mercoledì, Aprile 2, 2025
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Ritorno alla Luna: il coinvolgimento dei privati lo renderà più economico e rapido. Prospettive ed implicazioni

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Il programma di volo spaziale umano della NASA è rimasto in uno stato di incertezza praticamente dal momento in cui l’equipaggio dell’Apollo 17 ha lasciato la superficie della Luna, 45 anni fa. il programma Space Shuttle non è mai diventato, come si sperava, lo strumento che avrebbe reso l’accesso allo spazio economico e di routine; la stessa Stazione Spaziale Internazionale non è mai diventata una gloriosa porta d’ingresso per l’esplorazione dello spazio profondo. Il programma Constellation, lanciato da Obama alla chiusura del programma Space Shuttle, di fatto non è mai partito se non nello studio di alcuni concetti di base, soprattutto per mancanza di fondi ed ora la NASA si trova ad affrontare l’ennesima inversione di marcia dopo che il presidente Trump ha dato all’agenzia spaziale una direttiva che la orienta verso un obbiettivo concreto e raggiungibile in tempi relativamente brevi: il ritorno degli Stati Uniti sulla Luna.

Perché è stato così difficile proseguire nell’esplorazione della Luna per poi puntare allo spazio profondo?

Il programma Apollo fu abbandonato per via dei costi esorbitanti che comportava. Sul momento si pensava che l’entrata in servizio degli Space Shuttle, navette riutilizzabili, avrebbe permesso una riduzione importante delle spese ma una serie di difetti di progettazione e limiti tecnologici emersi nel tempo hanno portato ad utilizzare gli Shuttle il minimo indispensabile, sostanzialmente per mettere in orbita satelliti, compiere qualche esperimento, partecipare all’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale e mantenere i contatti con la stessa. La NASA si è anche trovata a doversi barcamenare con le contraddizioni delle varie presidenze. A Reagan non interessava molto l’esplorazione spaziale ed era molto più preoccupato di mantenere il vantaggio tecnologico americano in orbita rispetto all’Unione Sovietica. Lo stesso si può dire di Clinton che non vide mai nei programmi NASA nulla di realmente interessante. I due Bush e Obama sbandierarono i loro programmi di esplorazione spaziale ma non fornirono, di fatto, alcun supporto all’agenzia spaziale, costringendola a gestire alla meno peggio i fondi disponibili. Per capire quale fosse la situazione si può ricordare che in almeno un’occasione fu inviato su Marte un robot realizzato con gli avanzi di missioni precedenti.

Se fai propaganda sbandierando programmi ambiziosi  e ad ogni cambio di amministrazione cambiano anche gli obbiettivi è difficile realizzare qualcosa di concreto. Negli anni ’60 si investirono quantità enormi di denaro sul programma Apollo ma, in quegli anni, l’america era ancora galvanizzata dai discorsi di Kennedy e stimolata dalal competizione con l’Unione Sovietica. Non si presentarono mai problemi di opinione pubblica sulle spese spaziali. Questa cosa cambiò con la prima crisi petrolifera degli anni ’70 e la NASA si vide ridotto il budget dal 4% del PIL nazionale fino allo 0,4%. Una differenza enorme che, però, le amministrazioni ritenenro necessaria a fronte delle emergenti difficoltà economiche e della disapprovazione dell’opinione pubblica verso spese così ingenti dopo che la corsa allo spazio era stata vinta e la stessa URSS sembrava averla abbandonata.

lunar gateway

Qualcosa sta cambiando, ora nello spazio ci si va soprattutto con i capitali privati

Lo studio Evolvable Lunar Architecture prevede un genere di attività che potrebbe portare la NASA a tornare sulla Luna in tempi realtivamente brevi con il supporto di capitali privati, cosa che, però, è ancora oggi politicamente scorretto proporre all’interno dell’agenzia spaziale federale. In sostanza, si tratta di uno studio che analizza i costi, le tempistiche e le possibilità di tornare sulla Luna utilizzando un approccio di partnership commerciale. Secondo questo studio, uno scenario del genere permetterebbe alla NASA di rimettere piede sulla Luna nel giro di 5 -7 anni dall’avvio del programma, con una spesa ragionevolmente sostenibile che si aggirerebbe intorno ai dieci miliardi di dollari.

Avviando questo programma, e in qualche modo si sta tentando di farlo nel momento in cui si coinvolgono partner privati come SpaceX e Boeing a complemento del programma SLS+Orion, dovrebbe essere possibile ritornare fisicamente sulla Luna entro la fine dell’ipotetica seconda amministrazione Trump, ovvero entro il 2024. Sappiamo che l’attuale programma voluto dal presidente spinge affinchè la stazione spaziale Lunar Gateway sia operativa entro il 2024 e venga costituita una base lunare permanente entro il 2030, possibilmente prima dei cinesi e dell’ESA. Non si può nemmeno escludere che una personalità come quella di Trump, se rieletto nel 2020, spinga affinchè venga realizzato un allunaggio con astronauti non appena la lunar Gatway sarà operativa: in questo caso Trump farebbe in tempo a passare alla storia come il presidente che ha riportato l’America sulla Luna.

Mentre la NASA restava ingessata dalle contraddizioni delle diverse politiche delle amministrazioni che si sono succedute, imprenditori come Jeff Bezos ed Elon Musk  hanno sviluppato tecnologie che hanno reso i loro lanci molto più economici, potendo recuperare boosters e navette ed entrambi puntano a sfruttare lo spazio commercialmente. entrambi hanno in programma viaggi turistici verso la Luna e, mentre Bezos vorrebbe installarvi addirittura un albergo, Musk sembra voler puntare su brevi viaggi turistici circumlunari per concetrare il grosso degli sforzi verso la colonizzazione di Marte.

falcon spacex rocket

Una partnership commerciale tra questi privati e la NASA sveltirebbe molto tutto il programma e permetterebbe di contare su maggiori investimenti, in gran parte provenienti da capitali privati ma, nel momento che questo discorso coinvolge un’agenzia federale, servirebbe l’approvazione del congresso che potrebbe non concederla per via di interessi lobbistici e per paura dell’opinione pubblica.

Quale sarebbe il passo successivo ad un partenariato NASA – privati

lo studio prevede un’architettura evolutiva: tornare sulla Luna tanto per fare un passeggiata e poter dire “L’abbiamo rifatto” avrebbe poco senso: una volta rimesso piede sul nostro satellite, l’obbiettivo dovrebbe essere quello di insediarvi una base permanente, in grado di svolgere una serie di attività, tra le quali azioni di autofinanziamento tramite le scelte commerciali affidate ai privati, dal turismo all’estrazione minerria di materie prime quali Elio3, uranio, metalli di vario genere e l’accumulo di ossigeno ed idrogeno da utilizzare come propellente per navette ed astronavi. A questo punto verrebbe di conseguenza affiancare la Lunar Gateway con la Deep Space gateway, concepita per lanciare missioni esplorative umane e non, verso lo spazio profondo a costi inferiori rispetto ai lanci dalla Terra. Disporre di materie prime e di propellente sulla Luna, facilmente trasportabili in orbita lunare, potrebbe permettere di assemblare le parti più pesanti delle navi spaziali direttamente sulla Luna, limitando il trasporto dalla Terra esclusivamente alla tecnologia difficilmente replicabile in un avamposto lunare, sia pure con caratteristiche industriali. L’insediamento di una base lunare permanente potrebbe comportare un costo di circa 3 miliardi di dollari l’anno per i primi dieci anni, più gli investimenti che farebbero i privati per avviare le loro attività commerciali.

Al termine dei dieci anni, la base lunare potrebbe diventare ancora più sostenibile se non produrre utili, considerando la possibilità di industrializzare la luna.

L’amministrazione Trump potrebbe davvero essere all’altezza di gestire uno sforzo atto a tornare sulla Luna e, magari, gettare le basi per andare anche oltre?

