giovedì, Settembre 19, 2024
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FETI UMANI NEI VACCINI? MA NEANCHE PER SOGNO!

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di Andrea Cossarizza

Reccom Magazine ringrazia il professor Guido Silvestri per averci autorizzato a condividere i testi informativi pubblicati sulla sua pagina facebook.

Un’altra delle bufale che girano recentemente nel web riguarda la presenza di feti umani nei vaccini. Se non proprio feti, la cui presenza sarebbe piuttosto evidente anche senza un microscopio di alcun tipo, almeno di tessuti e cellule fetali o loro frammenti. La storia nasce probabilmente dal fatto che a qualcuno un po’ troppo impressionabile è stato spiegato che per preparare alcuni tipi di vaccino servono cellule umane (assolutamente vero), e che in qualche caso si usano anche cellule di polmone di un feto (pure questo è vero). Cerchiamo quindi di fare chiarezza in merito.

1. Perché servono delle cellule per produrre vaccini contro alcuni virus? Semplicemente perché, a differenza dei batteri, i virus non crescono se non all’interno di cellule, di cui sfruttano tutti i possibili organelli. Per ottenerne in grandi quantità non c’è altro modo che coltivarli “in vitro” facendoli produrre a cellule di vario genere.

2. Perché cellule umane e non di altra specie? Alcuni tipi di virus hanno un tropismo molto selettivo per cellule umane. In altre parole, durante l’evoluzione si sono modificati in modo da poter infettare solamente esseri umani e non altri mammiferi. Questo vale anche all’opposto. Per fare un esempio, pensate che il virus dell’immunodeficienza felina (FIV, feline immunodeficiency virus, lontanissimo parente dell’HIV) infetta soltanto i gatti – e semmai altri felini meno frequenti nelle nostre zone. Il FIV è piuttosto diffuso, e in alcune parti della nostra amata penisola fino al 20% degli animali che ci difendono dai topi e/o si stravaccano sul nostro divano guardandoci con un certo disprezzo (il mio lo fa regolarmente, tranne quando rientra dalle scorribande notturne e ha fame) ne sono infetti. Ma il FIV non infetta cellule umane, perché i recettori che lega sono fatti un po’ diversamente dai nostri. Quindi, se un gattino di cui non conoscete lo stato sierologico vi graffia, nessun problema, non vi verrà l’AIDS. Così come non viene l’AIDS ai gatti che graffiano delle persone con HIV. Capito questo, torniamo ai vaccini. Se dobbiamo produrre una certa quantità di virus per poi inattivarli ed usarli come vaccini, non possiamo allestire colture usando cellule di un’altra specie, semplicemente perché non verrebbero infettate, i virus non si potrebbero riprodurre al loro interno e non sarebbero quindi rilasciati in coltura.

3. Da chi si prelevano queste cellule? Per ottenere le cellule necessarie allo scopo, uno scienziato non prende a caso dei volontari, estrae qualche tipo di cellula dal sangue o da altri tessuti, e poi la utilizza. Le cellule usate sono linee cellulari stabilizzate da decenni, hanno diversa origine, e si dividono velocemente “in vitro” senza bisogno di particolari stimoli se non un po’ di mezzo di coltura contenente siero, antibiotici e qualcosa per tamponare l’acidità che si crea durante la loro proliferazione. Il tutto oggi (ma non 50 anni fa!) è molto semplice, e funziona benissimo.

4. Perché cellule embrionali o fetali? Cellule di questa origine presentano diversi vantaggi. Il primo è che, anche se non sono di origine tumorale, spesso non necessitano di alcuno stimolo per dividersi, e possono crescere per decenni (vedi oltre). Un secondo vantaggio è che non sono mai state esposte ad alcun agente infettivo “in vivo”, cioe’ prima di vedere il virus che si usa per infettarle “in vitro”. Ricordiamo che, grazie alla mamma e al suo sistema immunitario, fino alla nascita ogni essere umano è ultra-protetto da infezioni e nasce praticamente sterile. Nelle prime ore di vita, ma non prima di nascere, viene a contatto con migliaia se non milioni di batteri o virus che deve riconoscere ed eventualmente combattere (questa è un’altra storia che racconteremo, che spiegherà bene perché non c’è nessun problema a usare molti vaccini insieme anche in tenera età). Le cellule fetali quindi non hanno avuto contatti con nessun tipo di patogeno, e non ne possono albergare, neanche integrati e nascosti nel loro genoma. Il terzo vantaggio è che alcune di queste cellule hanno esattamente la stessa origine di quelle che il virus infetta “in vivo”, e quindi possono produrre una grande quantità di particelle virali con le stesse caratteristiche antigeniche di quelle da combattere.

