti sviluppi nella geodiplomazia gastronomica, i membri fondatori del NWO – New World Order si sono riuniti per definire pacificamente (cioè: a modo loro) i nuovi assetti planetari.
La conferenza si è tenuta in una location scelta casualmente tra i luoghi ancora non bombardati.


Punti all’Ordine del Giorno:

1. Redistribuzione pacifica delle nazioni:

  • L’🦅 Aquila americana ha rivendicato il Canada e la Groenlandia per “motivi di sicurezza e sciroppo”.

  • L’🐻 Orso russo ha annesso l’Ucraina con la formula: “era già nostra, solo che non lo sapevate”.

  • Il 🐉 Drago cinese ha ordinato Taiwan da asporto, con salsa di soia inclusa.

  • Il 🐕 Cane nordcoreano ha espresso il desiderio di ottenere la Corea del Sud con patatine e bibita media.

2. Nuovo Calendario NWO:

  • L’anno 1 corrisponde al primo tweet presidenziale che conteneva la parola “annex”.

3. Riforma della Carta delle Nazioni Unite:

  • Sostituito il principio di “autodeterminazione dei popoli” con “autodecisione dei più grossi”.

4. Simboli del potere:

  • Le corone saranno sostituite da cappelli da chef.

  • Le guerre da ora si chiameranno “fusioni territoriali”.


Dichiarazione congiunta finale:

“Non stiamo invadendo, stiamo semplificando la mappa.”


Firmato da:

🦅 L’Aquila
🐻 L’Orso
🐉 Il Drago
🐕 Il Cane (in attesa)


Nota finale:

Il Dipartimento per la Pace Fittizia ricorda che ogni azione intrapresa è volta al bene comune…
…o almeno al bene di chi ha preso la decisione.
Chi si oppone è libero di lamentarsi. Finché ha ancora una nazione da cui farlo.

nwo1

Il vero New World Order

Nel grande ristorante geopolitico del 2025, i leader delle potenze mondiali non si accontentano più del menù del giorno: vogliono direttamente la cucina intera.

Donald Trump, tornato più arancione e più affamato che mai, ha dichiarato:

“Canada? È nostro per diritto di aceri. E la Groenlandia? Beh, la volevo già nel 2019, ora è tempo di dessert.”

Pare che stia già facendo stampare le nuove mappe con un Canada chiamato “Trumplandia del Nord” e la Groenlandia etichettata come “Ghiacciolandia Resort & Casino”.

Nel frattempo, Putin, montato su un orso e armato di sarcasmo, continua a dichiarare che l’Ucraina è parte integrante della storia russa, “almeno quella che mi sono scritto da solo in bagno”.
Secondo fonti interne al Cremlino, la nuova versione della Storia russa inizia con la frase: “All’inizio c’era solo la Grande Madre Russia, poi tutti gli altri sono venuti a rubarle le matrioske.”

Xi Jinping, invece, ha ribadito che Taiwan è una questione interna, più interna della sua dispensa. Ha dichiarato:

“È come un raviolo che è scivolato fuori dal piatto. Basta con queste divisioni artificiali: è ora di riavvolgere la pasta.”

Infine, Kim Jong-un, sentendosi escluso dal banchetto, ha sbottato:

“Anche io voglio la Corea del Sud. Che senso ha avere solo metà kimchi?”

Gli analisti internazionali hanno commentato con preoccupazione, ma la colomba della pace è stata vista sorseggiare gin tonic dietro l’ONU, dicendo:

“Fate voi, io ho chiuso.”

Bodyoid: un progresso scientifico o un dilemma etico?

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Bodyoid: un progresso scientifico o un dilemma etico?
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Il progresso medico è ostacolato da un paradosso: innovazioni su animali non si traducono in cure umane, farmaci falliscono le sperimentazioni e gli organi scarseggiano. La causa? La mancanza di corpi umani etici. I bodyoid, corpi umani creati in laboratorio senza coscienza, potrebbero essere una soluzione.

Bodyoid: un progresso scientifico o un dilemma etico?

La necessità di materiali biologici umani: una realtà inevitabile

Sebbene possa suscitare disagio, è innegabile che i materiali biologici umani siano una merce essenziale nella medicina moderna. La loro scarsità impone limitazioni significative alla ricerca, allo sviluppo di farmaci e alla terapia dei trapianti. La dipendenza dai modelli animali, sebbene utile, non riesce a replicare la complessità della fisiologia umana, portando spesso a risultati fuorvianti. Inoltre, le sperimentazioni cliniche, necessarie per convalidare la sicurezza e l’efficacia dei farmaci, sono costose, lunghe e soggette a un elevato tasso di fallimento.

Recenti progressi nella biotecnologia offrono una speranza per superare questa impasse. La possibilità di creare corpi umani viventi, privi delle strutture neurali associate alla coscienza e al dolore, apre la strada a una nuova era della medicina rigenerativa. Questi bodyoid, generati da cellule staminali pluripotenti e coltivati in uteri artificiali, potrebbero fornire una fonte illimitata di organi, tessuti e cellule per la ricerca e la terapia.

I bodyoid offrono una serie di vantaggi rivoluzionari. Consentirebbero la creazione di modelli biologici personalizzati, rispecchiando accuratamente la genetica e la fisiologia di un singolo paziente, per lo screening di farmaci e la valutazione di trattamenti. Inoltre, potrebbero risolvere la crisi della carenza di organi, fornendo una fonte inesauribile di tessuti compatibili per il trapianto, eliminando la necessità di immunosoppressione a vita. Infine, i bodyoid animali potrebbero sostituire l’uso di animali senzienti nella ricerca e nell’agricoltura.

Sebbene la strada da percorrere sia ancora lunga, questa ricerca rappresenta una frontiera promettente nella medicina rigenerativa. Con un approccio cauto e responsabile, che bilanci il progresso scientifico con le considerazioni etiche, potremmo essere in grado di superare le limitazioni attuali e inaugurare una nuova era di cure personalizzate, trapianti di organi accessibili e ricerca medica avanzata.

Bodyoid: una soluzione etica o un dilemma morale?

I bodyoid, corpi umani creati in laboratorio privi di coscienza e dolore, emergono come una potenziale soluzione a molteplici dilemmi etici nella medicina moderna. La loro capacità di sostituire l’uso di animali nella ricerca e nella produzione alimentare, offrendo carne e altri prodotti senza sofferenza animale, rappresenta un progresso significativo. Tuttavia, la loro introduzione solleva questioni etiche complesse e controverse.