Guardando quanto fatto finora dall’amministrazioe Trump, pur tra qualche contraddizione, mi sembra chiaro che lo spazio costituisce un obbiettivo importante: il ritorno alla Luna ordinato alla NASA e la proposta di staccare dall’aeronautica la responsabilità della difesa spaziale sembrano segni abbastanza indicativi. Certo, Trump non è il più popolare dei presidenti, non gode di buona stampa e la sua rielezione appare, al momento, quantomeno complessa ma bisogna dire che la questione spaziale sembra ora un interesse bipartizan da parte delle forze politiche presenti nel congresso. I grandi passi avanti fatti dalla Cina, l’attivismo dell’ESA e la crescita tecnologica di molte altre nazioni (Giappone, India, Australia e la stessa Russia, per dirne solo qualcuna) stanno rilanciando la corsa allo spazio e la rivalità tra le nazioni nel tentativo di ritagliarsi un angolo privilegiato in questo settore, rendono la questione un nteresse nazionale che nessun prossimo presidente potrà permettersi di ignorare o sottovalutare.

recupero razzi

Ricadute economiche del ritorno alla Luna

Il ritorno sulla Luna con l’insediamento di un base permanente e di una stazione lunare orbitale avranno inevitabili ricadute sul piano occupazionale, sia dirette che nell’indotto. Saranno creati nuovi posti di lavoro sia relativi allo sforzo industriale, sia relativi alle attività collaterali alla colonizzazione (turismo, industrializzazione eccetera). La condizione necessaria è che i viaggi spaziali possano scendere radicalmente di costo e la NASA dovrà inevitabilmente tornare sul concetto di veicoli e strumenti riutilizzabili, come stanno facendo i privati. Ad oggi, SpaceX, recuperando e riutilizzando circa il 40% di tutto ciò che è coinvolto in un lancio spaziale riesce ad avere un costo / lancio più di dieci volte inferiore rispetto ai costi previsti per la NASA ad ogni lancio del sistema SLS+Orion e la scoietà di elon Musk conta entro breve di arrivare a recuperare e riutilizzare fino all’80% delle risorse impegnate in un singolo lancio, questo significa che in pochi anni SpaceX potrebbe dimezzare ancora i costi dei suoi lanci.

A conferma di questo dato, un recente studio dell’Air Force sostiene che è tecnicamente possibile, collaborando con le aziende private, avviare un ciclo virtuoso che porterebbe ad una riduzione di oltre dieci volte dei costi necessari per raggiungere lo spazio dalla Terra.

Bisogna anche aggiungere che un insediamento sulla Luna fungerebbe anche da testa di ponte per l’auspicato sfruttamento minerario degli asteroidi, generando valore economico e la nascita di nuove professioni specialistiche e generiche.

Il comandante della Stazione Spaziale bolla come “vergognose” le illazioni su un presunto sabotaggio a bordo della Stazione Spaziale Internazionale

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Alcuni giorni fa, come molti ricorderanno, si verificò un allarme sulla Stazione Spaziale Internazionale, provocando una lieve agitazione nel controllo missione a Terra. La causa fu presto individuata in un microscopico foro scoperto nel modulo orbitale della Soyuz che fu rapidamente riparato.

Il modulo orbitale è una parte della capsula Soyuz che serve, sostanzialmente, ad agganciare la capsula russa alla ISS.

Riparato il danno ci si concentrò sulla sua causa e l’iniziale diagnosi che fosse stato causato da un micrometeroide venne ababndonata perchè dalla ROSCOSMOS, l’agenzia spaziale russa, arrivò l’informazione che una rapida indagine interna aveva permesso di appurare che a causare il danno era stato un tecnico a Terra cui era sfuggito, non è chiaro se accidentalmente o di proposito, il trapano durante un lavoro di manutenzione. Il tecnico aveva riparato il danno alla meno peggio ma il rattoppo, sottoposto agli stress del vuoto, aveva ceduto provocando la perdita.

Fortunatamente, il danno non avrà conseguenze sulla capacità di rientro della capsula Souyz perchè il modulo orbitale verrà sganciato e abbandonato prima del rientro in atmosfera.

Purtroppo, i soltiti mestatori nel torbido ed i diffusori di notizie ad effetto e bufale, colsero l’occasione per diffondere voci e notizie relative a liti tra astronauti americani e cosmonauti russi  bordo della ISS e non solo: qualcuno ha anche diffuso una notizia secondo la quale, addirittura, il foro sarebe stato provocato ad arte dagli stessi astronauti che, stufi di stare in orbita, avrebbero deciso di ricorrere a questo sistema per ottenere un rientro anticipato alla base.

Che dire? Ognuno degli astronauti attualmente impegnati in missione sulla ISS ha trascorso anni ed anni della sua vita a prepararsi per questa missione (e per alcuni sarà l’unica occasione della vita di stare nello spazio). Questa missione, per loro, è il coronamento di una vita trascorsa ad inseguire un sogno e appare estremamente improbabile che abbiano tentato di sabotare la missione.

Premesso questo, sull’argomento è voluto intervenire il comandante attuale della missione in corso sulla ISS che ha respinto con decisione la possibilità che in questa ipotesi, nata su alcuni organi di stampa, vi sia un qualsiasi fondamento di verità.

Posso inequivocabilmente affermare che l’equipaggio non ha avuto nulla a che fare con questo“, ha dichiarato l’astronauta NASA Drew Feustel, comandante dell’Expedition 56 sulla ISS, durante un’intervista spazio-terra con la tarsmissione dell’emittente ABC News, Florida Today. “Penso che sia assolutamente un peccato, un po’ imbarazzante e una vera vergogna che qualcuno stia perdendo tempo a fantasticare di qualcosa in cui sarebbe stato coinvolto l’equipaggio.”

Nella notte del 29 agosto, il controllo di Terra dell’ISS notò una leggera caduta di pressione a bordo dell’avamposto orbitante. Una volta notificato il problema all’equipaggio, americani e russi si diedero da fare collaborando tra loro e la causa del problema venne rapidamente individuata e, nel giro di 24 ore, riparata usando resina epossidica e garza.

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Una riparzione di fortuna ma che servirà allo scopo fino al momento in cui la Soyuz dovrà rientrare a terra e si libererà del modulo orbitale prima del rientro in atmosfera. Nessun pericolo per l’equipaggio.

Secondo alcun cronisti, il capo dell’agenzia spaziale russa ROSCOSMOSDmitry Rogozin, avrebbe promesso di scoprire se il danno sia stato provocato accidentalmente o volontariamente, “sulla Terra o nello spazio“.

Ovviamente, questa dichiarazione è stata rilanciata da moltissimi media che hanno ventilato la possibilità che fossero stati gli astronauti stessi a sabotare la missione per ottenere un rientro anticipato.

Ed è questo che ha scatenato l’ira del comandante Feustel.

Nella sua intervista con ABC News, Feustel ha esortato i manager della ISS sul campo a capire esattamente cosa è successo, dicendo che “le implicazioni sono enormi per l’intero programma spaziale“. E ha elogiato l’equipaggio dell’Expedition 56 per la sua gestione di una situazione difficile.

Non potrei spiegare adeguatamente l’eccezionale rendimento dell’equipaggio messo di fronte ad una crisi, su come abbiamo reagito, su come abbiamo risposto, su come siamo rimasti uniti e abbiamo continuato a lavorare come una squadra, come sempre, per garantire la nostra stessa sicurezza, la sicurezza della stazione spaziale ed il mantenimento delle priorità di missione “, ha affermato Feustel, secondo Florida Today.

La navicella Soyuz, arrivata sulla ISS lo scorso giugno, rientrerà sulla terra a dicembre, portando con sé Prokopyev, l’astronauta NASA Serena Auñón-Chancellor e l’astronauta dell’Agenzia spaziale europea Alexander Gerst.

La navicella spaziale Soyuz è stato l’unico mezzo di collegamento con la ISS da quando la NASA ha ritirato la sua flotta di space shuttle nel 2011. entro aprile 2019, però, è previsto che la capsula Dragon Crew di SpaceX si qualifichi per il trasporto di astronauti entro aprile 2019 e lo stesso dovrebbe riuscire a fare il veicolo spaziale Starliner sviluppato da Boeing entro i primi mesi del 2020. A breve, quindi, le due compagnie private, concessionarie della NASA, inizieranno regolari voli per facilitare l’avvicendamento degli astronauti delle missioni sulla ISS.

Inchiesta sul mondo del Blackout, il gioco che porta alla sfida estrema

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Nei notiziari è arrivato in questi giorni ma chi conosce i meandri della rete sa che il Blackout game gira da parecchio tempo ed era già noto e praticato quando esplose il caso  del “Blue Whale“, la balena blu, il gioco uscito qualche tempo fa da VK, il principale social network russo che portava adolescenti plagiati a togliersi la vita, filmando l’evento, come ultima di 49 prove che ne dovevano progressivamente testare la sottomissione e la dipendenza.

Ora si viene a sapere del Blackout Game, un “gioco” diverso ma, in qualche modo, simile. In un articolo di oltre un anno fa, il sito web linkiesta, parlava di almeno 82 vittime registrate, con il 96% delle quali morte in solitudine, apparentemente alla ricerca di “un mix di eccitazione e di paura, di uno stato di euforia tale da poter addirittura diventare letale“.

Il Blackout game, in realtà, esiste da decenni, è noto anche come “pass out game” o come “scarf game” e non è stato inventato ieri o qualche giorno fa, una sua variante è una forma di perversione sessuale. L’obbiettivo del “gioco” è quello di soffocarsi, da soli con buste di plastica, catene, corde, sciarpe e quant’altro, mentre in compagnia lo si fa attraverso le braccia o le mani di un assistente. Non bastasse questa assurda forma di perversione, si usa anche farsi fotografare o riprendere con filmati in diretta web attraverso telefonini o smartphone.