5. Da dove vengono le cellule fetali e si producono ancora? Alcune delle cellule usate per allestire colture umane su cui coltivare virus provengono da aborti terapeutici fatti negli anni ’60. In quel periodo, mantenere colture cellulari non era proprio una cosa banale e richiedeva una grandissima competenza. In particolare, nel 1962 alcune cellule derivate da tessuto polmonare sono state coltivate al Wistar Institute di Filadelfia e lì denominate WI-38. In Inghilterra, nel 1966, cellule polmonari provenienti da un altro feto sono state coltivate presso il Medical Reseach Council di Wiltshire e chiamate MRC-5. In entrambi i casi le cellule coltivate erano quelle che formano il tessuto connettivo, cioè i fibroblasti. Questi fibroblasti sono quindi diventati due linee cellulari “continue”, capaci di moltiplicarsi indefinitamente, e lo fanno benissimo anche oggi, a oltre 50 anni di distanza. Ci sono poche altre linee prodotte negli anni seguenti allo stesso modo, ma queste due sono le più usate. “In vitro” le linee non formano alcun tessuto, ma crescono semplicemente l’una vicino all’altra finché c’è spazio e nutrimento (entrambi forniti dal ricercatore) per tutti.

6. Quali sono i vaccini che si producono in questo modo? Abbiamo due categorie di vaccini, quelli usati per le immunizzazioni di routine (i primi quattro del seguente elenco) e quelli che si usano in altre circostanze (gli ultimi due):
– Rosolia (MERUVAX II/Merck, parte del MMR II/Merck, e ProQuad/Merck)
– Epatite A (VAQTA/Merck, Havrix/GlaxoSmithKline, e parte del Twinrix/GlaxoSmithKline)
– Varicella (Varivax/Merck, e parte del ProQuad/Merck)
– Herpes Zoster (Zostavax/Merck)
– Adenovirus di tipo 4 e tipo 7 (Barr Labs)
– Rabbia (IMOVAX/Sanofi Pasteur)

7. Chi ne ha tratto beneficio e quali problemi morali si pongono? Ne hanno tratto beneficio miliardi di persone, come facilmente immaginabile. Bisogna considerare che non esiste in questo caso alcun tipo di manipolazione genetica o altro: si è presa una parte di un tessuto, sono state isolate le cellule diploidi che sono quindi cresciute spontaneamente senza formare tessuti, e quindi usate per produrre vaccini. Cellule “diploidi” non è un termine terribile come alcuni pensano: tutte le cellule del nostro organismo che hanno due set di cromosomi (uno ereditato dalla mamma, l’altro dal padre) sono definite diploidi. Milioni di miliardi. Le cellule della linea germinale (oocita e spermatozoo), che quando si fondono danno origine a un nuovo individuo, hanno invece un solo set di geni. Per inciso, la tecnologia basata sull’uso di linee cellulari fetali per la produzione di vaccini ha avuto la PIENA APPROVAZIONE della Chiesa Cattolica al punto che, parlandone a riguardo, papa Benedetto XVI nel 2003 ha dichiarato che: “La vaccinazione universale ha causato una considerevole caduta della rosolia congenita, portandola all’incidenza di meno di 5 casi per 100.000 bambini nati vivi”.