Il concetto di creare corpi umani per la ricerca medica suscita un disagio comprensibile. Il nostro innato rispetto per la vita umana, in tutte le sue forme, ci impone di considerare attentamente le implicazioni morali di tale pratica. La ricerca su larga scala su persone prive di coscienza è vietata, eppure, riconosciamo il valore inestimabile dello studio del corpo umano per il progresso della medicina.

L’utilizzo di cellule per creare bodyoid richiede il consenso informato dei donatori, garantendo che siano consapevoli delle implicazioni potenzialmente controverse della loro decisione. Tuttavia, la questione più profonda riguarda il loro status. La loro creazione al di fuori della gravidanza e senza genitori biologici sfida la nostra comprensione tradizionale della vita umana.

La loro creazione potrebbe mettere in discussione la nostra definizione di umanità, in particolare per quanto riguarda le persone con gravi disabilità cognitive. Se li consideriamo come esseri umani, dotati di diritti e rispetto, dovremmo estendere tale considerazione anche a coloro che, pur essendo nati vivi, non possiedono coscienza o sensibilità?

Le domande sollevate sui bodyoid richiedono una riflessione approfondita e un dibattito pubblico. Dobbiamo considerare attentamente le implicazioni etiche della loro creazione e utilizzo, garantendo che il progresso scientifico non comprometta i nostri valori fondamentali. La definizione di umanità, il consenso informato e il rispetto per la vita in tutte le sue forme sono questioni che richiedono una risposta ponderata e responsabile.

Una frontiera Inesplorata tra scienza e filosofia

Fino a poco tempo fa, l’idea di creare un corpoide sarebbe stata relegata ai confini della fantascienza e della speculazione filosofica. I recenti progressi scientifici hanno reso questa possibilità non solo plausibile, ma potenzialmente rivoluzionaria. È giunto il momento di esplorare a fondo questa frontiera, considerando i suoi enormi benefici potenziali per la medicina umana e il benessere animale.

I governi, le aziende e le fondazioni private dovrebbero considerare i bodyoid come un’area di investimento prioritaria. Iniziare con modelli animali, come i roditori, consentirebbe di valutare la fattibilità e l’efficacia di questa tecnologia, aprendo la strada a future applicazioni umane.

Parallelamente al progresso scientifico, è fondamentale avviare un dialogo aperto e approfondito sulle implicazioni etiche e sociali. La creazione di corpi privi di coscienza solleva questioni complesse sulla definizione di vita, sul rispetto per il corpo umano e sul potenziale impatto sulla nostra comprensione dell’umanità.

Il dibattito sui bodyoid deve coinvolgere un’ampia gamma di voci, tra cui scienziati, eticisti, filosofi, rappresentanti della società civile e decisori politici. Solo attraverso un dialogo inclusivo e informato potremo prendere decisioni responsabili sul futuro di questa tecnologia. L’annuncio della clonazione della pecora Dolly negli anni ’90 ha suscitato una reazione isterica, caratterizzata da speculazioni infondate e timori irrazionali. Dobbiamo imparare dal passato e affrontare la questione con una riflessione ponderata e una comunicazione responsabile.

Il percorso verso la realizzazione del potenziale dei bodyoid è incerto e potrebbe non portare ai risultati sperati. L’opportunità di rivoluzionare la medicina e il benessere animale è troppo grande per essere ignorata. Dobbiamo bilanciare la cautela con una visione audace, esplorando questa frontiera con responsabilità e lungimiranza.

Cancro: nuovo approccio disattiva la proteina chiave della proliferazione

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Cancro: nuovo approccio disattiva la proteina chiave della proliferazione
Cancro: nuovo approccio disattiva la proteina chiave della proliferazione
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Un gruppo di ricercatori dell’Università di Bath ha compiuto un passo avanti significativo nella lotta contro il cancro, identificando peptidi in grado di bloccare in modo permanente una proteina chiave, cJun, precedentemente considerata “non trattabile”.

Questa scoperta, resa possibile grazie a un innovativo metodo di screening, apre nuove prospettive per lo sviluppo di terapie mirate contro forme di cancro particolarmente aggressive.

Cancro: nuovo approccio disattiva la proteina chiave della proliferazione
Cancro: nuovo approccio disattiva la proteina chiave della proliferazione

La svolta nella lotta al cancro: peptidi che disattivano una proteina “incurabile”

I fattori di trascrizione, proteine che regolano l’espressione genica, svolgono un ruolo cruciale nello sviluppo del cancro. Tuttavia, la loro struttura complessa e la mancanza di siti di legame ben definiti hanno reso difficile lo sviluppo di farmaci a piccole molecole in grado di inibirli efficacemente. Questo ha spinto i ricercatori a esplorare alternative, come i peptidi, brevi catene di amminoacidi, che offrono una maggiore flessibilità e specificità.

Il team di Bath ha sviluppato un metodo di screening rivoluzionario, il test Transcription Block Survival (TBS), in grado di analizzare un vasto numero di peptidi e identificare quelli in grado di legarsi in modo selettivo e irreversibile ai fattori di trascrizione all’interno delle cellule. Questo approccio ha permesso di superare i limiti delle tecniche tradizionali, che spesso si basano su modelli in vitro e non tengono conto della complessità dell’ambiente cellulare.

Utilizzando il test TBS, i ricercatori hanno identificato peptidi in grado di bloccare in modo permanente l’azione di cJun, un fattore di trascrizione coinvolto nella proliferazione cellulare incontrollata e nella resistenza ai farmaci. A differenza degli inibitori reversibili precedentemente identificati, questi peptidi si legano in modo irreversibile a cJun, disattivandolo in modo permanente e impedendo la crescita delle cellule tumorali.

Questa scoperta rappresenta un passo avanti significativo nello sviluppo di terapie mirate contro il cancro. La capacità di bloccare in modo permanente proteine chiave come cJun potrebbe aprire la strada a farmaci più efficaci e meno tossici, in grado di colpire selettivamente le cellule tumorali senza danneggiare i tessuti sani.

Sebbene i risultati ottenuti siano promettenti, è necessario condurre ulteriori ricerche per valutare la sicurezza e l’efficacia di questi peptidi in modelli animali e, successivamente, in studi clinici sull’uomo. Tuttavia, la scoperta del team di Bath rappresenta una svolta importante nella lotta contro il cancro, offrendo nuove speranze per il trattamento di forme di cancro precedentemente considerate incurabili.

