sabato, Aprile 26, 2025
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Uno studio ha confermato ciò che si temeva: le feci umane contengono microplastiche

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Il mare è pesantemente inquinato dalla plastica che, ridotta in microscopici frammenti, è addirittura entrata a far parte della catena alimentare perchè molte creature marine, inconsapevolmente o no, ne ingoiano piccole quantità. Poi, si sa, pesce grande mangia pesce piccolo e, alla fine, i nostri rifiuti di plastica arrivano sulle nostre tavole apparecchiate, sotto forma di pesci, frutti di mare e altri alimenti.

Di recente, un certo numero di studi hanno confermato, se ce ne fosse stato bisogno, questo fatto incontrovertibile. È il caso di uno studio sulle feci umane che ha confermato anche che il nostro organismo non è capace di deteriorare la plastica che ingoiamo nutrendoci che, inevitabilmente, scartiamo.

Stiamo cominciando ad eliminare frammenti di microplastica con le nostre feci.

Gli archeologi sanno benissimo che è possibile imparare moltissime cose su come vive una comunità studiandone il letame. Ad esempio, pochi giorni fa un gruppo di archeologi della Oxford University ha monitorato il passaggio da una dieta a base di pesce ad una a base di carne bovina studiando i parassiti rintracciati in latrine vecchie di 700 anni a Lubecca, in Germania.

Se gli archeologi di un lontano futuro decidessero di intraprendere un simile esame sul letame delle nostre città contemporanee, probabilmente non saranno colpiti dai parassiti rintracciabili nelle nostre feci a causa di cibo mal cotto ma troveranno piccoli pezzi di plastica. La nostra scienza è più avanzata di quella dell’Europa medievale, tuttavia, e quindi non c’è bisogno di aspettare così a lungo: i ricercatori della facoltà di Medicina di Vienna lo hanno già fatto.

I ricercatori hanno convinto otto persone sparse su tutto il pianeta a tenere un diario esatto di tutto ciò che hanno mangiato per una settimana. Hanno quindi raccolto le loro feci e le hanno esaminate per verificare la presenza di di 10 diversi tipi di plastica.

Sono stati trovati nove di questi materiali plastici, con una concentrazione media di 20 particelle per 10 grammi di feci. Le materie plastiche rilevate hanno una dimensione compresa tra 50 e 500 micrometri e sono state individuate nei rifiuti di tutti i partecipanti allo studio, anche se due di loro non hanno mangiato pesce durante il periodo in esame.

Le particelle di plastica più comuni trovate erano polipropilene, utilizzato per la stampa e per pannolini di plastica, e polietilene tereftalato, comunemente utilizzato per le bottiglie di bibite.

Il ricercatore capo Dr Philipp Schwabl ha presentato i risultati alla conferenza di gastroenterologia UEG Week . “Questo è il primo studio di questo tipo e conferma quello che abbiamo a lungo sospettato, ovvero che le materie plastiche hanno ormai raggiunto l’intestino umano“, ha detto Shwabl in un comunicato . “Di particolare interesse è ciò che questo significa per noi, e in particolare i pazienti con malattie gastrointestinali.”

Secondo Schwabl ora siamo davanti ad una prospettiva davvero preoccupante poichè è possibile che “le particelle di microplastiche più piccole siano in grado di entrare nel flusso sanguigno, nel sistema linfatico e possano persino raggiungere il fegato. Ora che abbiamo le prime prove che vi sono microplastiche all’interno degli esseri umani, abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per capire cosa questo significhi per la salute umana“.

Questo possiamo indovinarlo anche da soli: niente di buono.

Scoperto sul fondo del mar Nero il relitto, perfettamente conservato, di una nave greca di 2400 anni fa

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I resti di un naufragio di 2.400 anni fa – i più antichi mai ritrovati intatti – sono stati rinvenuti sul fondo del Mar Nero dopo tre anni di mappatura del fondo marino.

Un’antica nave mercantile greca di 23 metri è stata scoperta completa di alberi, timoni e panche per remare. Incredibilmente, gli occhi moderni hanno visto questo tipo di nave solo in un’illustrazione sul “Siren Vase“, un vaso splendidamente decorato che raffigura la nave di Ulisse, che è attualmente al British Museum.

Una nave dal mondo classico, praticamente intatta, che giace sotto più di 2 chilometri di acqua, è qualcosa che non avrei mai creduto possibile”, ha commentato il professor John Adams, direttore dell ‘Università di Southampton e fondatore del Centro di Archeologia marittima, oltre che direttore del progetto di mappatura del fondale del mar Nero “Questa scoperta rivoluzionerà la nostra comprensione su come venivano costruite le navi e come si navigava nel mondo antico“.

Il progetto di archeologia marina del Mar Nero (Mappatura del Mar Nero) ha permesso di individuare la nave già nel 2017 a una profondità di circa 2 chilometri. Una recente datazione al radiocarbonio ha confermato che la nave risale al 400 aC circa. Il bastimento è potuto rimanere in condizioni così buone per tutti questi anni grazie alle acque anossiche e super-salate del Mar Nero, che sono prive di ossigeno disciolto, consentendo alla materia organica di rimanere preservata per secoli.

Il Mar Nero è stato a lungo un’importante rotta commerciale tra Europa e Asia, il che significa che è stato un centro di attività per innumerevoli culture e civiltà, tra cui Greci, Persiani, Sciti, Romani, Goti, Unni, Crociati e Ottomani, per citare solo alcune.