8. Nelle preparazioni di vaccini possono essere presenti cellule? Senza entrare troppo in noiosi e complicati dettagli tecnici, la preparazione dei vaccini segue diversi passaggi ben codificati e standardizzati. A partire dal fatto che le cellule usate crescono aderenti alla base della piastra di coltura e non si staccano, entrano in gioco sofisticati processi di ultrafiltrazione, di ultracentrifugazione, di modificazioni del pH del mezzo ed altro ancora. Si arriva quindi alla completa sicurezza, e nei vaccini c’è soltanto quello che serve. I controlli di qualità imposti dalle regolamentazioni internazionali sono talmente stretti che è impensabile ci siano anche solamente tracce di cellule.

9. Chi ha recentemente dimostrato che i vaccini non contengono cellule fetali? Che i vaccini non contengano cellule fetali o parti di tali cellule lo dimostrano paradossalmente e senza ombra di dubbio gli studi dei “nanopatologi”, che non hanno mai visto nient’altro che fantomatiche nanoparticelle, delle quali abbiamo già parlato fin troppo. Con i potenti mezzi a disposizione (microscopio elettronico in primis) in tutti i vaccini analizzati finora non sono mai state viste cellule, pezzi di membrana plasmatica, mitocondri o altri organelli. Rispetto a una eventuale nanoparticella, il volume di un organello intracellulare è maggiore di qualche milione di volte, quello di una cellula intera di qualche miliardo. Non possiamo quindi pensare che se nei vaccini ci fosse qualcosa di tutto ciò gli occhi esperti dei sopraccitati “scienziati” non lo avrebbero prontamente individuato, immediatamente descritto nei dettagli, e portato all’attenzione generale. Ergo, il rumorosissimo silenzio sulla presenza di cellule fetali o di loro frammenti nei vaccini ne dimostra indiscutibilmente l’assenza!

Il caso Travis Walton: rapito dagli alieni?

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Secondo tanti siti che ancora pubblicizzano la storia, il presunto rapimento del boscaiolo Travis Walton, che ha ispirato anche un film, è un caso di rapimento molto attendibile e particolare, attendibile perché agli eventi parteciparono diversi testimoni e particolare perché il rapimento è diverso da quelli classici narrati dall’ufologia.

La sera del 5 novembre del 1975, sette boscaioli, tra i quali il loro capo Mike Rogers, che effettuavano opera di disboscamento nella zona di Turkey Springs, stavano tornando a casa dopo aver finito il loro turno di lavoro.

Il 22 enne Travis Walton, assieme ai suoi compagni di lavoro, stava percorrendo la strada che li avrebbe riportati a Snowflake quando, all’improvviso, videro un grande disco metallico e luminoso che irradiava un’intensa luce che filtrava attraverso gli alberi della foresta. Il disco doveva avere un diametro di circa sei metri e due e mezzo di altezza. Rogers bloccò il mezzo e Travis nonostante le urla degli amici si precipitò fuori dal furgone nel tentativo di avvicinare lo strano oggetto. Travis fu colpito da un raggio di luce blu-verde che lo fece cadere al suolo apparentemente privo di sensi.

Rogers, forse spaventato ingranò la marcia e con il resto del gruppo corse via dal luogo dell’avviatamento. Poco dopo, riacquistata un pò di lucidità il gruppo decise di tornare sul luogo dell’avvistamento ma di Travis Walton non c’era nessun segno. Spaventati chiamarono lo sceriffo della contea Gillespie che, dopo un vano sopralluogo, non credette a quanto raccontatogli dai boscaioli, secondo lui o era successo un incidente o avevano essi stessi fatto qualcosa a Travis inventandosi poi la storia dell’UFO.

A questo punto con la scomparsa di Travis, gli amici rischiavano veramente grosso e potevano anche essere incriminati per omicidio, per le autorità una possibilità è che si fossero inventati tutto in combutta con lo stesso Walton per sfruttare economicamente la vicenda.

Ma dopo cinque giorni di buio totale Travis ricompare, effettuando una telefonata da un distributore di benzina della zona, dove viene ritrovato quasi svenuto, in condizioni fisiche precarie e fortemente disidratato, stato di salute confermato dopo un’accurata visita medica.

Il racconto di Travis Walton

Dentro una base aliena?