La struttura di cJun: un bersaglio complesso per la terapia del cancro

Il fattore di trascrizione cJun, una proteina chiave coinvolta nella regolazione dell’espressione genica, è stato identificato come un bersaglio promettente per la terapia del cancro. Tuttavia, la sua struttura complessa e la sua capacità di formare dimeri, legandosi al DNA per alterare l’espressione genica, hanno reso difficile lo sviluppo di farmaci efficaci. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Bath ha superato questa sfida, progettando un inibitore peptidico che si lega a cJun in modo irreversibile, bloccandone l’attività e aprendo nuove prospettive per il trattamento di forme di cancro aggressive.

cJun è costituito da due subunità identiche che si associano per formare un dimero, in grado di legarsi al DNA e regolare l’espressione genica. Nel cancro, cJun può diventare iperattivo, stimolando la crescita incontrollata delle cellule tumorali. Per questo motivo, i ricercatori hanno cercato di sviluppare farmaci in grado di inibire la sua attività, impedendo la formazione del dimero e il legame al DNA.

Il team di Bath ha progettato un inibitore peptidico in grado di legarsi a una delle subunità di cJun, impedendo la formazione del dimero e il legame al DNA. Una volta identificato un peptide in grado di legarsi a cJun, i ricercatori lo hanno modificato per farlo legare in modo irreversibile, garantendo un blocco permanente dell’attività della proteina.

Il dott. Andy Brennan, primo autore dello studio, ha paragonato l’inibitore peptidico a un “arpione” molecolare, in grado di “sparare” verso il bersaglio e non lasciarlo andare. Questo legame irreversibile impedisce a cJun di legarsi al DNA, bloccando la sua capacità di alterare l’espressione genica e di stimolare la crescita delle cellule tumorali.

La capacità di bloccare un fattore di trascrizione in modo irreversibile con un inibitore peptidico rappresenta un passo avanti significativo nella terapia del cancro. Sebbene i ricercatori avessero già identificato inibitori reversibili di cJun, questa è la prima volta che sono riusciti a ottenere un blocco permanente, garantendo un’inibizione più efficace e duratura dell’attività della proteina.

La scoperta di questo inibitore peptidico irreversibile apre nuove prospettive per lo sviluppo di farmaci più efficaci e mirati contro il cancro. La capacità di bloccare in modo permanente proteine chiave come cJun potrebbe portare a terapie in grado di colpire selettivamente le cellule tumorali, riducendo al minimo gli effetti collaterali sui tessuti sani.

Transcription Block Survival: un nuovo approccio per sviluppare farmaci anticancro mirati

Il test Transcription Block Survival (TBS) rappresenta una svolta nella ricerca di farmaci antitumorali, offrendo un metodo innovativo per identificare peptidi in grado di bloccare in modo efficace e selettivo i fattori di trascrizione coinvolti nella crescita tumorale. Questo approccio, sviluppato dai ricercatori dell’Università di Bath, consente di superare i limiti delle tecniche tradizionali, fornendo risultati più accurati e pertinenti per lo sviluppo di terapie mirate.

Il test TBS si basa sull’inserimento di siti di legame per il fattore di trascrizione cJun in un gene essenziale per la sopravvivenza delle cellule coltivate in laboratorio. Quando cJun si lega a questo gene, ne impedisce il funzionamento, causando la morte cellulare. Al contrario, se cJun viene bloccato da un inibitore peptidico, l’attività del gene viene ripristinata e la cellula sopravvive. Questo meccanismo consente di valutare direttamente l’efficacia dei peptidi inibitori in un ambiente cellulare reale.

A differenza dei test in vitro, che spesso non tengono conto della complessità dell’ambiente cellulare, il test TBS analizza l’attività peptidica direttamente nelle cellule, considerando fattori come la permeabilità cellulare, la tossicità e l’interazione con altre proteine. Questo approccio consente di identificare farmaci candidati più efficaci e sicuri, riducendo il rischio di fallimento nelle fasi successive dello sviluppo.

Il test TBS non solo valuta l’attività dell’inibitore peptidico, ma controlla anche la sua tossicità e la sua interazione con altre proteine presenti nell’ambiente cellulare. Questo è fondamentale per identificare farmaci candidati che siano non solo efficaci, ma anche sicuri e ben tollerati dalle cellule sane.

I ricercatori sperano che il test TBS possa essere utilizzato per scoprire nuovi farmaci candidati per bersagli considerati “non trattabili” con le tecniche tradizionali. La capacità di analizzare l’attività peptidica in un ambiente cellulare reale apre la strada allo sviluppo di terapie mirate contro forme di cancro particolarmente aggressive e resistenti ai farmaci.

Dopo aver dimostrato la permeabilità cellulare, l’attività nelle cellule tumorali e la selettività del bersaglio, i ricercatori devono ora dimostrare che gli inibitori peptidici funzionano anche in modelli preclinici di cancro. Questo passaggio è fondamentale per valutare la sicurezza e l’efficacia dei farmaci candidati in un contesto più complesso e realistico, prima di passare alle sperimentazioni cliniche sull’uomo.

Lo studio è stato pubblicato su Advanced Science.

Barriera corallina australiana: sbiancamento massiccio distrugge l’ecosistema

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Barriera corallina australiana: sbiancamento massiccio distrugge l'ecosistema
Barriera corallina australiana: sbiancamento massiccio distrugge l'ecosistema
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Un evento di sbiancamento di massa della barriera corallina di proporzioni allarmanti è stato registrato al largo della costa occidentale dell’Australia, trasformando vaste aree della rinomata barriera corallina di Ningaloo in un desolante paesaggio bianco e opaco. Gli scienziati descrivono questo fenomeno come “senza precedenti”, evidenziando la gravità dell’impatto sulle vibranti comunità coralline.

Barriera corallina australiana: sbiancamento massiccio distrugge l'ecosistema
Barriera corallina australiana: sbiancamento massiccio distrugge l’ecosistema

Ondata di calore marina “cuoce” la barriera corallina

L’esperta di oceanografia Kate Quigley, parte del team di ricerca che monitora il parco marino patrimonio dell’umanità, ha spiegato che un’ondata di calore marino prolungata ha letteralmente “cucinato” la barriera corallina. Ningaloo, celebre per la sua biodiversità e per le migrazioni degli squali balena, è stata colpita duramente da questo evento.

Sebbene la valutazione completa dei danni sia ancora in corso, i dati raccolti da Quigley e dal suo team indicano che si tratta del peggior sbiancamento di massa degli ultimi anni. “Quest’anno, gli oceani caldi hanno semplicemente cotto i coralli“, ha affermato Quigley, sottolineando la profondità e l’estensione del fenomeno, che non si limita agli strati superficiali della barriera.