Il Mar Nero è stato mappato per oltre 2.000 chilometri quadrati utilizzando una tecnologia precedentemente utilizzata solo dalle compagnie energetiche. Nel corso di tre anni di lavoro, il team ha scoperto oltre 60 relitti di navi, che vanno dal navi del periodo classico a una flotta di incursori dei cosacchi del XVII secolo.

Il Dr Dragomir Garbov, un archeologo marino che ha lavorato al progetto, ha spiegato che molti dei relitti “appaiono letteralmente come se fossero affondati ieri“.

Il progetto di mappatura è il soggetto di un documentario di due ore, proiettato in anteprima al British Museum, che verrà poi distribuito alle reti televisive di tutto il mondo.

Bufale: l’UFO del Barone Rosso

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di Oliver Melis

Il Barone Rosso, il famoso asso dell’aviazione tedesca della prima guerra modiale, per un attimo ha smesso di riposare in pace.

Il motivo? Oltre ad aver combattuto e abbattuto gli aerei nemici, secondo alcune fonti avrebbe abbattuto anche un disco volante, proprio uno di quelli che, dagli anni 40 inoltrati in poi, abbiamo imparato a conoscere come UFO, oggetti volanti non identificati, che nonostante il significato dell’acronimo in tanti risveglia l’idea che omini verdi (o grigi che dir si voglia…) si celino all’interno di questi misteriosi ordigni intenti ad osservarci, rapirci e studiarci da decenni, se non da secoli.

A riferirlo sarebbe il sito Blasting News, che colloca il combattimento nei cieli del Belgio, in un giorno imprecisato della primavera 1917.

Il fatto sarebbe stato raccontato da un compagno d’armi del Barone Rosso, Peter Waitzrick, che avrebbe assistito di persona alla battaglia e al successivo “crash” del velivolo alieno in un bosco, con tanto di fuga da parte dei misteriosi occupanti.

La storia, sembra uscita da un racconto di fantascienza o da un film, dove un tecnologico e avanzato ordigno alieno viene abbattuto da una macchina terrestre molto più primitiva ma, pilotata da un carismatico e coraggioso pilota terrestre.
La storia, nota dal 1999, comparve per la prima volta sul Weekly World News, un giornale satirico che era solerte nel pubblicare notizie inventate di sana pianta, con contenuti umoristici (come la storia del “ragazzo-pipistrello“, risultato di un esperimento di ibridazione e poi fuggito dal laboratorio in cui era prigioniero).

La clamorosa rivelazione fatta da Weekly World News venne attribuita un Peter Waitzrick ormai ultracentenario, avrebbe avuto 105 anni, che si sarebbe ricordato dell’episodio dopo ben 80 anni. Una fake news, come si dice oggi, ma vista la provenienza, un giornale satirico, spesso ci chiediamo come mai talune notizie vengano prese sul serio se non con intenti ingaevoli.

La rinovata attenzione a questa “notizia” è dovuta al fatto che l’UFO del Barone Rosso ha ottenuto nuovo risalto mediatico, in occasione della pubblicazione “UFOs of the First World War“, dell’ufologo Nigel Watson.

Esistono altre leggende misteriose tramandate fino a noi dalla prima guerra mondiale, una riguarda gli “angeli di Mons“, un gruppo di arcieri fantasma che avrebbero protetto i soldati britannici nel corso della battaglia di Mons, il 22-23 agosto 1914.

angeli Mons
(c) Atkinson Art Gallery Collection; Supplied by The Public Catalogue Foundation

La leggenda degli angeli di Mons nacque grazie a un racconto di Arthur Machen, pubblicato in forma di reportage sul periodico Evening News. Nella storia si riportavano alcune testimonianze secondo le quali i soldati inglesi sarebbero stati protetti nella loro ritirata da una “gran schiera di ombre trasparenti”, identificate come gli spettri degli arcieri che non avevano avuto sepoltura dopo la battaglia di Azincourt del 1415. La storia venne pubblicata più volte arrivando ad attirare l’attenzione di alcuni lettori che dichiararono di aver visto qualcosa di simile a Mons, questo nonostante le smentite di Machen che dichiarò di aver inventato lui la storia che non aveva nulla di vero.

Torniamo, concludendo, ai fatti del Barone Rosso e scopriamo che nella primavera del 1917 lo squadrone dei celebri Fokker di cui faceva parte non aveva ancora iniziato a prestare servizio.

Storie di fantasia, racconti immaginari che oggi più che mai non vengono presi per quello che sono, nonostante noi siamo costantemente informati in tempo reale da notizie che giungono da ogni parte del mondo.

Forse proprio questo bombardamento di informazioni, a molti non lascia il tempo di capire e filtrare le notizie e questo a discapito della verità e a favore di chi in un modo o nell’altro vive grazie alle bufale.

Fonte: Queryonline

Oktoberfest 2018: i tendoni della festa della birra

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Nel periodo che va dal 22 Settembre al 7 Ottobre, si è tenuto, come al solito, il festival della birra più grande al mondo che ha ospitato milioni di persone tra amanti della birra e turisti provenienti da tutto il mondo.

Vestiti in dirndl e lederhosen moltissimi visitatori si sono dati appuntamento per festeggiare l’Oktoberfest di Monaco di Baviera, concedendosi in abbondanza cibi bavaresi e fiumi di birra come se non ci fosse un domani.