Travis Walton non ricordava nulla del momento in cui fu colpito dal fascio di luce ma raccontò di essersi risvegliato in un lettino circondato da tre esseri dalla testa grossa e senza capelli, dalla pelle grigia e con occhi e bocche piccolissimi, dita molto lunghe senza unghie e bassi di statura, forse non più di un metro e mezzo. Ancora sotto shock, Travis disse di essersi alzato e di aver impugnato un oggetto cilindrico che provò ad usare come arma.

Travis iniziò a urlare e puntò l’oggetto contro i tre che si limitarono ad uscire dalla stanza, anche Travis dopo poco decise di uscire e iniziò a vagare lungo strani corridoi per finire dentro una grande stanza circolare con al centro un sedile dotato di braccioli. Travis provò a sedersi e subito comparvero sulle pareti e sul soffitto astri e costellazioni che sembravano cambiare la propria disposizione forse grazie ai braccioli stessi. Travis allora si alzò e tutto tornò buio. A questo punto Travis decise di uscire dalla stanza e incontrò un essere simile a noi ma con gli occhi molto più grandi e di color oro. L’alieno dai grandi occhi sorrise a Walton e lo accompagnò in quello che sembrava un enorme hangar, una specie di parcheggio per dischi volanti simili a quello che lo aveva colpito e rapito. Walton venne poi avvicinato da tre individui, due maschi e una femmina, simili al suo ultimo accompagnatore. Gli alieni gli accostarono al viso una mascherina e lui cade di nuovo in un sonno profondo, svegliandosi all’interno di una cabina telefonica.

Dubbi, sospetti, stranezze

Il racconto ha aperto dibattiti infuocati, polemiche e molti sono i dubbi sulla veridicità della vicenda. Molto hanno fatto parlare, inoltre, le reazioni degli amici di Travis che nel vedere il loro compagno in difficoltà si sono dati alla fuga, una reazione che per alcuni potrebbe essere una normalissima reazione di sopravvivenza, la fuga davanti a un grave pericolo.

Sono strane le reazioni di Travis, un vero leone al cospetto dei suoi compagni boscaioli, si risveglia da uno stato di incoscienza e ingaggia con un cilindro tre esseri alieni che stranamente gli lasciano fare ciò che vuole dopo averlo catturato e stordito.

Walton fu sottoposto alla macchina della verità subito dopo l’incidente, fallendo il primo test. L’esaminatore si dichiarò convinto che Walton mentiva e lo scoprì mentre tratteneva il fiato nel tentativo di “battere la macchina”. I test successivi vennero dichiarati inconcludenti. La polizia come detto si dichiarò subito scettica del caso perché aveva scoperto che, pochi giorni prima del “rapimento”, Walton aveva avvisato la madre che “se fosse stato rapito da un UFO, non si doveva preoccupare perché sarebbe ritornato sano e salvo! Sul luogo del presunto avvistamento non venne, come al solito avviene nei casi UFO, ritrovato nessun segno, né bruciature, né tracce di sangue nonostante Travis fece un volo di dieci metri, nessuna ferita venne ritrovata su di lui. Walton aveva un passato torbido, furti, assegni a vuoto e uno dei testimoni aveva scontato tre anni di carcere per rapina a mano armata.

Interessi

Forse era solo una storia architettata per avere un ritorno economico, infatti Travis “vendette” la storiella a un giornale scandalistico, il National Enquirer per 5.000 dollari tentando poi di vincere un premio di 100.000 dollari per la storia più credibile di UFO messo in palio dallo stesso giornale. Vendette la storia ad altre riviste e a stazioni radiofoniche che potevano vantare cosi di avere il racconto di un giovane che era addirittura riuscito a sfuggire agli alieni.

Dalla sua storia è nato anche un film, bagliori nel buio, un film che non aggiunge nulla ai film sugli UFO ma magari va bene per i palati poco fini dei cultori dell’ufologia.

Il rapimento, dunque, è vero o Travis e i suoi amici si sono inventati tutto?

Come abbiamo detto, un certo ritorno economico e di immagine Travis lo ha avuto ma a parte i suoi fantasiosi racconti non c’è molto da esaminare per capire come stanno le cose, le solite dichiarazioni non verificabili che vanno ad arricchire un fenomeno che non finisce di creare illusioni nei tanti acritici seguaci e cultori del fenomeno UFO.