A riprova che questa cosa esiste da anni, bisogna aggiungere che i numeri forniti da “linkiesta” non sono relativi ad un anno fa, bensì a dieci anni prima e resi noti dal  National Centre for Injury Prevention and Control degli Stati Uniti su un articolo pubblicato dal Washington Post.

Giochi (o pratiche) simili esistono da moltissimo tempo tra gli adolescenti e sono spesso tentativi di compiere un qualche rituale di iniziazione legato al passaggio di età. Spesso sono ragazzi più grandi, con una sorta di nonnismo fuori tempo massimo, ma anche coetanei ad incitare l’adolescente a sottoporsi ad una prova dove può rischiare la vita per dimostrare la sua maturità, il suo diritto di sedere tra i grandi.

Nell’articolo pubblicato nel 2007 dal Washington PostRobert L. Tobin del National Centre for Injury Prevention and Control spiegava che, rispetto al passato, ora, con l’avvento dei telefonini dotati di telecamera in grado di riprendere la prova (e, aggiungiamo noi, in chiave ancora più moderna, degli smartphone in grado non solo di riprendere ma anche di trasmettere in diretta web la prova) “il fattore nuovo è che vengono praticati in solitudine e i fattori di rischio o la probabilità di morire aumentano proprio per questa ragione“.

La cosa che lascia perplessi è che di questi giochi nessuno abbia mai sentito parlare primagenitori, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, magistrati inquirenti, investigatori, tutti cadono dal pero, eppure Whatsapp, Telegram, Facebook, come nel caso del Blue Whale, sono pieni di chat recanti numeri ed indicazioni.

Insomma, volendo approfondire l’argomento, si scopre che i “giochi del suicidio”, nelle loro varie declinazioni, non nascono oggi, non sono la conseguenza di una gioventì priva di valori e fin troppo connessa e senza controllo. Si trovano decine di casi nelle cronache internazionali. Nei bollettini del The American Journal of Forensic Medicine and Pathology i medici legali raccontano con statistiche, tabelle e gergo medico l’evoluzione del fenomeno, dal 1995 in poi, utilizzando descrizioni, nude e crude, di vere e proprie scene macabre che hanno coinvolto bambine o poco più (11-12 anni) ritrovate legate ai letti con collari e guinzagli e le vie respiratorie bloccate. Gli studiosi pongono anche l’accento su una certa concentrazione geografica di questi avvenimenti: nel periodo da loro considerato, e sul territorio americano (pur con riferimenti a quanto avveniva in Australia, Irlanda, France, Regno Unito, Israele e Canada), a guidare la sfortunata classifica è lo stato del New Hampshire.

Secondo la Polizia Postale, famiglie e amici dovrebbero prestare attenzione ad un elenco di consigli per cercare di capire in anticipo se qualcuno sia un soggetto a rischio. Fra i suggerimenti compaiono anche consigli di puro buon senso come “prestare attenzione ai cambiamenti repentini di umore e rendimenti scolastici”; “osservare se ci sono comportamenti masochistici come ferite auto inflitte” o “aumentare il dialogo sulla sicurezza in rete”.

Ora, come per la vicenda legata al Blue Whale, il Blackout Game è arrivato alla stampa generalista ma gli approfondimenti e le analisi che non si fermano alla superficie mostrano come proprio nei meandri del dark web esistano da sempre gruppi dedicati alla scottante tematica del suicido. Non si tratta di gruppi di incitamento e non sono nemmeno forum di auto aiuto, perlomeno non solo, ma piuttosto luoghi dove il suicidio viene affrontato senza quella coltre di tabù che lo rivestirebbe in una normale conversazione quotidiana. Ed è l’anonimato garantito dalla rete che permette questo tipo di discussione.

Il problema è che, di solito, si decide di praticare il Blackout Game per ragioni diverse dal suicidio e, quindi, nella maggior parte dei casi, non sono mai stati presenti quei sintomi rivelatori che la polizia postale invita a cercare. Non è un caso che il “blackout game” sia noto anche come “gioco dello svenimento“, perchè, in realtà, è una sorta di gioco del soffocamento in cui le persone, sfidano la morte rimanendo il più a lungo possibile senza ossigeno, allo scopo di provare l’ebbrezza di quando si rimane senza ossigeno a 7.000 metri di altitudine oppure quando si sta per morire. Come spiegato in precedenza, certe perversioni sessuali ricercano l’esaltazione dell’orgasmo mentre si arriva al limite della resistenza senz’aria, di solito con una busta di plastica sigillata a racchiudere la testa per non avere la possibilità di poter vincere il naturale impulso di respirare.

Il passo finale di questa sfida insensata è riuscire a perdere i sensi per poi rinvenire dopo pochi secondi in preda all’euforia, il tutto davanti ad una webcam che riprende l’evento diretta, a beneficio di altri praticanti del gioco.

Basta fare qualche ricerca in rete per rendersi conto che si tratta di una pratica abbastanza diffusa tra i giovanissimi. I casi di cronaca sono numerosi, in Italia, se ne sono registrati a Bressanone, Rovigo e Padova.

Sfide estreme, prove di coraggio, riti di passaggio eseguiti nell’incoscienza e nell’ignoranza.

Se vogliamo un responsabile, c’è ed è il silenzio, quel silenzio omertoso che regna tra i ragazzi che sanno quando un amico ha inziato a sottoporsi a questo rituale che procede per gradi e livelli, come un malefico videogame in cui ogni livello porta ad una sfida più estrema, al solo scopo di dimostrare di essere abbastanza forti per farlo.

Ma anche quel silenzio che, troppo spesso, vige nei rapporti tra genitori e figli.

Un’auto “a prova di alieno” in vendita su internet. Secondo il venditore sarebbe “invisibile agli UFO”

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Il grande mare della rete internet offre occasioni a chiunque abbia fantasia, a patto di trovare qualcuno abbastanza ingenuo da credere a qualsiasi cosa legge. Nei giorni scorsi, è comparso su alcuni siti di vendite tra privati della Bosnia ed erzegovina un singolare annuncio: una persona ha messo in vendita un vecchio veicolo, una Zavasta Yugo, un’automobile di fabbricazione Jugoslava che, a causa della sua articolata storia produttiva, nonché dell’effimero successo (pur essendo stata prodotta per 19 anni), immediatamente seguito a traversie varie, la Yugo è entrata suo malgrado nella cultura di massa occidentale come «la peggior auto della storia»; ciò nonostante, questo ha permesso alla Yugo di guadagnarsi una fama rimasta inalterata nel tempo, divenendo oggetto dell’attenzione dei più svariati media anche a distanza di decenni.

La Yugo fu la mancata erede della Fiat 127

Derivata da un progetto della FIAT mai nato perché quando era ormai pronto per la produzione venne giudicato poco innovativo, il progetto di quella che diventerà la Yugo fu venduto dall’azienda italiana all’industria di stato jugoslava, che la presentò al pubblico in occasione del Salone di Belgrado del 1980.

Il veicolo, definito universalmente come “la peggiore automobile del secolo scorso” viene qualificato dal suo venditore come “a prova di alieno“.

Per dimostrare la veridicità della sua affermazione, il venditore ha pubblicato delle foto in cui si vede l’automobile letteralmente rivestita di carta stagnola e dotata di accessori quanto meno inusuali. Il prezzo di vendita è di 999 BAM, all’incirca 550 Euro.

La singolare vettura, avvolta, come detto, con della carta argentata, presenta sul tetto una parabola satellitare con incollato una desivo della NASA. Nell’annuncio viene definita  “Yugo 45, modello Space Warrior“.

Secondo il venditore, il singolare rivestimento rende l’automobile invisibile ai radar degli UFO e salvaguarda i suoi passeggeri dall’essere individuati dagli alieni.

Il proprietario di un veicolo soprannominato "la peggiore automobile del secolo" lo ha avvolto in carta stagnola e l'ha messo in vendita per 450 sterline come auto "a prova di alieno"

L’annuncio, che è rapidamente diventato virale in Bosnia ed Erzegovina, recita: “Si tratta di un veicolo specializzato, progettato in serie limitata, per operazioni di combattimento contro oggetti spaziali sconosciuti. Il veicolo è impercettibile sulla strada, quindi puoi usarlo per molti altri scopi, Spostandoti per le strade più affollate senza esser notato

La distintiva auto Yugo è stata lanciata sul mercato in Bosnia ed Erzegovina con il nome di "Yugo 45 Space Warrior"
L’annuncio, pubblicato sui siti di vendite tra privati di Bosnia ed Erzegovina, definisce la vettura come “Yugo 45 Space Warrior
Il proprietario afferma che l'insolito rivestimento in lamina d'argento della vettura lo rende invisibile ai radar UFO

Il proprietario afferma che l’insolito rivestimento in lamina d’argento della vettura la rende invisibile ai radar UFO e sarebbe ispirato al famoso cappello di carta stagnola che proteggerebbe la mente da lettura del pensiero e influenze aliene.