Un nostro lettore ci ha gentilmente inviato una interessante guida sui vari tendoni presenti nell’area del festival che, se non potrà più esservi utile per l’edizione appena finita, vi darà un’idea dell’ambiente e, forse, spunto per visitare la più grannde festa della birra del mondo: l’Oktoberfest.

Marstall: il tendone della birra equestre per gli amanti del lusso

Il Marstall, è il più giovane tendone dell’Oktoberfest: inaugurato solo nel 2014, questa location è dedicata alle celebrazioni di classe.

Caratterizzato da un’atmosfera glamour e sofisticata (ballare sulle panche ad esempio non è permesso), in questo tendone vengono serviti eccellenti piatti della tradizione curati dallo chef Hubert Kayr che prepara anche piatti vegetariani, vegani e senza glutine, una rarità da trovare nelle altre tende.

Nel pieno rispetto della tradizione però, la birra Franziskaner viene rigorosamente servita nei tipici boccali da un litro.

Armbrustschutzen-Festhalle: la tenda dei balestrieri

Tradizionalmente conosciuta come il tendone dei balestrieri, tra la gente del posto è frequentata soprattutto dagli anziani.

Durante il giorno il clima qui è più tranquillo e contenuto, dal tardo pomeriggio in poi la tenda si anima grazie alla musica e ai litri di birra Paulaner, divenendo più affollata e allegra.

L’animazione in questa tenda dalle varie band che suonano e cantano i più grandi successi dell’Oktoberfest.

Ultima chicca: in questo tendone si tengono anche i campionati annuali di balestra tedesca. Che aspetti a provare?

Hofbrau-Festzelt: il tendone più frequentato dai turisti

La tenda Hofbrau è la più grande dell’Oktoberfest: con i suoi 10.000 posti a sedere, è solitamente la preferita dai turisti, soprattutto americani e inglesi.

Qui l’atmosfera è allietata dai grandi successi musicali della tradizione bavarese e le decorazioni originali con ghirlande di luppolo che pendono dalle pareti e dal soffitto, rendono il tutto più piacevole e accogliente.

Hacker-Festzelt: il famoso cielo della Baviera

Soprannominata “Himmel der Bayern”, in italiano “cielo della Baviera”, la tenda Hacker è stata progettata dallo scenografo premio Oscar Rolf Zehetbauer.

Tenda generalmente preferita dai giovani monacensi, qui si vive l’autentica esperienza dell’Oktoberfest di Monaco di Baviera.

Le pareti sono dipinte con murales che descrivono motivi storici e paesaggi tipici bavaresi mentre parte del tetto viene aperto trasformando il tendone nelle belle giornate in una birreria all’aperto.

Schottenhamel: la tenda per i forti bevitori e chi ama le feste rumorose

In questa tenda avviene la cerimonia d’apertura dell’Oktoberfest; ogni anno alle ore 12.00 in punto durante il primo giorno del festival della birra, il sindaco di Monaco di Baviera stappa la prima botte di birra esclamando “O’zapft is”!

Lo Schottenhamel è ufficialmente la tenda più antica del festival, il posto giusto per festeggiare in allegria; rumorosa e indimenticabile, è molto frequentata da giovani e studenti.

Winzerer Fähndl: il tendone giusto per socializzare

Questa tenda è conosciuta come la più accogliente tra le tende della birra, facilmente riconoscibile grazie all’enorme statua con il boccale di birra Paluaner che ruota su se stesso.

In questo tendone oltre alla gente del luogo avrete modo di incontrare le celebrità oltre ad unirvi ai visitatori di tutte generazioni per bere e cantare all’unisono.

Se il tempo lo permette, la birreria all’aperto situata a sud della tenda è perfetta per godersi il sole autunnale.

Schutzen-Festzelt: il rifugio della birra

Caratterizzata da un’ atmosfera festosa ma educata, questa tenda offre un po’ di rifugio dai bagordi dei festeggiamenti selvaggi e dal cibo spazzatura.

Durante il giorno, è frequentata dalle famiglie con bambini e anziani del luogo che vengono qui per il pranzo.

La specialità servita in questa tenda è il maialino da latte accompagnato da salsa di birra.

Se si ha intenzione di passare la serata qui, è consigliabile mettersi in fila presto per assicurarsi un tavolo.

Kafer’s Wiesn-Schanke: lo stand delle celebrità

A questa tenda è molto difficile accedere se non si è una celebrità o un conoscente della stessa.

Sarà più facile trovar posto nella birreria all’aperto che offre altri 1.900 posti.

Qui potrete gustare specialità gourmet e lasciarvi trasportare dalla musica insieme agli abitanti di Monaco.

Tra le celebrità che avrete la fortuna di incontrare in questa tenda ci saranno certamente la squadra del Bayern Monaco, Boris Becker e altre celebrità internazionali.

Weinzelt: la tenda per chi non ama la birra

Se appartenete a quel gruppo di persone che non ama in particolar modo la birra, non preoccupatevi, qui siete nel posto giusto.

Il Kuffler’s Weinzelt è l’eccezione alla regola. E’ una delle tende più piccole ma molto curata nei particolari dove poter sorseggiare pregiati vini e champagne bavaresi.

A differenza della maggior parte dei tendoni, il Weinzelt rimane aperto fino all’una di notte, e molti partecipanti al festival passano di qui per un bicchiere di buon vino quando le altre tende sono ormai chiuse.