Una chicca finale che fa capire quanto di poco credibile ci sia nelle parole di Walton, dopo cinque giorni di carenza di nutrimento i livelli di chetoni nel sangue riscontrati nella visita medica avrebbero dovuto essere molto più alti, erano invece nella norma.

 Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

Scoperti batteri che si nutrono di metano sotto la penisola antartica

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Nelle profondità dei ghiacciai del Polo Sud esiste una forma di vita che potrebbe aiutarci a gestire le emissioni di gas a effetto serra. I batteri che vivono là sopravvivono metabolizzando il metano, agendo come un biofiltro fenomenico tra l’ambiente congelato e il resto del pianeta.

Nel 2013, un team internazionale e interdisciplinare di scienziati ha forato per 800 metri lo strato di ghiaccio Antartico, raggiungendo il Lago Whillans. I ricercatori hanno raccolto campioni di acqua e sedimenti isolati dall’atmosfera per molte migliaia di anni. I risultati delle analisi sono stati sono pubblicati su Nature Geoscience .

“A parte l’importanza per il clima globale, è interessante che l’ossidazione del metano potrebbe essere un sistema di sostentamento diffuso tra i batteri che vivono nella biosfera sotto lo strato di ghiaccio antartico occidentale”, afferma Alexander Michaud, dell’Università di Stato del Montana. In un comunicato.

Il gruppo ha esaminato il genoma dei batteri e la concentrazione di metano nel campione. Gli scienziati sospettano che vi sia un grosso deposito di metano  in profondità e pensano che las presenza di questi batteri possa aiutare a prevenire il rilascio di grandi quantità dio questo metano in atmosfera.

Nell’atmosfera c’è meno metano rispetto all’anidride carbonica ma sappiamo che come gas serra il metano ha effetti molto più importanti di quelli dell’anidride carbonica. Negli ultimi 20 anni l’effetto del metano nel riscaldare il pianeta è stato 86 volte più forte di quello della CO2. Molti scienziati sospettano che, in passato, l’improvviso rilascio di grandi quantità di metano nell’atmosfera dalla tundra siberiana sia stato causa di almeno una estinzione di massa.

Questi batteri che vivono nel lago Whillans potrebbero essere la risposta per affrontare un problema del genere.

Per inciso, l’esistenza sulla Terra di batteri in grado di nutrirsi di metano apre delle possibilità interessanti anche per la ricerca della vita sulle lune ricche di metano di Giove e Saturno.

Intanto, per restare sulla Terra, capire dove vi siano grandi depositi sotterranei di metano potrebbe aiutarci a raffinare i nostri modelli climatici e forse anche a trovare modi per migliorare la cattura dei gas a effetto serra.

Una nuova lega di nano alluminio potrebbe fornire celle a idrogeno a richiesta, solo aggiungendo acqua

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La scoperta accidentale di una nuova lega di alluminio che reagisce in modo molto insolito con l’acqua può essere il primo passo per rilanciare l’economia dell’idrogeno. Questa nuova lega potrebbe fornire una fonte idrogeno conveniente e portatile per le celle a combustibile e per altre applicazioni, potenzialmente trasformando il mercato dell’energia e fornendo un’alternativa alle batterie e ai combustibili liquidi.

“L’aspetto importante dell’approccio è che ti consente di creare sistemi molto compatti”, afferma Anthony Kucernak, che studia le celle a combustibile all’Imperial College di Londra e non ha partecipato alla ricerca. “Questo sarebbe molto utile per sistemi che devono essere molto leggeri o operare per lunghi periodi sull’idrogeno, dove l’uso dell’idrogeno immagazzinato in una bombola è proibitivo”.

La scoperta è avvenuta nel mese di gennaio, quando i ricercatori del laboratorio di ricerca dell’esercito americano dell’Aberdeen Proving Ground, nel Maryland, stavano lavorando su una nuova lega ad alta resistenza, afferma il fisico Anit Giri. Quando hanno versato acqua su di esso durante le prove di routine e ha iniziato ad emettere bolle e a produrre idrogeno.