La Yugo è ancora un’auto popolare nei paesi che costituivano l’ex Jugoslavia, dove molte persone ne apprezzano l’economicità e la semplicità.

L'annuncio descrive il veicolo come uno 'progettato come una serie limitata di veicoli da combattimento specializzati per la lotta contro oggetti spaziali sconosciuti.' Nella foto, l'interno
L’annuncio descrive il veicolo come “progettato in serie limitata per il combattimento contro oggetti spaziali sconosciuti.” Nella foto, l’interno del veicolo durante un’azione.
Un’auto dedicata a tutti coloro che temono un’invasione aliena, studiata, a quanto si dice sull’annuncio, per vere e proprie azioni di commando e di contrasto sul territorio nel caso di invasione aliena, grazie alla sua supposta invisibilità radar.
Se vi piace, non è difficile rintracciare l’annuncio tramite Google.

HAARP colpisce ancora

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di Oliver Melis

Alcuni siti complottisti hanno diffuso un video che riportava la notizia di una anomalia radar verificatasi sullo stato del Texas (USA), evento che sarebbe stato registrato da un ricercatore americano di cui non sappiamo nulla. Il video in questione mostrava il momento in cui i segnali radar erano stati oscurati da qualcosa di sconosciuto. La perplessità dei teorici della cospirazione ha lasciato presto spazio alla divulazione di fantasiose ipotesi basate sull’idea che gli Stati Uniti stessero testando la tecnologia di Manipolazione del Clima (HAARP).

Nel video veniva mostrato un misterioso anello che insisteva su Sugar Land, aumentando rapidamente le proprie dimensioni.

I dati, successivamente rimossi, erano stati registrati e, secondo alcuni ricercatori di cui come al solito non si sa nulla, visto che i siti cospirazionisti si guardano bene dall’individuare con precisione le proprie fonti, avevano permesso di individuare altre anomalie.

L’ultima anomalia visibile, registrata il 25 Luglio 2018, mostra la comparsa istantanea di un anello definito come “effetto HAARP“. Secondo chi ha diffuso la notizia, quest’ultimo anello copriva un’area iniziale di circa 175 km per poi spandersi ed arrivare rapidamente a circa 280 km.

La clip è stata caricata sul canale YouTube MrMBB333 ed è stata vista da diversi spettatori che, nella discussione sottostante, non sembrano avere dubbi sul fatto che quanto mostrato nel video sia dipeso da un test di un progetto segreto gestito dal governo degli Stati Uniti.

Tra i vari commenti: “test militari senza dubbio”, ha scritto un utente. Un altro ha aggiunto: “Il modo in cui sembra manifestarsi è sicuramente artificiale, come se qualcuno provasse a effettuare esperimenti con qualcosa di enorme”. E un terzo utente ha aggiunto: “È un anello HAARP che parte dalla stazione radar in modalità impulso – con lo scopo di modificare il clima”.

La possibilità che il fenomeno fosse una perturbazione causata dal calore non ha sfiorato minimamente i teorici del complotto.

Cosa aggiungere dinnanzi a cotanti autorevoli commenti? Nulla, spesso si preferisce vedere cose diverse da quello che sono e cercare un nemico per giustificare fenomeni che non si comprendono.

HAARP, è stato un programma di ricerca scientifica sulle proprietà ed il comportamento della ionosfera gestito in Alaska dalle forze armate USA,  sospeso dal 2013 per mancanza di finanziamenti. Dopo due anni però, visti i costi sostenuti per la sua realizzazione, circa 300 milioni di dollari, il generale di divisione Tom J. Masiello, comandante dell’U.S Air Force Research Laboratory, ha stretto un accordo con l’allora cancelliere dell’University of Alaska Fairbanks (UAF) Brian Rogers e con Robert McCoy, che presso quell’Università dirige il Geophysical Institute, siglando il passaggio definitivo delle strutture e strumentazioni di HAARP dalle mani dei militari a quelle dei civili e verrà utilizzato per costruire modelli della ionosfera – atmosfera e condurre esperimenti per simulare gli effetti delle tempeste solari sulla ionosfera per preparare una adeguata risposta al pericoloso fenomeno.

Nonostante il passaggio della struttura in mano civile e l’apertura dimostrata nel condividere il contenuto degli esperimenti, i cospirazionisti continuano a diffidare, che Haarp operi in mano civile o militare a loro poco importa, ormai nell’immaginario complottista occupa una posizione ben definita ed irreversibile.

Fonti: Segnidalcielo, CICAP, il coccalone, gli indipezzenti.



Non solo “Florence”: la stagione degli uragani si annuncia con 4 potenti tempeste

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Come ogni anno, in questo periodo inizia la stagione degli uragani e, puntuali, eccoli.

Il primo ad essere stato individuato è stato l’uragano Florence che sta anche ingenerando non poche preoccupazioni sulla costa orientale degli Stati Uniti essendo stato classificato di classe 4.

Sono tre i potenti uragani che stanno muovendosi attraverso l’Oceano Atlantico verso la costa orientale degli Stati Uniti e i Caraibi, mentre un’altra forte tempesta si prepara ad abbattersi sulle isole Hawaii. Nel frattempo, i satelliti meteorologici GOES della National Oceanic and Atmospheric Administration forniscono alcune vedute spettacolari delle tempeste viste dallo spazio.

Il satellite meteorologico GOES-East, che tiene costantemente d’occhio la costa orientale e l’Atlantico, ha catturato alcune immagini mozzafiato dell’uragano Firenze, della tempesta tropicale Isacco e dell’uragano Helene che si avvicinano alle Americhe.

Florence, un uragano di categoria 4 potenzialmente molto distruttivo, sta per abbattersi sulla North Carolina o sul South Carolina, l’arrivo sulle coste di questi stati è previsto per giovedì 13 settembre.

Staccato di qualche giorno lo segue Helene, un uragano di Categoria 2 che probabilmente si esaurirà sull’Atlantico senza arrivare sulla costa orientale degli Stati Uniti, stando a quanto dice l’ultimo aggiornamento del National Hurricane Centre (NHC), una divisione di NOAA.

Circa a metà strada tra l’uragano Firenze e l’uragano Helene c’è la piccola ma pericolosa tempesta tropicale Isacco, fino a ieri era considerata un uragano ma è poi stata declassata a tempesta tropicale.

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Secondo le previsioni, Isaac raggiungerà domani le Piccole Antille centrali e poi la parte orientale del Mar dei Caraibi per poi abbattersi in pieno su tutta l’area del Mar dei Caraibi nel fine settimana, sempre secondo le previsioni del NHC.

Dall’altro lato del globo, sull’oceano Pacifico, la tempesta tropicale Olivia sta puntando decisa verso le Hawaii muovendosi da est. Olivia era n urugano di categoria 4 ma, durante la settimana in cui ha imperversato sul Pacifico, al largo della costa ovest degli Stati Uniti, si è notevolmente indebolito ed è stato ora declassato a temepsta tropicale.

Insomma, la stagione degli uragani si presenta alla grande, gli effetti del riscaldamento globale continuano a sentirsi in maniera non indifferente e, per ora, possiamo solo sperare che non si ripetano le devsatazioni perpetrate lo scorso anno dall’uragano Maria.

World Trade Center: intervista all’ex detective di New York Michael Greene – da http://undicisettembre.info

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In occasione del diciassettesimo anniversario dell’ 9/11 riportiamo questa intervista pubblicata dal sito ad un detective del NYPD che intervenne durante la tragedia del WTC.

Il link all’articolo originale è https://undicisettembre.blogspot.com/2018/09/world-trade-center-intervista-allex.html

World Trade Center: intervista all’ex detective di New York Michael Greene

di Hammer. L’originale inglese è disponibile qui. L’articolo è stato corretto dopo la pubblicazione iniziale.

In occasione del diciassettesimo anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001, Undicisettembre offre ai suoi lettori la testimonianza dell’ex detective di New York Michael Greene, che intervenne sulla scena del World Trade Center dopo i due schianti e visse da vicino i crolli delle due torri.

Ringraziamo Michael Greene per la sua cortesia e disponibilità.

Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l’11/9?

mikegreene

Michael Greene: Ero un detective della polizia nell’NYPD e lavoravo nell’unità dei detective di midtown Manhattan; la nostra area di competenza era Times Square e Hell’s Kitchen. Lavoriamo molte ore, la gente non si rende conto di quante ore lavoriamo. Di norma la gente lavora quaranta ore a settimana negli Stati Uniti, a quei tempi lavoravamo forse ottanta o cento ore a settimana. Avevo finito di lavorare per 24 ore consecutive e stavo per lavorarne altre otto. Avevamo un piccolo soggiorno nella nostra stazione di polizia dove potevamo fare una pausa, guardare la televisione, mangiare, qualunque altra cosa, e avevamo anche un dormitorio, così potevamo dormire lì. Alle otto e quarantacinque del mattino ero l’unica persona lì, mentre tutti gli altri si stavano vestendo, preparandosi per il lavoro, e vidi in televisione che un aereo si era schiantato contro il World Trade Center.

Tutti i canali televisivi lo stavano mostrando. Si vedeva il fumo che usciva dal palazzo. Salii le scale e dissi a tutti gli altri, al mio sergente, al mio supervisore “Ehi, un aereo si è schiantato contro il World Trade Center!” e loro iniziarono a fare più in fretta. Siamo detective, investighiamo. Investighiamo omicidi, furti, stupri, terrorismo, spionaggio, qualunque cosa; ma siamo investigatori, non soccorritori, lavoriamo in giacca e cravatta. Praticamente senza che nessuno ci dicesse nulla decidemmo di andare là perché sapevamo che probabilmente ci sarebbe stato bisogno d’aiuto.

Prendemmo due auto civetta della polizia, eravamo sei o sette. Io guidavo quella davanti e mentre partivamo dai nostri uffici mi accorsi che il traffico era già congestionato, molto peggio della norma, ed era molto difficile muoversi nel traffico. Svoltai per prendere la West Side Highway, il World Trade Center è proprio accanto ad essa, e devo riconoscere che gli addetti al traffico dell’NYPD fecero un buon lavoro, perché chiusero immediatamente l’intera autostrada riservandola ai veicoli di emergenza e quindi era sgombra. Mentre la percorrevamo chiamai mia madre; lei non sapeva nemmeno cosa fosse successo, glielo dissi e le dissi che stavo andando ad aiutare della gente.

Mentre mi stavo avvicinando, il secondo aereo colpì. Immediatamente capimmo che era un atto di terrorismo, che era intenzionale. Parcheggiai la macchina della polizia ad alcuni isolati di distanza, e camminammo fino là. Sul lato opposto della strada rispetto alle torri c’era un edificio dell’American Express. In quel momento nessuno dei nostri cellulari funzionava; il nostro comandante, che stava cercando di guidarci, ci disse di andare lì dentro perché stavamo cercando di contattare il nostro quartier generale per capire cosa avremmo dovuto fare, quale fosse il piano d’azione. Quindi entrammo nel palazzo dell’American Express per usare i loro telefoni fissi, e ogni chiamata che facemmo dava segnale occupato. Quindi nessuna telefonata ebbe successo.

C’era una ragazza, di circa ventidue anni, che era spaventata ma non sapeva cosa stesse succedendo, perché il palazzo non aveva finestre e mi chiese “Cosa dovrei fare?” Le dissi “Se fossi in te, me ne andrei.” Nei miei pensieri mi chiedo sempre se se ne sia andata, perché un pezzo della torre cadde su quel palazzo. Uscimmo e andammo verso la Torre Sud. Tutti stavano scappando da ogni lato del palazzo e da ogni lato qualcuno si lanciava, si sentivano le forti esplosioni dei corpi. Sono un detective e anche un negoziatore di ostaggi, ho visto gente lanciarsi dagli edifici, ho visto quello che succede alla gente che si lancia e di solito c’è un corpo, anche se ha le ossa rotte, ma c’è; ma qui la differenza era che la gente si lanciava da piani talmente alti che quando colpiva il suolo esplodeva e non ne restava nulla. La persona colpiva il suolo e “boom”, nient’altro che una piccola pozza di sangue, non restava niente del corpo. Ed era continuo. C’erano due persone che si lanciavano da un lato, poi una che si lanciava da un altro lato, e così via.

Salutai due uomini dell’NYPD, che erano dell’unità del servizio per le emergenze, fanno ogni tipo di salvataggio e operazioni SWAT, stavano indossando il proprio equipaggiamento e i respiratori, ci salutammo con una stretta di mano e un sorriso dicendo “Hey, fate attenzione”“Anche tu, anche tu”, ma non ne uscirono vivi. Vidi centinaia di pompieri entrare nelle torri, molti di loro non ce la fecero a uscire.

Entrando e uscendo dal palazzo dovevi guardare in alto, perché cadevano cose e persone; alcune persone uscirono vive dal palazzo ma furono uccise da altre persone che si erano lanciate. Due persone, e poi nulla. Vidi un uomo uscire, riuscì a uscire e poi cadde un pezzo molto grande di vetro che lo tranciò in due: una persona che cammina, un gigantesco pezzo di vetro che cade, e le due metà di quella persona che cadono al suolo.

Quindi, ero con la mia squadra e decidemmo di contarci, così nel caso in cui qualcuno si fosse allontanato avremmo saputo chi era con noi. Guardammo in alto e c’era una donna in abiti da lavoro che cadeva, indossava un tailleur, ricordo i suoi capelli biondi, aveva una gonna e una giacca da lavoro, su un piede aveva ancora la scarpa con i tacchi alti, mentre cadeva agitava le braccia e le gambe. Cadendo colpì un palo della luce, e fu spaccata in due, ed entrambe le metà caddero al suolo. Questa cosa rimarrà con me per sempre. Non potevamo farci nulla.

Ci contammo, prendemmo i nomi di tutti, e stavamo per entrare, guardammo in alto e vidi la sommità della torre che cominciava a muoversi. Stava crollando. Urlai “Correte!”, eravamo proprio vicino alla lobby, quindi non potevamo andare lontano. Una delle ultime cose che vidi prima che la torre venisse giù era il mare di gente che era arrivata nella lobby che ne usciva ordinatamente. Ma non ce la fecero.

Uno dei miei sergenti, Jerry Beyrodt, fu lanciato dall’impatto venti o trenta metri in aria e un furgone della polizia che si stava allontanando passò involontariamente sopra la sua gamba. Quando la torre crollò, le macerie e il fumo lo investirono. Tutti i miei altri compagni erano due o tre metri dietro di me e io pensai che fossero morti. Non era mai successo niente del genere, quindi non sapevamo cosa aspettarci. C’era una macchina nera, penso che fosse un’auto civetta della polizia ma era così buio che non vedevo all’interno, volevo entrare per ripararmi in qualche modo. Tirai la maniglia della macchina, ma era chiusa, tirai fuori la pistola e stavo per sparare al vetro per entrare, ma pensai “E se c’è qualcuno già nascosto all’interno? Non voglio uccidere nessuno.”Durante il crollo si sentivano colpi di pistola perché c’erano poliziotti che sparavano alle finestre per entrare nei palazzi, per esempio nei negozi.

Andai davanti alla macchina, mi inginocchiai e mi coprii la testa e il torso dietro l’auto; l’unica parte esposta erano le mie gambe e i miei piedi. Pensai “Questa nuvola di macerie mi taglierà le gambe e i piedi. Ho gambe e piedi molto buoni, mi mancheranno.”

La nuvola delle macerie mi avvolse e mi coprì e pensai “Wow! Ho ancora le mie gambe!” Presi la mia giacca e me la legai davanti alla faccia come filtro per l’aria ed era tutto nero come la pece, non si vedeva nulla. Il mio cuore batteva all’impazzata perché avevo appena corso al massimo della velocità possibile. Quindi mi fermai per prendere fiato. Era come se qualcuno avesse preso una secchiata di sabbia e me l’avesse lanciata in bocca. Improvvisamente la mia bocca e il mio naso erano completamente impastati ed è allora che capisci “Wow, non posso deglutire!” E tu e io possiamo deglutire ora, lo facciamo involontariamente tutto il giorno. E capisci che non puoi nemmeno respirare, perché non c’era aria: zero. Mentre capivo queste cose, il silenzio calò su tutto. All’improvviso era così silenzioso che avresti potuto sentire cadere uno spillo.

Sentii la voce di una donna, camminava vicino a me. C’era un silenzio totale, e lei diceva “Aiuto! Aiuto!”. Sono un poliziotto, un detective, salvo le persone, ma ricordo che in quel momento non potevo aiutare me stesso, non potevo aiutare lei e non la potevo neanche vedere. Sentii “Boom!” e lei cadde al suolo. Di nuovo, non potevo respirare, non potevo vedere. Ricordo di avere pensato “Tra un minuto sarò un uomo morto”perché non c’era aria. Mi dissi “Dovrei stendermi e morire in pace o dibattermi, impazzire e morire così?” Mi sedetti per strada, era tutto nero, le macerie erano ancora attaccate ovunque e sentivo che l’aria nei polmoni mi si stava esaurendo. Iniziai ad arrabbiarmi, pensai “Fottuti terroristi, fottuto bin Laden!” Studio terrorismo internazionale dal 1989, era un campo che mi interessava davvero tanto. Ero furibondo che i terroristi avessero appena ucciso migliaia di noi. Iniziai a pregare e improvvisamente un pochino d’aria inizio ad arrivare; secondo dopo secondo, un po’ più di aria e poi ancora un po’ più di aria.