Lowenbrau-Festhalle: la mecca della festa

Se vi piace ballare e bere la notte questa è la vostra tenda.

Una statua di un leone posizionata all’ingresso della tenda, ruggisce ogni dieci minuti circa.

Questa tenda è la meta preferita dai turisti di tutto il mondo e specialmente dalla squadra di calcio TSV 1860 di Monaco.

L’organizzazione di questa tenda funziona sempre alla perfezione, grazie al suo storico proprietario Ludwig Hagn.

Pschorr-Braurosl: la tenda per gli amanti della musica

Il nome deriva dalla prima figlia del proprietario della birreria Pschorr, la cui bellezza attirava la folla verso questa tenda.

Oggi la gente del posto visita regolarmente questa tenda per l’atmosfera easy che trasmette.

Qui è la musica a far da padrona: un gruppo musicale di yodeler coinvolge sempre gli ospiti a cantare i successi della tradizione bavarese.

La prima domenica del festival, la comunità gay prende il posto per celebrare il “Gay Sunday”.

Augustiner-Festhalle: la tenda della birra per le famiglie

Punto di riferimento per i monacensi, la tenda Augustiner mette d’accordo la maggior parte dei locali per il fatto che lo staff di questa tenda è considerato più amichevole, ma soprattutto che la birra migliore viene servita proprio qui.

Questa considerazione sarà dovuta probabilmente al fatto che la birra Augustiner viene spillata direttamente dalle botti.

L’atmosfera di questa tenda è caratteristica e legata molto alla tradizione, così come il cibo che viene servito.

La famiglia Vollmer utilizza prodotti e carni assolutamente locali per i loro piatti.

Ochsenbraterei: il paradiso per chi ama la carne

Il tema di questa tenda è decisamente la carne.

Lo si evince immediatamente, dall’enorme bue infilzato, montato sulla tenda all’esterno.

Questa tradizione risale al 1881, quando un bue veniva cotto nella sua interezza su di una griglia appositamente progettata e costruita.

Per i vegetariani e vegani nel menu saranno presenti piatti appositamente preparati per l’occasione.

Grazie all’atmosfera particolarmente rilassata durante la settimana, molte famiglie scelgono questa tenda, anche se negli ultimi anni è diventata meta anche per i più giovani.

Fischer-Vroni: l’oasi per la pausa pranzo

Un alternativa eccellente ai piatti a base di pollo, maiale e salsicce.

Il Fischer Vroni accontenterà i palati che preferiscono il pesce con altre specialità tradizionali bavaresi: il pesce cotto su un bastone è l’esempio principale di questa tenda.

Qui l’atmosfera è piuttosto rilassata fino all’arrivo del secondo lunedì del festival della birra, quando la comunità LGBTQ occupa la tenda in occasione dell’evento “Rosa Wiesn”.

Speriamo che adesso abbiate le idee più chiare su quale tendone scegliere l’ano prossimo e, se vorrete informarvi ulteriormente sull’Oktoberfest di Monaco di Baviera, magari in previsione di farvi una puntata l’anno prossimo, vi consigliamo questo sito dedicato a Monaco e alla Baviera, un’ottima risorsa in italiano sulla festa della birra più grande del mondo.

La NASA ha perso moltissimi cimeli dell’esplorazione spaziale

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Per colpa di una gestione impropria, la NASA ha perso una vasta gamma di cimeli spaziali storici negli ultimi decenni, come, ad esempio, un contenitore pieno di terreno lunare, alcuni sistemi di controllo di volo e persino un razzo lunare di prova. 

Questo è quanto emerge da un nuovo rapporto pubblicato dall’Ufficio dell’Ispettore Generale della NASA, che ha analizzato come l’agenzia spaziale sovrintende ai suoi beni storici. Negli ultimi tempi, le procedure di conservazione della NASA sono migliorate ma alcuni pezzi unici risalenti a voli spaziali leggendari sono stati mal riposti o presi da ex dipendenti.

La NASA ha principalmente due tipi di proprietà storiche da considerare: proprietà reali come edifici e siti di test, alcuni dei quali sono ancora utilizzati per supportare le missioni attuali; e oggetti personali come tute spaziali e altri strumenti, molti dei quali non sono più necessari ma hanno una ricca storia. L’ispettore generale della NASA ha notato che gran parte delle attuali proprietà dell’agenzia spaziale hanno più di 40 anni e necessitano di riparazioni. Inoltre, la NASA continua a mantenere attivi una serie di servizi ormai inutili, una decisione che ha portato a costosi costi di manutenzione.

Alla luce di tutto ciò, l’OIG ha deciso di guardare ancora oltre al sistema della NASA per supervisionare sia la proprietà storica che l’hardware. E il rapporto dipinge un quadro un po’ imbarazzante della gestione della NASA di questi pezzi importanti, specialmente per quanto riguarda i numerosi cimeli storici che non sono più in uso. La NASA ha avuto difficoltà a recuperare proprietà storiche, molte delle quali sono state perse o rubate nel corso degli anni, e l’agenzia spaziale non è stata abbastanza energica nel rivendicare la proprietà su cose che le appartenevano, sostiene il rapporto.

Un esempio che l’OIG menziona è la perdita di un prototipo di rover lunare. Nel 2014, uno storico notò quello che sembrava un vecchio rover lunare nel cortile di un vicino. Ha segnalato la cosa alla NASA e l’ufficio dell’ispettore generale ha contattato l’individuo che aveva esposto il rover. Il proprietario disse che era interessato a restituirlo alla NASA, ma dopo quattro mesi di inattività da parte dell’agenzia spaziale, l’individuo vendette il rover ad un deposito di rottami. Il nuovo proprietario non restituì il rover alla NASA, ma lo vendette all’asta.