La barriera corallina di Ningaloo, estesa per 300 chilometri lungo la costa occidentale australiana, è una delle più grandi “barriere coralline marginali” del mondo. La sua importanza ecologica e la sua vulnerabilità ai cambiamenti climatici la rendono un indicatore cruciale dello stato di salute degli oceani.

Secondo l’ufficio meteorologico governativo, le acque oceaniche al largo dell’Australia Occidentale hanno registrato temperature fino a tre gradi superiori alla media durante i mesi estivi. Il monitoraggio della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti ha confermato che le temperature hanno superato la “soglia di sbiancamento” già a metà gennaio 2025.

Lo sbiancamento si verifica quando le acque calde inducono i coralli a espellere le alghe colorate (zooxantelle) che vivono nei loro tessuti. Questo processo, pur non significando la morte immediata del corallo, lo rende estremamente vulnerabile: “Ma se la situazione è abbastanza grave, i coralli moriranno“, ha avvertito Quigley, sottolineando la necessità di monitorare attentamente l’evoluzione della situazione.

Questo evento di sbiancamento di massa mette in evidenza la crescente minaccia che il riscaldamento globale rappresenta per gli ecosistemi marini. La barriera corallina di Ningaloo, con la sua straordinaria biodiversità, è un simbolo della fragilità di questi ambienti e della necessità urgente di azioni concrete per mitigare i cambiamenti climatici.

Un doppio allarme per l’Australia e il mondo

Recenti dati governativi hanno rivelato la presenza di piccole chiazze di sbiancamento dei coralli anche nella punta settentrionale della celebre Grande Barriera Corallina, situata sulla costa orientale dell’Australia. Questo fenomeno, combinato con il massiccio evento di sbiancamento che sta devastando la Barriera Corallina di Ningaloo sulla costa occidentale, solleva gravi preoccupazioni sulla salute degli ecosistemi marini australiani.

Quigley ha sottolineato che le barriere coralline di Ningaloo e la Grande Barriera Corallina sono influenzate da modelli meteorologici distinti, rendendo insolito osservare lo sbiancamento simultaneamente in entrambe: “Quello a cui stiamo assistendo è che il riscaldamento degli oceani è così elevato che in alcuni luoghi sta prevalendo sulle condizioni locali“, ha affermato Quigley, esprimendo la sua preoccupazione per l’ampiezza e la gravità della situazione: “È semplicemente scioccante. Quando facciamo un’istantanea nazionale, è estremamente preoccupante”.

La Grande Barriera Corallina, un’icona australiana e una delle principali attrazioni turistiche del paese, ha subito cinque eventi di sbiancamento di massa negli ultimi otto anni. Nonostante le attuali chiazze di sbiancamento non siano ancora classificate come un evento di massa, la loro presenza è un segnale allarmante della crescente vulnerabilità della barriera corallina al riscaldamento degli oceani.

Il 2024 ha registrato le temperature medie globali più elevate mai documentate, con ondate di calore prolungate che hanno colpito numerosi oceani del pianeta. Questa tendenza ha avuto un impatto devastante sulle barriere coralline di tutto il mondo. Un recente studio condotto da un’importante agenzia scientifica statunitense ha rivelato che quasi l’80% delle barriere coralline globali ha subito episodi di sbiancamento a causa del calore tra il 2023 e il 2024.

La simultanea comparsa di sbiancamento in due ecosistemi corallini chiave dell’Australia, unita al contesto globale di riscaldamento degli oceani, evidenzia l’urgenza di affrontare la crisi climatica. La salute delle barriere coralline è un indicatore cruciale dello stato di salute degli oceani, e la loro perdita avrebbe conseguenze devastanti per la biodiversità marina e per le comunità che dipendono da questi ecosistemi. È fondamentale adottare misure immediate per ridurre le emissioni di gas serra e proteggere le barriere coralline attraverso strategie di conservazione e ripristino.

Un fenomeno globale: temperature record e sbiancamento diffuso

L’Australia, ricca di giacimenti di carbone, gas, metalli e minerali, ha costruito la sua prosperità economica sull’estrazione e l’esportazione di queste risorse. Tuttavia, questa crescita economica ha un costo ambientale significativo. L’attività mineraria e l’uso di combustibili fossili hanno contribuito all’aumento delle emissioni di gas serra, accelerando il cambiamento climatico.

L’Australia sta già sperimentando gli effetti del cambiamento climatico in modo sempre più intenso. Ondate di calore più frequenti e intense, incendi boschivi devastanti e periodi di siccità prolungati stanno diventando la norma. Gli scienziati hanno stabilito un legame diretto tra questi eventi estremi e l’aumento delle temperature globali.

Le barriere coralline australiane, tra cui la Grande Barriera Corallina, sono particolarmente vulnerabili al riscaldamento degli oceani. Lo sbiancamento dei coralli, causato dall’aumento delle temperature, sta diventando un fenomeno sempre più frequente e diffuso. La perdita di queste barriere coralline avrebbe conseguenze devastanti per la biodiversità marina e per le comunità che dipendono da questi ecosistemi.

La situazione richiede un’azione urgente e coordinata a livello globale. È fondamentale ridurre le emissioni di gas serra, adottare pratiche di pesca sostenibili e ridurre l’inquinamento marino per proteggere le barriere coralline e garantire la loro sopravvivenza per le generazioni future. L’Australia, con la sua ricchezza di risorse naturali e la sua vulnerabilità al cambiamento climatico, ha un ruolo cruciale da svolgere in questo sforzo globale.

T Coronae Borealis: nova in arrivo, quando brillerà di nuovo?

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La costellazione della Corona Boreale ospita un sistema stellare enigmatico, noto come T Coronae Borealis, o “Blaze Star”. Questo soprannome deriva dalla sua capacità di aumentare improvvisamente di luminosità, un fenomeno spettacolare che si ripete all’incirca ogni 80 anni. Gli astronomi sono in trepidante attesa di una nuova eruzione, e recenti studi hanno tentato di prevedere le possibili date dell’evento, basandosi sulle eruzioni passate.

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T Coronae Borealis: nova in arrivo, quando la stella brillerà di nuovo?