Non si tratta di un fenomeno normale per l’alluminio. Di solito, quando viene esposto all’acqua, si ossida rapidamente, formando una barriera protettiva che mette fine a qualsiasi ulteriore reazione. Ma questa lega continua a reagire.

L’idrogeno è da lungo tempo considerato un carburante pulito e ad impatto zero per l’ambiente ma è difficile immagazzinarlo e spostarlo a causa della sua massa. “Il problema dell’idrogeno è sempre il trasporto e la pressurizzazione”, afferma Giri.

Reazione lenta

Se l’alluminio potesse essere fatto reagire efficacemente con l’acqua, significherebbe poter avere idrogeno su richiesta. A differenza dell’idrogeno, l’alluminio e l’acqua sono facili da trasportare – e entrambi sono stabili. Ma i tentativi precedenti di guidare la reazione richiedevano elevate temperature o catalizzatori e si ottenevano solo reazione lente: per ottenere idrogeno occorrono ore e l’efficacia è circa del 50 per cento.

La nuova lega, di cui si sta registrando il brevetto, è composta di una polvere densa di grani di alluminio su scala micronica e di uno o più altri metalli disposti in una particolare nanostruttura. L’aggiunta di acqua alla miscela produce ossido o idrossido di alluminio e idrogeno, moltissimo idrogeno. “La reazione ottiene risultati eccezionali, con quasi il 100 per cento di efficienza in meno di 3 minuti”, sostiene il team leader Scott Grendahl. Inoltre, il nuovo materiale offre almeno un ordine di grandezza maggiore di energia rispetto alle batterie al litio dello stesso peso. E a differenza delle batterie, può rimanere stabile e pronto per l’uso a tempo indeterminato.

il team di sperimentatori dell’esercito ha utilizzato il materiale per alimentare un piccolo carro armato radio-controllato. Grendahl non vede alcun problema pratico in una produzione più elevata, nell’ordine di centinaia di tonnellate in quanto può essere realizzata utilizzando rottami di alluminio con costi relativamente ridottiIl nuovo materiale potrebbe alimentare di tutto, dai laptop a bus e automobili .

“In linea di principio, il processo dovrebbe funzionare”, dice Robert Steinberger-Wilckens , che dirige un programma di celle a combustibile all’Università di Birmingham, Regno Unito che, però, avverte che sarà necessario effettuare diversi esperimenti per dimostrare che la reazione funziona come dovrebbe. “C’è un sacco di cose che funzionano in laboratorio ma che poi, sul campo, falliscono”.

Una volta esaurita la potenzialità reattiva, la polvere di alluminio potrebbe essere impiegata nella stampa 3D. I ricercatori hanno presentato proposte – ora considerate dall’esercito – per piccoli robot aerei o aerei che utilizzano la propria struttura come carburante. Queste macchine autocannibalizzanti sarebbero utili per le missioni di raccolta di intelligence a senso unico, in grado di funzionare finchè non si saranno completamente esauriti, audistruggendosi senza lasciare traccia.

Articolo originale: newscientist

L’astronauta di Salamanca

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di Oliver Melis per Aenigma

Troppe volte sono state raccolte presunte prove dell’esistenza degli alieni e della loro presenza nel passato della Terra, alieni che si sarebbero mostrati ai nostri antenati e addirittura che ne avrebbero determinato il destino.

Nei primi anni novanta molti erano convinti di aver trovato la prova della loro esistenza, una prova che sarebbe stata difficilmente attaccabile dai soliti scettici che proprio non accettano che piccoli omini verdi, grigi dalla testa a pera o rettili intelligenti facciano parte del passato e del presente dell’umanità.

Ma come dicevamo, nei primi anni novanta, dove meno te lo aspetti, su una delle facciate di una cattedrale, la Catedral Nueva di Salamanca del XVII secolo viene scoperto un bassorilievo che raffigura un astronauta, un essere dalle fattezze umane che indossa una tuta da astronauta, nel XVII secolo… In Spagna.