Altre storie degne di nota sono menzionate nel rapporto, che riporta altri episodi in cui la NASA è stata avvisata di oggetti di sua proprietà messi all’asta. Una vecchia sacca lunare, piena di terreno lunare raccolta dalle missioni Apollo, che è stata sequestrata dall’FBI e venduta all’asta. La NASA ha cercato di recuperarlo ma un giudice ha deciso che l’agenzia doveva restituirlo alla persona che l’aveva acquistata all’asta. Inoltre, un ex impiegato si portò a casa tre joystick usati nella missione Apollo 11, la prima missione con equipaggio a scendere sulla Luna, dopo che gli fu detto di buttarli. In seguito vendette i joystick all’asta, cosa che attirò l’attenzione della NASA. L’agenzia spaziale ha tentato le vie legali per tornarne in possesso ma, dopo tre anni, finì per rinunciare.

L’OIG della NASA si occupa anche di come l’agenzia spaziale presta parti dei relitti delle navette spaziali Columbia e Challenger, i due veicoli esplosi durante il volo. La NASA, a volte, finanzia ricerche su questi detriti ma non richiede sempre la firma di accordi formali da parte delle istituzioni che prendono in prestito questi artefatti. Nulla è andato perso, ma l’OIG è preoccupato che la mancanza di accordi formali possa causare malintesi tra la NASA e coloro che prendono in prestito la proprietà dell’agenzia.

Per essere onesti, in precedenza la situazione era ancora peggiore, alla NASA. Secondo l’OIG, durante i primi programmi di volo spaziale umano, come Apollo e Gemini, la NASA avrebbe distribuito gratuitamente i cimeli agli astronauti come regali. Le procedure sono ovviamente cambiate drasticamente da allora, e l’OIG rileva che la NASA sta migliorando anche in altre aree. Ma ci sono molte aree che necessitano di maggior trasparenza. L’OIG ha fornito alla NASA un elenco di raccomandazioni su come l’agenzia spaziale deve meglio definire e gestire tutte le sue proprietà storiche.

La NASA ha concordato con la maggior parte delle raccomandazioni, che si spera possano impedire che altri elementi storici scompaiano nell’ignoto.

È ufficiale: nessuna eruzione in corso su Marte, stiamo assistendo ad un fenomeno tipico di questo periodo dell’anno

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Da un po’ di tempo si rincorrono su vari siti e sui social network voci circa un’eruzione che sarebbe in corso su Marte.

Più precisamente, sarebbe l’Arsia mons ad emettere un lungo pennacchio di fumo, visibile addirittura con buoni telescopi amatoriali dalla Terra ma ben ripreso soprattutto dalla Mars Webcam dell’ESA. Dopo parecchi giorni di attesa, finalmente alcuni scienziati della NASA e dell’ESA si sono espressi sul pennacchio che effettivamente risulta presente: a quanto pare, e lo scriviamo con dispiacere, non è in corso nessuna eruzione su Marte e l’Arsia mons rimane freddo come sempre, avendo avuto la sua ultima eruzione più di 50 milioni di anni fa.

Il fatto

La Mars webcam dell’Agenzia Spaziale Europea riprende il pianeta rosso dalla sonda Mars Express, e le immagini che trasmette vengono pubblicate regolarmente su Flickr. Intorno al 20 settembre scorso, sono state pubblicate alcune belle immagini che mostravano quello che sembrava proprio un lungo pennacchio di fumo emesso dal grande vulcano chiamato Arsia Mons.

Tanto è bastato perchè alcuni appassionati che consultano regolarmente il repository delle immagini della Mars webcam pensassero che fosse in corso un’eruzione del monte Arsia. Alcuni siti, tra i quali il nostro, pubblicarono subito articoli in cui si prendeva in considerazione tale ipotesi. Per quanto ci riguarda ritenemmo di dare voce anche ad alcuni esperti che indicarono subito nell’insolito fenomeno una nuvola di origine orografica, già apparsa altre volte in quell’area e ripresa anche dal MRO della NASA e dalla sonda indiana in orbita intorno a Marte già dal 2015.

Già allora, il sito italiano di debunking ufooffinterest.org evidenziò su Twitter alcuni esempi precedenti di nuvole lunghe e sottili apparse nei pressi dell’Arsia Mons.

Finalmente, dopo oltre un mese dalla prima segnalazione, la scienziata planetologa Tanya Harrison, membro del team che gestisce il rover Opportunity della NASA, specializzata in geologia e meteorologia marziana, è intervenuta su Twitter gettando, è il caso di dirlo, acqua sul fuoco dell’eruzione su Marte.

8fZaGtDi normal

Jorge Hernández@jorgeherber

Hi, this is under investigation. I can say that it is not an eruption of the vulcano.

ZvF0rN7p normal

Dr. Tanya Harrison

@tanyaofmars

It’s not a plume of smoke, but rather water ice clouds condensing out over the summit of the Arsia Mons volcano. We see them quite often over this particular volcano. Here’s another view of them from earlier this month from NASA’s Mars Reconnaissance Orbiter. pic.twitter.com/aRAMrkkROc

View image on Twitter

Non è un pennacchio di fumo, ma piuttosto nuvole di ghiaccio d’acqua che si condensano sulla cima del vulcano Arsia Mons. Li vediamo spesso su questo particolare vulcano“, spiega la Harrison.