T Coronae Borealis: l’attesa per la “Blaze Star” e il mistero delle novae ricorrenti

Per comprendere appieno la sua natura, è essenziale tracciare una netta distinzione tra le novae e le supernovae, due fenomeni astronomici che, pur coinvolgendo esplosioni stellari, differiscono in modo sostanziale. Le supernovae rappresentano eventi catastrofici che segnano la morte di una stella, distruggendo completamente l’oggetto celeste originale. In questi fenomeni, la stella subisce un collasso gravitazionale, seguito da un’esplosione di incommensurabile energia che disperde i suoi strati esterni nello spazio circostante.

T Coronae Borealis, al contrario, si configura come un sistema binario dinamico, composto da due stelle in interazione gravitazionale: una gigante rossa, una stella in fase avanzata di evoluzione, e una nana bianca, il residuo denso e compatto di una stella simile al Sole. La nana bianca, a causa della sua intensa gravità, esercita un’attrazione gravitazionale sulla sua compagna, la gigante rossa, strappandole materiale dalla sua atmosfera esterna. Questo processo di “furto” stellare porta all’accumulo di materia sulla superficie della nana bianca, innescando una serie di eventi che culminano nell’esplosione di una nova.

L’accumulo di materiale sulla nana bianca provoca un graduale aumento della pressione e della temperatura. Quando queste grandezze raggiungono livelli critici, si innesca una reazione termonucleare incontrollata sulla superficie della nana bianca. Questa esplosione, sebbene potente, non distrugge la nana bianca, ma genera un’improvvisa e drammatica impennata della luminosità del sistema, rendendolo visibile anche a occhio nudo dalla Terra.

La comunità astronomica è in fermento a causa delle recenti osservazioni che indicano un’imminente eruzione di T Coronae Borealis. Negli ultimi mesi, il sistema stellare ha manifestato comportamenti anomali, tra cui variazioni di luminosità e spettri insoliti, che suggeriscono un accumulo critico di materiale sulla superficie della nana bianca. Tuttavia, la data precisa dell’esplosione rimane avvolta nel mistero.

La difficoltà nel prevedere con esattezza l’evento risiede nella natura intrinsecamente complessa e caotica delle novae ricorrenti. A differenza di fenomeni astronomici altamente prevedibili, come le eclissi o i transiti planetari, che seguono leggi fisiche ben definite e periodicità regolari, le novae ricorrenti si collocano in una zona grigia tra prevedibilità e casualità.

Un’eruzione imminente, ma quando?

Le esplosioni stellari, in generale, sono eventi altamente dinamici e non lineari, influenzati da una miriade di variabili che interagiscono in modo complesso. Le novae ricorrenti, in particolare, sono sistemi binari in cui il trasferimento di massa tra le due stelle è un processo altamente variabile, influenzato da fattori come il tasso di accrescimento, la composizione chimica delle stelle e le interazioni mareali.

Sebbene le osservazioni passate abbiano permesso di stimare un periodo di ricorrenza di circa 80 anni per T Coronae Borealis, questo periodo non è costante e può variare a causa delle fluttuazioni nel trasferimento di massa e in altri fattori. Pertanto, mentre gli astronomi sono fiduciosi che l’eruzione avverrà presto, la data precisa rimane incerta, e l’evento potrebbe verificarsi in qualsiasi momento nei prossimi mesi o anni.

Per comprendere appieno l’attesa che circonda T Coronae Borealis, è necessario esaminare il suo storico di eruzioni, un puzzle di dati frammentari che gli astronomi stanno cercando di ricomporre. Le esplosioni di questa nova ricorrente sono state documentate in modo inequivocabile nel 1787, 1866 e 1946.

Questi eventi, sebbene distanziati nel tempo, hanno permesso di stabilire un periodo di ricorrenza approssimativo di circa 80 anni. Il quadro diventa più sfumato quando si tenta di risalire a eruzioni precedenti. Un manoscritto medievale risalente al 1217 potrebbe celare la testimonianza di un’esplosione di T Coronae Borealis, ma l’interpretazione di questo documento rimane incerta, lasciando aperte diverse ipotesi.

La sfida di prevedere con precisione la prossima eruzione ha spinto gli astronomi a cercare nuovi approcci. Una recente ricerca condotta da Jean Schneider ha tentato di affinare le previsioni, andando oltre la semplice periodicità delle eruzioni. Schneider ha considerato anche il moto orbitale delle due stelle del sistema binario, ipotizzando che questo fattore possa influenzare il timing delle esplosioni.

Sulla base di questa analisi, sono state proposte tre possibili date per l’eruzione: il 10 novembre 2025 e il 25 giugno 2026. Schneider ha sottolineato che queste date sono solo stime, e che l’eruzione potrebbe verificarsi anche entro il 2027.

Indizi dal passato e previsioni future

L’incertezza che avvolge la data esatta dell’eruzione di T Coronae Borealis non solo non diminuisce l’interesse per l’evento, ma lo amplifica, trasformandolo in un’occasione irripetibile per la comunità scientifica. La natura imprevedibile della nova, infatti, rende ogni osservazione un potenziale tassello di un puzzle cosmico ancora incompleto.

L’eruzione rappresenta un laboratorio naturale per lo studio delle novae ricorrenti, fenomeni complessi e ancora non del tutto compresi. L’osservazione dettagliata del sistema durante e dopo l’esplosione fornirà dati preziosi sulla fisica delle novae, sulla dinamica dei sistemi binari e sui processi di trasferimento di massa tra stelle.

La raccolta di dati da diverse fonti e con diverse tecniche osservative è fondamentale per ottenere un quadro completo dell’evento. La collaborazione tra astronomi professionisti e astrofili, con le loro diverse competenze e punti di vista, è essenziale per monitorare l’evoluzione della nova e raccogliere informazioni che potrebbero migliorare le previsioni future.

L’analisi congiunta di dati fotometrici, spettroscopici e interferometrici permetterà di studiare la variazione di luminosità, la composizione chimica dei gas espulsi e la struttura del sistema binario con una precisione senza precedenti. Questi dati, combinati con modelli teorici avanzati, potrebbero svelare i meccanismi che innescano le eruzioni di T Coronae Borealis e di altre novae ricorrenti.

ChatGPT-4o: l’AI multimodale che rivoluziona l’interazione uomo-macchina

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ChatGPT-4o: l'AI multimodale che rivoluziona l'interazione uomo-macchina
ChatGPT-4o: l'AI multimodale che rivoluziona l'interazione uomo-macchina
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OpenAI ha recentemente introdotto una svolta significativa nel campo dell’intelligenza artificiale con il lancio della generazione di immagini integrata in ChatGPT-4o.