Iniziai a vedere circa un metro e mezzo avanti a me e per prima cosa volevo vedere dove fosse quella donna, camminai per qualche metro verso la mia destra e la donna era lì, era stesa sulla schiena ed era morta, soffocata. La sua bocca e il suo naso erano completamente impastati, era morta.

C’era silenzio ovunque ma si sentivano dei cinguettii, perché i pompieri avevano dei dispositivi che fanno questo suono se restano fermi per più di sessanta secondi.

Camminai un po’ verso sud e trovai un autobus di linea, c’erano a bordo due poliziotti e l’autista, il condizionatore era acceso. Pensai “Questo è ciò di cui ho bisogno, posso ancora aiutare gli altri, ma devo prima aiutare me stesso, ho bisogno di respirare.”Entrai e l’aria era pulita, riuscii a respirare. Scesi dall’autobus e cominciai a indicare a quante persone potevo di salire sull’autobus. C’era una donna sull’autobus che era un paramedico, era traumatizzata e piangeva, piangeva, piangeva. Un uomo che era pure lui sull’autobus la guardò e le disse “Devi smettere, devi ricomporti.” La schiaffeggiò sul viso e lei disse “Sì, hai ragione. Hai ragione.”

A quel punto potevamo vedere per circa tre metri. Iniziai a vedere i miei compagni, erano tutti sopravvissuti, li vidi camminare e poi vidi di nuovo il mio sergente, aveva 58 anni, un metro e novantacinque, era un poliziotto da più di trent’anni, aveva anche lavorato nella Terrorism Task Force anni prima. Era stato lanciato in aria e la sua gamba era stata schiacciata da un veicolo che passava, ma stava portando un sergente donna sulla schiena perché le scarpe di lei le erano state strappate dai piedi. La portammo sull’autobus. Caricammo l’autobus, quindi dissi all’autista “Senti, vai lungo questa via. Non entrare nel tunnel laggiù, non andare in nessun tunnel. Sta’ in superficie, gira indietro, vai verso l’East Side di Manhattan, c’è un ospedale all’incrocio tra la ventunesima strada e la seconda avenue. Vai là, fai scendere queste persone e da lì torna alla tua stazione degli autobus.” Mi disse “Ok” e partì.

Noi che eravamo rimasti lì andammo verso la punta meridionale di Manhattan, quella che guarda verso la Statua della Libertà; non ci sono moli per le navi, solo un muro da cui si vede l’acqua. Migliaia di persone si erano raccolte là in quell’area verde. Alcune era ferite, altre no. Si erano sdraiate sull’erba a riposarsi, senza sapere cosa fare. Non c’erano moli per le navi, ma solo un muro, e cominciammo a fare segno alle navi di avvicinarsi.

seawall

La gamba del sergente era blu, rosa, viola, nera e gonfia fino a tre volte la dimensione normale, quindi gli dicemmo “Senti, devi andare all’ospedale o perderai la gamba.” Ma lui era un uomo grosso e forte e voleva continuare ad aiutare, e così due detective lo costrinsero a salire su una barca della polizia che lo portò a un ospedale nel New Jersey. Rimase lì per quattro mesi, fu operato dieci volte e gli salvarono la gamba. Morì tre anni fa di cancro in conseguenza all’11 settembre. Oltre che nell’NYPD era stato anche nella Marina ed era stato un pompiere volontario nella sua città.

All’estremità sud di Manhattan, insieme a migliaia di persone, c’erano medici, con infermieri in turno e fuori dal turno; notai che c’erano due uomini mediorientali che camminavano in giro, avevano espressioni serie, e non stavano aiutando nessuno, stavano solo camminando in giro. Una parte di me voleva fermarli, ma non lo feci; ancora oggi ci ripenso e vorrei averlo fatto, ma non lo feci. Era fuori luogo che guardassero in giro senza aiutare.

Mentre eravamo lì, la Torre Nord crollò. Non potevo sopportare un’altra nube; saltai dall’altra parte del muro per saltare nel fiume se i detriti fossero arrivati fino a dove eravamo, ma non successe. Continuammo a segnalare ai battelli di avvicinarsi, iniziammo a far passare donne, bambini e feriti oltre il muro e sui battelli. C’erano migliaia di persone, le facemmo evacuare tutte dall’isola sui battelli. Devo riconoscere l’ottimo lavoro che fecero i piloti e i capitani, perché non c’era un molo, era come un argine. Noi facemmo la nostra parte nel caricare le persone, ma loro fecero la loro parte per tenere i battelli vicini, nessuna imbarcazione si scontrò, nessuno si ferì; fecero un ottimo lavoro.

Riuscimmo a caricare tutti sulle imbarcazioni, quindi camminammo verso nord tra le macerie per vedere se potevamo trovare dei sopravvissuti. Arrivammo a Church Street ed era deserta, non c’era nessuno. Le macerie erano ovunque, spesse più di due centimetri al suolo. C’era un buco nella strada dal quale uscivano fiamme, sembrava l’inferno. Andai alla pila dove c’erano le torri e non c’era nessuno da salvare. Alla fine continuammo a camminare finché non arrivammo allo stesso ospedale a cui avevo detto all’autobus di andare.

Tra le persone del mio distretto, cinque sono morte per tumore causato dall’11/9, dieci hanno il tumore ma sono ancora vive. Ma se guardi tutto il dipartimento di polizia, ce ne sono centinaia e centinaia e centinaia; io ero proprio lì con loro, quindi prima o poi potrebbe arrivare anche il mio giorno.

Undicisettembre: Hai anche investigato sull’11/9 dopo gli eventi? Che ruolo hai avuto nell’investigazione?

Michael Greene: Sì, ne ho fatto una porzione. La parte che feci fu il resoconto di chi era sopravvissuto e chi no. C’erano persone che commettevano frodi, che dicevano “Oh, mia moglie è morta!” e dopo scoprivamo che la persona non era morta; stavano cercando di prendere i soldi dell’assicurazione. Succedevano cose di questo genere e almeno una di queste arrivò sui giornali, si trattava di una coppia canadese. La donna disse che il marito era rimasto ucciso nella torre ma non era vero, era ancora vivo, stava solo cercando di prendere i soldi dell’assicurazione dalla sua morte.

Quindi la parte che io investigai fu chi era morto davvero, chi erano i visitatori e così via. Istituimmo una hotline dove le persone potevano segnalare gli scomparsi; praticamente dovevamo rendere conto di ogni persona. Questo durò molti mesi.

Undicisettembre: Cosa hai fatto nei giorni seguenti?

Michael Greene: Beh, l’NYPD è piuttosto speciale. Probabilmente da qualunque altra parte avremmo ricevuto cure immediate, consulenza o qualunque altra cosa; nell’NYPD no, torni al lavoro il giorno dopo e alla luce di quanto era successo non ci importava. Eravamo lì per aiutare e per soccorrere, fare ciò che dovevamo fare. Non ci importava. Quindi tornai al lavoro, e il lavoro era misto. Lavorai su quella che è chiamata “the pile” [la catasta], cercando tra le macerie per salvare le persone, per vedere se c’era qualcuno vivo. Portavano anche le macerie a Staten Island in una discarica, vi lavoravamo in turni da dodici ore, ventiquattro ore al giorno, scavando tra le macerie alla ricerca di prove, resti umani, qualunque cosa.

Un giorno trovai un intero mazzo di badge per l’accesso al palazzo. A quel tempo se volevi visitare il World Trade Center dovevi andare alla reception e la security avrebbe preso il tuo nome e ti avrebbe fatto una foto. Scavando tra le macerie trovai circa quaranta badge di uomini mediorientali. Poteva significare qualcosa, poteva non voler dire niente. Erano quaranta, li trovai tutti nello stesso posto.

Quando trovavi qualcosa, lo mettevi in un secchio e alla fine della giornata andava in mano agli uomini della Terrorism Task Force.

staten island

Parlai con uno dei miei sergenti, il giorno dopo l’11/9. Non era nel mio gruppo. Appena prima del crollo della Torre Sud, lui stava per entrare. Disse di aver visto un agente in uniforme dell’NYPD, con un uomo mediorientale in manette. Mi disse che l’agente lo stava portando fuori, ma nel crollo della torre nessuno dei due era sopravvissuto.

Era una missione di salvataggio, in quel momento, non una missione di arresto. Un poliziotto con un uomo in manette, doveva esserci un’ottima ragione. Di nuovo, potrebbe essere qualcosa, potrebbe non essere nulla.