Visto che alcuni commentavano la sua spiegazione accusando la NASA di nascondere le prove di un’eruzione vulcanica, la Harrison ha condiviso anche un’immagine trasmessa dal Mars Reconnaissance Orbiter che mostra evidenti formazioni nuvolose sopra Arsia Mons all’inizio di ottobre.

Vediamo queste nuvole uscire sulla vetta di Arsia per settimane alla volta durante questo periodo dell’anno, ogni anno“, ha scritto ancora la Harrison, spiegando che è l’altezza del vulcano, in combinazione con l’aumento del vapore acqueo nell’atmosfera dovuto all’inizio dell’estate marziana che provoca lo scioglimento del ghiaccio invernale, a favorire la formazione delle nuvole.

Milioni di anni fa, Marte aveva una forte attività vulcanica e ne vediamo bene i segni sulla superficie del pianeta ma, le ricerche svolte finora, hanno dimostrato che l’Arsia Mons non è più attivo da oltre 50 milioni di anni, all’incirca quando i dinosauri si stavano estinguendo sulla Terra, milione d’anni più o meno.

Quindi, niente eruzione. Per il momento Marte resta un pianeta geologicamente morto, almeno fino a quando, il prossimo 26 novembre, scenderà sul pianeta la missione InSight, inviata lassù proprio per verificare la situazione geologica del pianeta rosso e la composizione del suo sottosuolo.

Del resto, visti i precedenti in cui ogni minima scoperta ha provocato una conferenza stampa in mondovisione con annunci strombazzati con il massimo clamore possibile, c’è da scommettere che, se fossero state testimoni di un’eruzione vulcanica sul pianeta rosso, sia la NASA che l’ESA avrebbero fatto a gara per rivelare la notizia per prime, dandogli enorme risalto e provocando il massimo clamore.

L’incidente Moberly-Jourdain: viaggio nel tempo, fantasmi o millantatrici?

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di Oliver Melis

La storia di Charlotte Moberly ed Eleanor Jourdain che vi raccontiamo è ambientata nei fasti della corte francese di Maria Antonietta: le due donne si erano recate in Francia per un viaggio culturale, e durante la visita alla reggia di Versailles si erano perse e si erano ritrovate a girovagare nel parco che circonda il Petit Trianon, luogo preferito dall’ultima regina di Francia, che lì passava gran parte del tempo insieme ai cortigiani cercando di replicare lo stile di vita dei suoi sudditi.

Le due donne raccontano la loro strana avventura scrivendo, in un resoconto, di aver avvertito all’improvviso l’aria del parco cambiare e gli alberi divenire immobili mentre l’atmosfera si faceva angosciante. Mentre le due donne, interdettem tentavano di capire cosa stesse succedendo, cominciarono a comparire strane figure vestite in abiti d’epoca, ferme “come in un tableaux vivant“. Un uomo con il volto sfigurato dal vaiolo che sedeva ad un angolo della strada le guardava con occhi carichi d’odio; una giovane donna dai folti capelli era invece intenta a disegnare sull’erba, ma questa fu vista solo dalla più anziana delle due donne inglesi. Dopo un po’ di tempo le donne incontrarono un altro gruppo di visitatori e tutto tornò come prima, anche se, naturalmente, l’esperienza le lasciò profondamente impressionate.

Decisero cosi di fare delle ricerche, ma non furono in grado di ricostruire la strada che avevano percorso, non avendo fatto caso a possibili punti di riferimenti incontrati durante il loro misterioso tragitto. Le due donne ritennero di aver riconosciuto l’uomo e la donna che avevano visto più da vicino, e lei sembrava proprio Maria Antonietta.

Raccontarono le loro avventure nel passato in un libro che pubblicarono con molto successo.

L’idea che il parco intorno a Versailles fosse infestato dai fantasmi della nobiltà uccisa dalla Rivoluzione era estremamente affascinante e forse lo sarebbe anche oggi.
Tuttavia la England’s Society for Psychical Research ritenne che l’esperienza vissuta dalle due donne non aveva niente di sovrannaturale. Brian Dunning, scrittore e produttore notoriamente scettico, esaminato il materiale a disposizione, escluse, però, la spiegazione più gettonata, cioè che le due donne si fossero trovate inconsapevolmente coinvolte in un “party a tema” nel parco della reggia organizzato dall’artista Robert de Montesquiou.

Secondo Dunning, quel giorno non accadde nulla di particolare, se non qualcosa partorito dalal fervida immaginazione delle due donne che, successivamente, ripensandoci e raccontandosi l’episodio avevano finito per arricchire il loro vissuto con orpelli paranormali e altri dettagli di poco conto.

Quando si parla di paranormale, le anomalie che vengono riscontrate dalla nostra mente spesso vengono spiegate con aggiunte di fantasia che rendono la nostra avventura speciale.

Come in altre storie, le donne coinvolte nella misteriosa passeggiata nel passato, almeno cosi da loro è stata interpretata, credevano al paranormale avendo raccontato già altre volte altri incontri che loro credevano sovrannaturali.