Questa nuova funzionalità consente al modello AI di punta dell’azienda di creare immagini fotorealistiche di alta precisione e di modificare le immagini caricate dagli utenti, il tutto direttamente all’interno di ChatGPT. Un’innovazione attesa da tempo, che segna un passo avanti nell’interazione uomo-macchina.

ChatGPT-4o: l'AI multimodale che rivoluziona l'interazione uomo-macchina
ChatGPT-4o: l’AI multimodale che rivoluziona l’interazione uomo-macchina

ChatGPT-4o rivoluziona la generazione di immagini

Abbiamo addestrato i nostri modelli sulla distribuzione congiunta di immagini e testo online, imparando non solo come le immagini si relazionano al linguaggio, ma anche come si relazionano tra loro”, ha spiegato OpenAI. Questo approccio, combinato con un post-addestramento intensivo, ha permesso a GPT-4o di sviluppare una “fluidità visiva sorprendente“, capace di generare immagini coerenti, contestualmente consapevoli e di elevata utilità.

L’interazione con la generazione di immagini di ChatGPT-4o si presenta come un’esperienza di conversazione naturale, in cui gli utenti possono esprimere le proprie visioni creative attraverso descrizioni testuali dettagliate. La piattaforma permette di liberare la propria immaginazione, descrivendo scenari complessi, personaggi fantastici, stili artistici specifici o concetti astratti. La capacità di GPT-4o di comprendere sfumature e dettagli permette di tradurre fedelmente la visione dell’utente in immagini di alta qualità.

Gli utenti possono affinare le loro richieste fornendo parametri specifici, come proporzioni, codici esadecimali per i colori, stili artistici e composizioni complesse. Questo livello di controllo consente la creazione di immagini altamente personalizzate, adattate a esigenze specifiche e progetti creativi. ChatGPT-4o dimostra una notevole capacità di comprendere il contesto della conversazione, integrando informazioni fornite in precedenza per generare immagini coerenti con il flusso del dialogo.

Ad esempio, un utente può iniziare chiedendo un’immagine di un paesaggio e poi modificarla aggiungendo elementi specifici, come personaggi, animali o variazioni di illuminazione. La complessità dell’immagine richiesta influisce direttamente sui tempi di rendering. Immagini ricche di dettagli, stili artistici complessi o composizioni elaborate possono richiedere fino a un minuto per essere generate. Tuttavia, immagini più semplici vengono elaborate in tempi notevolmente più brevi.

OpenAI si impegna costantemente a ottimizzare il modello per ridurre i tempi di rendering e migliorare l’efficienza complessiva della generazione di immagini, rendendo l’esperienza utente sempre più fluida. In sintesi, l’interazione con la generazione di immagini di GPT-4o rappresenta un’esperienza intuitiva e coinvolgente, offrendo agli utenti un controllo senza precedenti sulla creazione di immagini personalizzate e di alta qualità.

Resa del testo: un salto di qualità

La capacità di ChatGPT-4o di rendere il testo in modo accurato rappresenta un salto di qualità significativo rispetto alle precedenti generazioni di modelli di intelligenza artificiale per la generazione di immagini. In passato, le immagini generate da AI che includevano testo erano spesso afflitte da caratteri distorti, parole senza senso e una generale mancanza di coerenza visiva. Questo problema limitava notevolmente l’utilità di tali immagini, rendendole inadatte a molte applicazioni pratiche.

GPT-4o, al contrario, dimostra una notevole abilità nel generare testo leggibile e contestualmente corretto. Il modello è in grado di comprendere la relazione tra il testo e gli elementi visivi circostanti, posizionando le parole nel giusto ordine e scegliendo caratteri che si integrano armoniosamente con l’immagine. Questa capacità apre nuove possibilità creative e applicative, permettendo la creazione di immagini che integrano testo in modo naturale e funzionale.

Nel campo della grafica e del design, questa funzionalità permette di creare materiali promozionali, locandine e infografiche che integrano testo leggibile e accattivante, elevando la comunicazione visiva a un livello superiore. Nel settore dei contenuti didattici, ChatGPT-4o facilita la generazione di immagini con didascalie, etichette e testi esplicativi, rendendo l’apprendimento più accessibile e coinvolgente.

La comunicazione visiva, nel suo complesso, beneficia di questa innovazione, permettendo di trasmettere messaggi complessi attraverso la combinazione armoniosa di elementi visivi e testuali. Infine, nel mondo dell’arte e della creatività, GPT-4o spalanca le porte a nuove forme di espressione digitale, in cui testo e immagini si fondono in opere innovative e suggestive. La capacità di GPT-4o di generare testo accurato nelle immagini rappresenta un passo avanti cruciale verso la creazione di immagini AI realistiche e funzionali, ampliando le loro potenziali applicazioni in diversi settori.

ChatGPT-4o eccelle nella comprensione del contesto, sia testuale che visivo. È in grado di seguire istruzioni dettagliate, analizzare e apprendere dalle immagini caricate dagli utenti e collegare la sua conoscenza del mondo tra testo e immagini. Questa interazione multimodale apre nuove possibilità creative e applicative.

Limiti e prospettive future

Nonostante i progressi significativi compiuti con GPT-4o, il modello presenta ancora alcune limitazioni che ne influenzano le prestazioni in determinate situazioni. Una di queste riguarda la gestione delle immagini lunghe, che tendono a essere ritagliate in modo eccessivamente stretto, compromettendo la visualizzazione completa del contenuto.

Inoltre, il modello può occasionalmente generare informazioni errate, producendo immagini che contengono elementi non veritieri o incoerenti con la realtà. Un’altra sfida riguarda la riproduzione di lingue non latine, in cui ChatGPT-4o mostra difficoltà nel generare testo accurato e contestualmente corretto. Tuttavia, OpenAI è consapevole di queste limitazioni e si impegna costantemente a migliorare il modello attraverso aggiornamenti e ottimizzazioni.

L’azienda investe in ricerca e sviluppo per superare queste sfide e ampliare le capacità di GPT-4o, con l’obiettivo di renderlo uno strumento sempre più affidabile e versatile per la generazione di immagini.

La generazione di immagini di ChatGPT-4o è disponibile per gli utenti Plus, Pro, Team e Free come generatore di immagini predefinito in ChatGPT. L’accesso sarà esteso a Enterprise ed Edu nelle prossime settimane, mentre gli sviluppatori potranno integrarla tramite l’API. GPT-4o è accessibile anche tramite Sora e un DALL·E GPT dedicato.