Undicisettembre: Essendo stato anche un soccorritore nell’attentato del 1993, ti aspettavi che i terroristi sarebbero tornati?

Michael Greene: Sì.Il sindaco al tempo era Giuliani, fu un ottimo sindaco per quei tempi, avevamo bisogno di lui, ma ci sono aspetti positivi e aspetti negativi. Dal lato negativo, ricordo il giorno che decise di mettere l’ufficio di New York per la gestione delle emergenze dentro il World Trade Center, dopo il 1993. Pensai “Il World Trade Center è ancora un obiettivo dei terroristi, perché vuoi mettere un centro di comando per le emergenze in quel palazzo?” Lui lo fece e l’11/9 nessuno poté usarlo. Fu una mossa stupida. Sapevo perfettamente che avrebbero cercato di nuovo di colpire lì.

Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo le quali l’11/9 sarebbe un inside job?

Michael Greene: Non credo che sia stato un inside job. Credo che fu fatta un’enorme quantità di giganteschi errori che permisero che tutto questo accadesse. Ma un inside job? No, assolutamente.

Undicisettembre: Cosa pensi della sicurezza negli USA oggi? La nazione è più sicura che nel 2001?

Michael Greene: Per quanto riguarda il terrorismo direi di sì, mantenere questo livello costa molti soldi e non so se sarà sostenibile. Ma l’ISIS ha fatto qualcosa che al-Qaeda non ha fatto, che rende le cose più difficili per noi: al-Qaeda diceva “Ehi, vieni nei nostri campi di addestramento”, mentre l’ISIS dice “Non serve che vieni nei nostri campi di addestramento, dobbiamo solo entrare nella tua testa e renderti un simpatizzante da quindicimila chilometri di distanza e ti faremo venire voglia di commettere atti di terrorismo con la tua automobile o con qualunque altro oggetto normale che di norma non è un’arma.” Questo rende le cose più difficili, perché se sei una persona dalla mente debole che guarda i video dell’ISIS a casa ogni giorno, non sei sul radar di nessuno che può trovarti nel caso in cui tu stia progettando un attacco terroristico.

Quindi è un po’ più complicato, ma in termini di un grande attacco terroristico, come l’11/9, siamo certamente più al sicuro oggi di quanto lo fossimo allora. Questi attacchi di lupi solitari sono più prevenibili, non dal governo o dall’FBI, ma dalla polizia locale, perché la polizia locale può vedere se una persona sembra un po’ depressa o se si comporta in modo un po’ strano o se sta comprando delle pistole. Credo anche che la polizia locale sia maggiormente attrezzata contro il terrorismo e abbia oggi un ruolo nell’antiterrorismo.

La strana “nuvola circolare” fotografata nel cielo del Canada

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di Oliver Melis

La notizia risale al 21 aprile del 2017 e ad occuparsene per primo sarebbe stato il MUFON Mutual UFO Network un’organizzazione senza scopo di lucro che indaga sui casi di avvistamento di oggetti volanti non identificati.

La foto sarebbe stata scattata da uno dei passeggeri che si trovava a bordo di un volo internazionale ma non sono note le generalità del “fotografo”
né quale fosse il volo coinvolto. La fotografia in questione, come si può vedere nell’immagine di copertina, mostra uno strato di nuvole ripreso dall’alto, chiaramente dal finistrino di un aereo.

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Tra le nubi sottostanti, sulla sinistra del velivolo si può vedere una sorta di spazio vuoto a forma di ciambella sulla cima di una nuvola. Qui sopra potete vedere un ingrandimento dell’oggetto in questione.
Le immagini come al solito, sono state rese note dall’ufologo Scott Waring e sicuramente sono suggestive. “Non ho mai visto un anello simile sopra le nuvole prima, ma sono state registrate molte segnalazioni sotto le nuvole” È quanto scritto da Waring nel presentare l’immagine.

Vedete, potrebbe essere un UFO che lascia un varco tra le nuvole. Sì, l’UFO è ancora lì e dalle sue dimensioni sembra essere di circa mezzo miglio di diametro. Se l’UFO volasse tra le nuvole, avrebbe lasciato un buco perfetto visibile, proprio come l’avvistamento dell’aeroporto di O’hare di qualche anno fa, oggetto visto da molti t,estimoni, sia lavoratori che piloti, mentre vedevano un disco sollevarsi tra le nuvole lasciando un buco aperto che era visibile per oltre 15 minuti.  Questo è un altro grande avvistamento che è la prova assoluta che gli UFO visitano i nostri cieli mimetizzandosi tra le n uvole e librandosi lentamente nel cielo osservando gli abitanti sottostanti“- conclude Scott Waring, la cui loquacità è uguagliata solo dalla sua capacità di individuare una quantità enorme di segni di civiltà aliene o di avvistamenti UFO.

Nonostante le parole di Scott, però, nella foto non si vede nessun oggetto volante non identificato in giro e purtroppo dobbiamo deludere Scott e i tanti cospirazionisti che ascrivono a fenomeni spiegabili etichette misteriose.

Questa fotografia non è una prova dell’esistenza dei dischi volanti, anzi, il fenomeno è spiegabile in termini molto più terrestri.
Immaginate di osservare una vasta distesa nuvolosa al cui interno compaia uno squarcio di sereno dalla quasi perfetta forma circolare o ellissoidale.
Perché la natura si è divertita a bucare una nuvola in modo cosi perfetto?

Il fenomeno, seppure raramente, si verifica solo nei cirrocumuli, nubi tra 6000 e 9000 metri di altitudine le quali, essendo a tali quote a temperatura intorno i 30-40 gradi sotto zero, sono costituite da microscopici cristalli di ghiaccio.
Il fenomeno, spiegano sul sito meteorologico meteo Giuliaccisi verifica nei casi in cui una causa perturbante trascina localmente verso il basso i cristalli di ghiaccio della nube stessa, i cristalli attraversando gli strati sottostanti, più caldi,
evaporano e quindi creano un buco nella nuvola che si propaga all’intorno come l’onda di un sasso in uno stagno.

Insomma, nulla di anomalo, anche se raro si tratta di un fenomeno naturale.

Fonti: Segnidalcielo, Ufonline, meteo Giuliacci


Un nuovo materiale ricco di idrogeno potrebbe essere un superconduttore da record ad alte temperature

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Il materiale sembra trasmettere elettricità senza resistenza ad una temperatura relativamente alta

illustrazione di LaH10

HELLA HYDROGEN   Il composto LaH 10 è composto da 10 atomi di idrogeno (rosa) per ciascun atomo di lantanio (verde). Si prevedeva che questo materiale ricco di idrogeno avesse proprietà superconduttive e, dai test, sembra sia proprio così

Due studi riportano prove di superconduttività – la trasmissione di energia elettrica senza resistenza – a temperature più elevate di quelle viste in precedenza. L’effetto appare in composti di lantanio e idrogeno sottoposti a pressioni estremamente elevate.

Tutti i superconduttori noti devono essere raffreddati per funzionare, il che li rende difficili da usare nelle applicazioni del mondo reale. Se gli scienziati trovassero un superconduttore in grado di mantenere le sue proprietà a temperatura ambiente, questo materiale potrebbe essere utilizzato nei dispositivi elettronici e nei fili di trasmissione elettrica, risparmiando potenzialmente le grandi quantità di energia che attualmente si perdono a causa della resistenza elettrica. Per questo motivo gli scienziati sono costantemente alla ricerca di superconduttori in grado di mantenere le loro proprietà di superconduzione a temperature più elevate. L’attuale detentore del record, l’idrogeno solforato, anche lui sottoposto ad alte pressioni, funziona al di sotto di -70° CelsiusSN: 12/26/15, 25 ).

Le nuove prove per testare la superconduttività si basano su un drastico calo della resistenza dei composti di idrogeno-lantanio quando raffreddati al di sotto di una certa temperatura. Una squadra di fisici ha scoperto che la resistenza del loro composto è crollata a una temperatura di -13° C, la temperatura di una giornata invernale molto fredda. La presunta superconduttività a questa temperatura si è verificata quando il materiale è stato sottoposto ad una pressione di quasi 2 milioni di atmosfere, schiacciandolo tra due diamanti. Alcuni campioni hanno anche mostrato segni di superconduttività a temperature più elevate, circa 7 ° C.

È quanto riferito in uno studio pubblicato online il 23 agosto su arXiv.org dal fisico Russell Hemley della George Washington University di Washington, e colleghi. Hemley aveva già riferito segni della superconduttività del composto a maggio, durante un simposio sulla superconduttività e la pressione tenutosi a Madrid.