Fonte: Queryonline

Meno tende alle finestre, la luce solare riduce i batteri in casa

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Dopo aver costruito salotti in miniatura per i microbi, un team di ricercatori dell’Università dell’Oregon ha concluso che gli spazi interni esposti alla luce solare probabilmente contengono meno batteri di quelli che sono rimasti al buio. Il loro studio, pubblicato sulla rivista Microbiome, non ha verificato se le condizioni di luce influenzino le specie che provocano malattie in modo diverso da quelle innocue o mutualistiche. Lo studio ha riguardato solo i batteri che prosperano nell’ambiente relativamente asciutto della polvere, escludendo quelli trovati negli  angoli umidi e nelle fessure. Tuttavia, gli autori ritengono che il lavoro di follow-up sull’argomento potrebbe contribuire alla progettazione di case più sicure, luoghi di lavoro e ospedali.

I nostri risultati indicano che la polvere esposta alla luce del giorno contiene comunità batteriche vitali più piccole che assomigliano più fortemente alle comunità aeree esterne [piuttosto che a quelle derivate dalla pelle umana, dall’intestino umano o dal suolo] e che gli effetti battericidi della normale luce solare filtrata dalle finestre possono essere simili a quelli raggiunti dalle lunghezze d’onda della luce ultravioletta [per alcuni tipi di batteri] “, hanno scritto gli autori.

Gli autori hanno raccolto campioni di polvere da ogni stanza di sette case unifamiliari nella città di Eugene, in Oregon. I campioni sono stati mescolati insieme e uno strato sottile della miscela risultante è stato distribuito su piastre di Petri e inserito in nove contenitori rettangolari sigillabili identici, progettati per fungere da mini versioni di un tipico salotto.

Ciascuno dei contenitori aveva un’apertura della finestra coperta da uno diquesti tre materiali: il vetro che lasciava entrare la luce visibile e vicino all’infrarosso ma bloccava la maggior parte delle radiazioni UVA e UVB, come la maggior parte dei vetri per finestre commerciali; vetro che bloccava la maggior parte visibile e vicino all’infrarosso ma lasciava entrare UVA e UVB; o una piastra di alluminio opaco. Le temperature interne sono state mantenute tra 18,2 e 22,3 ° C (da 64,8 a 72,1 ° F) e l’umidità è stata mantenuta tra il 23 e il 64 percento, tipica delle condizioni interne del mondo reale. I microcosmi sigillati sono stati quindi inseriti in aperture per edifici esposte a sud senza ostruzioni luminose.

Dopo 90 giorni di esposizione alla luce, il numero di batteri vivi era significativamente più basso nei microcosmi esposti alla luce visibile e UV rispetto ai microcosmi scuri. Le comunità batteriche che vivevano in entrambe le condizioni di luce erano dominate da gruppi associati all’aria esterna, mentre quelle al buio avevano solo il 25% delle specie di aria esterna. Tutti e tre i tipi di comunità presentavano bassi livelli di batteri derivati ​​dalla pelle umana(dal 15 al 25%).

Gli autori hanno osservato che sia le composizioni che l’abbondanza di batteri nei microcosmi delle radiazioni UV e dei microcosmi a luce visibile erano comparabili. Come previsto, alcuni tipi di batteri rari sono aumentati durante l’esperimento. Gli autori, tuttavia, affermano che questo potrebbe essersi verificato perché alcune specie di batteri dominanti di quell’ambiente erano spariti o ridotti a causa delle condizioni stabilite per l’esperimento, dando a specie meno affressive e prolifiche la possibilità di accedere ad una maggiore quantità di risorse.

Insomma, le case in cui la luce solare entra meglio sembrano essere le più sicure rispetto alla proliferazione batterica.

Quanto siamo vicini a creare un’intelligenza artificiale come HAL 9000 di Kubrick?

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“Mi dispiace, Dave, temo di non poterlo fare.”

Il pubblico del cinema ha ascoltato per la prima volta queste parole tranquillamente intonate e, al contempo, minacciose nel 1968, pronunciate dal computer intelligente di un’astronave nel capolavoro di fantascienza “2001: Odissea nello spazio“. Con quella frase, il computer chiamato HAL 9000 confermava di poter pensare e decidere da solo, e che era pronto a terminare gli astronauti che avevano intenzione di disattivarlo.

Cinquant’anni dopo che il regista Stanley Kubrick ha pubblicato il suo visionario capolavoro cinematografico, quanto siamo vicini al futuro immaginato dal grande regista, in cui collaboriamo con un’intelligenza artificiale (AI) che alla fine potremmo non essere in grado di controllare?

Potremmo essere molto più vicini di quanto pensiamo, con macchine così intelligenti, e potenzialmente minacciose, come HAL 9000 in agguato “in bella vista sulla Terra“, secondo un saggio appena pubblicato sulla rivista Science Robotics.

L’autore di saggio, Robin Murphy, professore di informatica e ingegneria presso la Texas A & M University, conosce bene l’intelligenza artificiale; è stata un leader pionieristico nello sviluppo di robot in grado di reagire alle catastrofi, e ricopre il ruolo di direttore di robotica umanitaria e del laboratorio di intelligenza artificiale del Texas A & M, secondo una biografia della facoltà.

HAL 9000 di Kubrick rappresentava un raro scorcio di quelli che allora erano campi molto giovani: intelligenza artificiale e robotica, che mostrava tre discipline fondamentali per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: “comprensione del linguaggio naturale, visione artificiale e ragionamento“, ha scritto Murphy nel saggio.