Fondi di caffè, da rifiuto a risorsa: la scoperta che cambierà l’edilizia

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Fondi di caffè, da rifiuto a risorsa: la scoperta che cambierà l'edilizia
Fondi di caffè, da rifiuto a risorsa: la scoperta che cambierà l'edilizia
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La ricerca condotta presso la RMIT University in Australia ha svelato un potenziale rivoluzionario nel settore delle costruzioni. Gli ingegneri hanno dimostrato che i fondi di caffè di scarto, sottoposti a un processo di pirolisi, possono essere trasformati in un additivo capace di aumentare la resistenza del calcestruzzo del 30%. Questa scoperta non solo offre una soluzione per migliorare le proprietà del materiale edile, ma affronta anche due sfide ambientali cruciali: la gestione dei rifiuti organici e la crescente domanda di sabbia.

Fondi di caffè, da rifiuto a risorsa: la scoperta che cambierà l'edilizia
Fondi di caffè, da rifiuto a risorsa: la scoperta che cambierà l’edilizia

Innovazione sostenibile: fondi di caffè per un calcestruzzo più resistente

Ogni anno, a livello globale, vengono prodotti circa 10 miliardi di chilogrammi di fondi di caffè, la maggior parte dei quali finisce nelle discariche. La decomposizione di questi rifiuti organici rilascia grandi quantità di gas serra, come il metano e l’anidride carbonica, che contribuiscono al cambiamento climatico. Allo stesso tempo, il settore edile è in continua espansione, aumentando la richiesta di calcestruzzo e, di conseguenza, di sabbia. L’estrazione di sabbia dai letti dei fiumi e dalle rive ha un impatto ambientale significativo, portando alla necessità di trovare alternative sostenibili.

Il processo sviluppato dai ricercatori prevede la trasformazione dei fondi di caffè in “biochar” attraverso la pirolisi, un riscaldamento a 350 gradi Celsius in assenza di ossigeno. Questo materiale carbonioso, una volta aggiunto al calcestruzzo, ne migliora notevolmente la resistenza. Pertanto, questa innovazione offre una doppia soluzione: riduce la quantità di rifiuti organici nelle discariche e diminuisce la dipendenza dall’estrazione di sabbia.

L’introduzione del biochar di caffè nel calcestruzzo innesca una serie di benefici che si intrecciano, alimentando un ciclo virtuoso di sostenibilità. In primo luogo, si assiste a una drastica riduzione dei rifiuti organici, poiché una considerevole quantità di fondi di caffè viene sottratta alle discariche, con conseguente diminuzione delle emissioni di gas serra. Parallelamente, si osserva una preziosa conservazione delle risorse naturali, poiché la dipendenza dall’estrazione di sabbia, una risorsa non rinnovabile, si attenua.

Inoltre, le proprietà intrinseche del calcestruzzo subiscono un notevole miglioramento, poiché il biochar di caffè ne aumenta la resistenza, conferendo al materiale una maggiore durabilità e prestazioni superiori. Infine, si concretizza un modello di economia circolare, in cui un rifiuto viene trasformato in una risorsa preziosa, contribuendo a ridurre l’impronta ambientale complessiva.

Questa ricerca rappresenta un esempio concreto di economia circolare, in cui i fondi di caffè vengono trasformati in risorse utili. L’applicazione di questa tecnologia nel settore delle costruzioni potrebbe avere un impatto significativo sulla sostenibilità ambientale, riducendo le emissioni di gas serra e preservando le risorse naturali. I ricercatori stanno ora lavorando per ottimizzare il processo e valutare la fattibilità dell’applicazione su larga scala.

Il processo di pirolisi: la chiave per la trasformazione

La scoperta chiave risiede nella trasformazione dei fondi di caffè di scarto in biochar, un materiale che, aggiunto al calcestruzzo, ne incrementa significativamente la resistenza. L’applicazione di fondi di caffè organici direttamente nel calcestruzzo si è rivelata problematica, poiché tali materiali rilasciano sostanze chimiche che compromettono la solidità del composto.

Per superare questo ostacolo, i ricercatori hanno adottato un processo di pirolisi, riscaldando i fondi di caffè a una temperatura superiore ai 350 °C in un ambiente privo di ossigeno. Questa tecnica permette di scomporre le molecole organiche, ottenendo un carbone poroso e ricco di carbonio, noto come biochar. Tale materiale si lega efficacemente alla matrice cementizia, integrandosi nel composto.

Gli esperimenti hanno dimostrato che la temperatura di pirolisi gioca un ruolo fondamentale. La pirolisi a 350 °C ha prodotto un biochar che ha migliorato notevolmente la resistenza del calcestruzzo. Tuttavia, quando il processo è stato condotto a 500 °C, le particelle di biochar risultanti non hanno mostrato la stessa efficacia.

Valutazione della durabilità a lungo termine: una fase cruciale

Nonostante i risultati promettenti ottenuti in laboratorio, i ricercatori della RMIT University riconoscono l’importanza di una valutazione approfondita della durabilità a lungo termine del calcestruzzo arricchito con biochar di caffè. La transizione da un ambiente controllato di laboratorio a condizioni ambientali reali introduce una serie di variabili che possono influenzare significativamente le prestazioni del materiale. Pertanto, sono in corso studi rigorosi per simulare e analizzare il comportamento del calcestruzzo in diverse condizioni ambientali.

Uno degli aspetti cruciali da considerare è la resistenza del materiale ai cicli di gelo/disgelo. In regioni con climi rigidi, il calcestruzzo è esposto a ripetuti cicli di congelamento e scongelamento, che possono causare fessurazioni e deterioramento nel tempo. I ricercatori stanno conducendo test accelerati per valutare la capacità del calcestruzzo con fondi di caffè di resistere a questi cicli, analizzando la sua integrità strutturale e la perdita di massa.

L’assorbimento d’acqua è un altro fattore critico che può influenzare la durabilità del calcestruzzo. L’acqua assorbita può trasportare sostanze chimiche aggressive e contribuire alla corrosione dell’armatura, se presente, e al deterioramento del materiale. Gli studi in corso mirano a determinare il tasso di assorbimento d’acqua del calcestruzzo con biochar di caffè e a valutare la sua resistenza all’ingresso di sostanze nocive.

L’abrasione, ovvero l’usura superficiale causata da attrito e sfregamento, è un altro aspetto importante da considerare. Il calcestruzzo utilizzato in pavimentazioni e altre superfici esposte è soggetto a usura costante. I ricercatori stanno conducendo test di abrasione per valutare la resistenza del calcestruzzo con fondi di caffè all’usura e per determinare la sua idoneità per applicazioni in cui è richiesta una elevata resistenza all’abrasione.