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superconduttività sotto pressione: Il composto di Lantanio e Idrogeno diventa un superconduttore quando sottoposto a pressione e raffreddato (una vista attraverso i diamanti).  P DROZDOV ET AL / ARXIV.ORG 2018

Un altro gruppo ha trovato prove di superconduttività in un composto di lantanio-idrogeno in condizioni più fredde, ma ancora da record. I ricercatori hanno letteralmente schiacciato il lantanio e l’idrogeno in una stampa diamantata a circa 1,5 milioni di volte la pressione atmosferica. Una volta raffreddato a circa 215 kelvin -58 ° C, la resistenza del composto cade bruscamente. L’esperimento è stato riportato in uno studio pubblicato online il 23 agosto su arXiv.org dal fisico Mikhail Eremets del Max Planck Institute for Chemistry di Mainz e colleghi.

Non è chiaro quali siano le strutture esatte dei composti chimici e se i due gruppi stiano studiando materiali identici. Le differenze tra i campioni utilizzati dai due team potrebbero spiegare la discrepanza di temperatura. Utilizzando i raggi X, Hemley e colleghi hanno dimostrato che la struttura del materiale era coerente con LaH 10 , che contiene 10 atomi di idrogeno per ogni atomo di lantanio. Il team di Hemley aveva precedentemente previsto che LaH 10 sarebbe stato superconduttore ad una temperatura relativamente elevata.

Secondo il chimico teorico Eva Zurek dell’Università di Buffalo a New York, si tratta di risultati “molto eccitanti“, tuttavia, gli studi non sono conclusivi: non sono stati sottoposti a peer review e non mostrano ancora un segno essenziale di superconduttività chiamato effetto Meissner, in cui i campi magnetici sono espulsi dal materiale superconduttore ( SN: 8/8/15, p. 12 ). I risultati, in realtà, concordano con le precedenti previsioni teoriche fatte da Hemley e colleghi. “Spererei e sospetto che siano davvero corretti” conclude la Zurek.

I ricercatori stanno ora lavorando per sottoporre il materiale a nuovi test della superconduttività. L’esigenza di pressioni ultraelevate rende improbabile che i materiali siano utili per le applicazioni ma una migliore comprensione della superconduttività ad alta temperatura potrebbe portare gli scienziati ad altri superconduttori più pratici.

Il potenziale nuovo superconduttore e il precedente detentore del record sono entrambi pieni zeppi di idrogeno. Gli scienziati stanno cercando la superconduttività in tali materiali ricchi di idrogeno in base alla previsione che l’idrogeno puro, quando sotoposto a pressioni immensamente alte, diventerà un metallo con proprietà di superconduzione a temperatura ambiente ( SN: 8/20/16, p 18 ). Ma l’idrogeno metallico si è dimostrato difficile da produrre, richiedendo pressioni ancora più elevate di quelle necessarie per i composti ricchi di idrogeno. Quindi gli scienziati stanno cercando la superconduttività nei composti che mimano l’idrogeno e che sono più facili da creare.

Fonti e citazioni:

M. Somayazulu et al. Evidence for superconductivity above 260 K in lanthanum superhydride at megabar pressures. arXiv:1808.07695. Posted August 23 2018.

A.P. Drozdov et al. Superconductivity at 215 K in lanthanum hydride at high pressures. arXiv:1808.07039. Posted August 21, 2018.

R.J. Hemley. Progress on hydride, superhydride and hydrogen superconductors. International Symposium: Superconductivity and Pressure, Madrid, May 22, 2018.

Reborn Dolls, una bambola in luogo di un bambino

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Forse ricorderete che un annetto fa alcuni media pubblicarono articoli e servizi in cui veniva presentato il fenomeno delle “Reborn Dolls“.

Cosa sono le “Reborn Dolls“?

Si tratta di un fenomeno in preoccupante espansione, in pratica sono delle bambole straordinariamente realistiche che riproducono le fattezze di neonati. Esistono donne che sentono talmente tanto il desiderio di maternità da inventarsela, sostituendo un bambino con una bambola.

Le bambole Reborn, ci dice Wikipedia, sono letteralmente “bambole rinate“, cioè nate due volte, sono bambole in vinile molto realistiche, lavorate artigianalmente per assomigliare il più possibile ai bambini veri. Non sono giocattoli per bambini (per legge sono vietate a minori di 14 anni), ma creazioni artistiche pensate principalmente per l’ambiente collezionistico. A seconda del tipo di lavorazione, il loro prezzo può variare da centinaia a migliaia di Euro. Spendendo da 500 a 20mila euro, è possibile ordinare in rete una copia perfetta di un pargolo con capelli veri, battito cardiaco, vocetta, piccole vene e anche macchie di latte.”

In molti casi, queste bambole vengono adottate in sostituzione di bambini veri. Si arriva all’estremo di pagare una baby sitter per custodire una bambola quando si è fuori casa. Sono perfino nati gruppi facebook di “mamme” che si scambiano consigli su come allevare “questi bambini speciali“. In servizi giornalistici si parla di mamme in giro con la carrozzina che sollecitano gli astanti a parlare a bassa voce  per “non svegliare la bimba” o che si mettono in fila dal pediatra tutte contente di prendere i complimenti delle altre mamme, quelle con i bambini veri, per “quanto è buono e silenzioso suo figlio“, per poi allontanarsi con una scusa poco prima che arrivi il loro turno di entrare dal medico.

In un articolo, si parla addirittura di una donna che ha scatenato un allarme in un cenro commerciale per essersi dimenticata la bambina (finta) in macchina, sotto il sole. Molte vanno tranquillamente in giro a fare shopping o ad incontri con le amiche portandosi la bambola in un marsupio o con la carrozzina…

Avevo visto fenomeni del genere già una decina di anni fa, su Second Life, il mondo 3D che permette di costruirsi una seconda vita, virtuale.  Avatar femminili che andavano in giro portandosi appresso un piccolo avatar nelle carrozzine o nei marsupi. Addirittura, una app permetteva di simulare la grvidanza cosi che il proprio avatar sviluppava un prominente pancione, fino al momento del parto da cui emergeva il piccolo avatar che avrebbe poi accompagnato la pseudo mamma nella sua via virtuale, piangendo per fare i capricci o per fame, ammalandosi delle malattie classiche dei bambini e via dicendo.

All’epoca trovavo il fenomeno bizzarro e mi domandavo cosa si muovesse nella mente di una persona che fingeva di avere una seconda vita virtuale con prole al seguito, oggi, ritrovando il fenomeno nel mondo reale, lo trovo preoccupante, anche un po’ grottesco, orrorifico dove la cosa sembra essere seria e non ludica.

Il fenomeno delle “Reborn Dolls” è piuttosto diffuso, soprattutto in paesi come USA, dove è nato ma a scopi di collezione, Gran Bretagna, Francia e Germania ma si va diffondendo un po’ in tutto l’occidente e in Giappone. Intorno a questo fenomeno è nato, e non poteva essere altrimenti, tutto un giro di affari su vestitini firmati o realizzati a maglia, peluche, mini-sedili per l’auto, biberon con finto latte da infilargli nella boccuccia, pappe vere servite col cucchiaino, Nutella per simulare la popò. Addirittura, in rete si può acquistare un apparecchietto simile a quelli che si usano per i test di gravidanza, dove appare sul display la scritta “reborn pregnant”(incinta di una reborn) da utilizzare prima dell’acquisto vero e proprio della bambola.

In un articolo, l’autore riferisce di avere visto un video inglese dove la bambola si era rotta e la “mamma” l’ha portata, avvolta in una coperta perché non prendesse freddo, dal costruttore, come si porta un bimbo malato al pronto soccorso pediatrico. Nel video, l’artigiano, furbetto, le comunicava con aria affranta, dopo aver visitato bambina finta, che non c’era più nulla da fare: restava solo da prepararle una bara e farle il funerale, cosa eseguita immediatamente tra le lacrime disperate della Mamma che, appena terminata la cerimonia, ha ordinato una sorellina della defunta per sostituirla.

C’è chi compra una reborn dolls a caso, chi invece ordina una copia perfetto del figlioletto morto: basta portare una foto e pagare un extra. E sono parecchie le mamme che dopo un lutto utilizzano una reborn come succedaneo al figlioletto precocemente scomparso.

Insomma, di cosa parliamo? Persone con turbe psichiatriche? Ragazze mai cresciute? Fuga dalla realtà per compensare un’insoddisfazione? Apparentemente si tratta di un fenomeno inoffensivo ma su questo dovrebbero cominciare ad esprimersi psichiatri, psicologi e sociologi.

Intanto, in Giappone, la JST Erato Asada Project sta per mettere in commercio un baby-robot  perfettamente somigliante ad un bambino umano, capace di camminare per casa, simulare il riposo e la veglia, rispondere alle domande, farne a sua volta, piangere e mangiare. Insomma, un surrogato perfetto per sostituire un figlio.

Stiamo entrando in Blade Runner?