HAL imparava dall’osservazione del suo ambiente, guardando e analizzando le parole, le espressioni facciali e i movimenti degli astronauti. Era responsabile per l’esecuzione di funzioni meccaniche come il mantenimento vitale dell’astronave, ma, essendo computer “pensante“, HAL era anche in grado di rispondere a livello di conversazione con gli astronauti, ha spiegato Murphy.

Quando la missione fallisce e gli astronauti decidono di spegnere HAL, l’IA intuisce il loro proposito interpretandone il labiale durante le conversazioni. HAL arriva ad una decisione che non faceva parte della sua programmazione originale, decidendo di salvarsi uccidendo sistematicamente il persoale di bordo.

La prospettiva dell’IA che fa più male che bene non può essere così inverosimile. Gli esperti suggeriscono che un’IA armata potrebbe giocare un ruolo importante nei futuri conflitti globali, e il defunto fisico Stephen Hawking ha più volte suggerito che l’umanità potrebbe ritrovarsi con le IA diventate la più grande minaccia alla nostra sopravvivenza.

Il pieno sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe significare la fine della razza umana“, ha detto Hawking alla BBC nel 2014.

Durante una scena cruciale di “2001, odissea nello spazio“, HAL attacca l’astronauta David Bowman fuori dall’astronave, ignorando le sue richieste di riavere accesso all’astronave dallo spazio manifestando un’emozione: “Questa conversazione non può più servire“.

Ma la discussione sulle intelligenze artificiali oggi non è finita; la crescente dipendenza dell’umanità dai computer per un sempre maggior numero di usi quotidiani dimostra che l’IA sta già invadendo le nostre vite e ha stabilito una testa di ponte nelle nostre case e nelle nostre vite.

Cosa significherà per l’umanità nei prossimi 50 anni, tuttavia, resta da vedere.

BepiColombo: Perchè ci vuole tanto tempo per arrivare fino a Mercurio

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È partita la missione congiunta dell’ESA e della JAXA BepiColombo, destinata a studiare il pianeta Mercurio. Il suo arrivo è previsto per il 2025. Perchè un viaggio così lungo?

Le agenzie spaziali europee e giapponesi hanno lanciato la loro prima missione verso Mercurio ma ora, scienziati, tecnici ed appassionati dovranno armarsi di molta pazienza, perchè la parte scientifica della missione inizierà solo tra sette anni, il tempo necessario alla BepiColombo per posizionarsi in orbita intorno a Mercurio.

Ma perchè questo viaggio durerà così a lungo?

la risposta a questo perchè risiede nella difficoltà insita nel dover inserire la sonda in un’orbita stabile intorno a Mercurio a così poca distanza dal Sole. Le difficoltà derivano dal fatto che Mercurio è un piccolo pianeta e si trova molto vicino al Sole, orbita attorno al sole a grande velocità e per inserire una navicella in un’orbita stabile intorno a lui, senza che venga poi deviata e attratta dal Sole, occorre che vi arrivi ad una certa velocità e seguendo una precisa traiettoria. 

Purtroppo, c’è un grosso problema: la gravità del Sole attrarrà la navicella con una forza tale che la BepiColombo dovrà frenare per gran parte del suo viaggio per evitare di perdere l’appuntamento con il piccolo Mercurio ed essere attirata verso il Sole.

Questa grafica dell'Agenzia spaziale europea descrive il percorso verso Mercury per la sonda spaziale BepiColombo dopo il suo lancio il 19 ottobre 2018. La navicella volerà via Terra una volta, Venere due volte e Mercurio sei volte prima di entrare in orbita nel dicembre 2025.

Questa grafica dell’Agenzia spaziale europea descrive il percorso verso Mercurio della BepiColombo. La navicella passerà vicno alla Terra una volta, Venere due volte e Mercurio sei volte prima di entrare in orbita stabile nel dicembre 2025. – Credit: ESA
Per affrontare questa sfida, i progettisti di BepiColombo hanno ideato un sistema di propulsione e navigazione che sfrutta una combinazione di energia solare, carburante chimico e flybys planetari, che lavoreranno insieme per guidare la navicella attraverso questo percorso ad ostacoli. Questi flybys allungheranno la durata della crociera di BepiColombo fino a circa sette anni.
Gli incontri con i pianeti, una volta con la Terra nell’aprile del 2020, due con Venere nel 2020 e il 2021 e sei con Mercurio tra il 2021 e il 2025, modificheranno prograssivamente la traiettoria di BepiColombo portandola fino all’inserimento preciso in orbita intorno a Mercurio. Grazie ai flybys, inoltre, ingegneri avranno anche la possibilità di assicurarsi che gli strumenti a bordo di BepiColombo funzionino regolarmente, perché più della metà di essi saranno già accesi.

Alla fine, nel dicembre del 2025, BepiColombo entrerà in orbita attorno al piccolo pianeta. Una volta posizionatasi, la sonda si separerà nelle due astronavi scientifiche che la compongono: l’Europae Mercury Planetary Orbiter (MPO) e la Giapponese Mercury Magnetospheric Orbiter (MMO). Quei due veicoli spaziali voleranno in orbite complementari, con l’MPO che ruoterà intorno al pianeta ogni 2,3 ore e l’MMO che ogni 9,3 ore.

Se tutto va secondo i piani, i 16 strumenti che compongono BepiColombo raccoglieranno moltissimi dati che permetteranno agli scienziati di capire molto sulla composizione di Mercurio e, probabilmente, su come è nato il sistema solare e perchè ha attualmente questa struttura.