Oltre a questi test specifici, i ricercatori stanno anche valutando la resistenza del calcestruzzo con biochar di caffè ad altri fattori di stress, come l’esposizione a sostanze chimiche aggressive, la resistenza alla compressione e alla flessione a lungo termine, e la stabilità dimensionale. L’obiettivo è quello di ottenere una comprensione completa del comportamento del materiale in diverse condizioni ambientali e di garantire la sua durabilità e affidabilità nel tempo.

L’orizzonte della ricerca si espande oltre i fondi di caffè, poiché il team si dedica alla sperimentazione di biochar derivato da una varietà di scarti organici, abbracciando legno, residui alimentari e rifiuti agricoli. Questa esplorazione diversificata sottolinea un impegno verso soluzioni sostenibili a tutto tondo.

“Sebbene il nostro percorso di ricerca sia ancora nelle fasi iniziali, le scoperte che stiamo facendo aprono prospettive entusiasmanti per una riduzione drastica dei rifiuti organici come i fondi di caffè destinati alle discariche”, ha spiegato l’ingegnere della RMIT Shannon Kilmartin-Lynch, sottolineando il potenziale trasformativo di questa tecnologia: “La mia ispirazione, radicata in una prospettiva indigena, si concentra sulla cura del territorio, sulla garanzia di un ciclo di vita sostenibile per ogni materiale e sull’evitare che finiscano in discarica, con l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale“.

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Cleaner Production.

Due fisici hanno dimostrato che non stiamo vivendo una simulazione al computer

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Due fisici hanno dimostrato che non stiamo vivendo una simulazione al computer
Due fisici hanno dimostrato che non stiamo vivendo una simulazione al computer
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Negli ultimi anni sono diversi gli scienziati (ma anche imprenditori di successo come Elon Musk) che hanno adombrato la possibilità che noi si viva all’interno di una simulazione.

Insomma, secondo alcuni, noi saremmo una sorta di sims che agiscono nel computer di qualcuno grazie ad un programma che simula la realtà.

Beh, se qualcuno ha perso tempo a preoccuparsi della prospettiva che chiunque sia colui che sta giocando possa, da un momento all’altro, annoiarsi e decida di pigiare il tasto che termina la simulazione, ora può stare tranquillo. Una gruppo di fisici teorici della Oxford University nel Regno Unito ha dimostrato che la nostra vita e la realtà che viviamo semplicemente non possono essere le simulazioni generate da un enorme computer extraterrestre.

Niente Matrix, insomma.

La scoperta, inaspettatamente definitiva, è nata dalla scoperta di un nuovo legame tra le anomalie gravitazionali e la complessità computazionale.

In un articolo pubblicato sulla rivista Science Advances, Zohar Ringel e Dmitry Kovrizhi dimostrano che realizzare una simulazione al computer di un particolare fenomeno quantistico che si verifica nei metalli è impossibile, non solo in pratica, ma anche in linea di principio.

Lo studio è cominciato con l’utilizzo di una tecnica conosciuta come Quantum Monte Carlo per studiare l’effetto Hall quantistico, un fenomeno che si verifica nei sistemi fisici che mostrano forti campi magnetici e temperature molto basse, e si manifesta come una corrente di energia che corre attraverso il gradiente di temperatura. Il fenomeno indica un’anomalia nella geometria spazio-temporale sottostante.

I metodi basati sulla tecnica del Monte Carlo quantistico utilizzano il campionamento casuale per analizzare i problemi quantistici di molti corpi in cui le equazioni coinvolte non possono essere risolte direttamente.

Ringel e Kovrizhi hanno dimostrato che i tentativi di usare il Monte Carlo quantistico per modellare sistemi che mostrano anomalie, come l’effetto Hall quantico, diventeranno sempre impraticabili.

In pratica i due scienziati hanno scoperto che aumentando la complessità della simulazione aumenterebbe esponenzialmente il numero di particelle simulate.

Se la complessità crescesse linearmente con il numero di particelle simulate, raddoppiare il numero di particelle significherebbe raddoppiare la potenza di calcolo richiesta. Se, tuttavia, la complessità cresce su una scala esponenziale, dove la quantità di potenza di calcolo deve raddoppiare ogni volta che viene aggiunta una singola particella, allora l’attività diventa rapidamente impossibile.

I ricercatori hanno calcolato che solo la memorizzazione delle informazioni relative ad un paio di centinaia di elettroni richiederebbe una memoria del computer che dovrebbe fisicamente avere più atomi di quelli esistenti nell’universo.

I due ricercatori osservano che esistono una serie di altre interazioni quantistiche note per le quali non sono stati ancora trovati algoritmi predittivi e suggeriscono che alcuni di questi potrebbero non essere mai trovati.

Data la quantità fisicamente impossibile di computer grunt necessari per memorizzare le informazioni per un solo membro di questo sottoinsieme, le paure che potremmo vivere inconsapevolmente in una vasta versione di The Matrix possono ora essere messe da parte.

Questa conclusione, però, viene parzialmente stemperata da un avviso: se il nostro universo fosse una simulazione, non vi è alcun motivo per cui le leggi della fisica che lo regolano debbano applicarsi al di fuori di esso. Troviamo questo avviso nelle parole di Zohar Ringel, l’autore principale dello studio, “Chi sa quali potrebbero essere le capacità di calcolo di qualsiasi cosa ci simuli…

Quantum Monte Carlo (da wikipedia)

Il quantum Monte Carlo (QMC) consiste in una grande famiglia di algoritmi sfruttati per simulazioni di sistemi quantistici nei campi di studio della fisica della materia condensata e della chimica computazionale. Questi algoritmi, pur differenziandosi tra loro per il diverso approccio che possono sfruttare, si basano tutti sul metodo Monte Carlo per la risoluzione degli integrali multidimensionali implicati.

I quantum Monte Carlo permette una rappresentazione diretta degli effetti delle repulsioni tra elettroni nella funzione d’onda, con una incertezza statistica che può essere ridotta aumentando la durata della simulazione. Per i bosoni esistono algoritmi numericamenti esatti e che variano in modo polinomiale con la dimensione del sistema oggetto di studio. Per i fermioni esistono invece ottime approssimazioni e algoritmi Monte Carlo numericamente esatti che variano in modo esponenziale, costituendo due differenti approcci risolutivi.