L’astronauta, scolpito su una facciata secondaria della cattedrale è inserito in un bassorilievo verticale gotico. Il bassorilievo è conosciuto dagli abitanti di Salamanca che ne conoscono i particolari, Un casco, la tuta e degli stivali con la classica suola a carro armato, come quella degli astronauti, il bassorilievo sembra raffigurare proprio un astronauta moderno, di quelli che siamo abituati a vedere fin dalla fine degli anni 50.

Nel 1999 il bassorilievo compare su mensile “Focus” che scrive come il ritrovamento sia una delle tante prove che la Terra sia stata, in passato, visitata da ET.

Il mistero fu svelato dal vicedirettore della rivista spagnola Mas Allà, il quale precisò che tale statuetta non ha nulla a che vedere con le decorazioni originali. Negli anni Ottanta iniziò il restauro della Puerta de Ramos e fu presa la decisione di scolpire nella pietra dei segni che ricordassero anche la nostra epoca, il XX secolo.

I restauratori, inserirono altre figure significative, come la lince iberica, a rischio di estinzione, la cicogna, di cui si celebrava l’anno internazionale, e un vero astronauta, simbolo della moderna era spaziale.

Fonti Centro ufologico di Taranto, Mistero svelato.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

Qualcuno si è perso un satellite

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Un satellite è scomparso, dopo un’anomalia sconosciuta durante un tentativo di spostarlo in una nuova orbita.

EchoStar-3, è un satellite per telecomunicazioni situato in orbita geostazionaria circa 35.000 chilometri sopra la Terra. E ‘gestito dalla società di comunicazione satellitare EchoStar con sede in Colorado, Stati Uniti.

La società ha dichiarato di non essere in grado di comunicare con il satellite. Non è chiaro che cosa sia accaduto esattamente, ma ora stanno lavorando per risolvere il problema. Qualcosa è andato storto ma gli altri satelliti in un’orbita simile non hanno avuto problemi.

“EchoStar è stata messa sotto inchiesta dalla FCC [Federal Communications Commission] e si sta lavorando in collaborazione con con l’azienda che ha costruito il satellite per ristabilire un collegamento affidabile per recuperare e ritirare il mezzo spaziale”, ha detto Derek de Bastos, CEO di EchoStar in una dichiarazione ufficiale. “Nonostante l’anomalia, riteniamo che nell’orbita attuale EchoStar III non presenti una minaccia significativa per i satelliti operativi nell’arco geostazionario”.

Queste sono tutte le informazioni in questo momento disponibili, ma questo post verrà aggiornato non appena arriveranno ulteriori informazioni. EchoStar-3 è stato in orbita per vent’anni ed è stato costruito dalla Lockheed Martin. Tutto questo tempo lo ha trascorso in un’orbita cosiddetta “inclinata”. Ciò significa che non orbita direttamente sopra l’equatore per risparmiare carburante. Rispetto le previsioni, l’operatività di questo satellite è già durata cinque anni più di quanto fosse previsto.

Questo non è il primo satellite ad affrontare problemi di recente. All’inizio di luglio, sembrava che il satellite AMC-9 avesse rotto l’orbita, dopo quella che sembrava un’esplosione. In seguito i suoi frammenti sono stati individuati e non sono previsti danni né in orbita né a Terra.

L’unica certezza che abbiamo è che con tutta la spazzatura spaziale, composta dai resti di tantissimi satelliti non più operativi e le migliaia di satelliti in orbita che nel futuro prossimo andranno fuori servizio, sarà bene cominciare a progettare un sistema per il recupero dei satelliti fuori servizio e per quelli mandati su con tecnologie ormai obsolete.

Finora il rientro della spazzatura spaziale non ha prodotto danni ma non potremmo essere sempre così fortunati.

Sempre più probabile che Venere un tempo fosse coperta da un oceano

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Venere è da tempo considerato un pianeta strettamente imparentato con la Terra. È simile nelle dimensioni, ha un’atmosfera densa e sempre più studi evidenziano un passato in cui era ricco di acqua. Ciò, chiaramente, non implica che Venere sia mai stato un pianeta abitabile ma potrebbe significare che l’acqua potrebbe avere una importanza fondamentale nell’evoluzione dei pianeti rocciosi.

In uno studio pubblicato sul Journal of Geophysical Research Planets , i ricercatori hanno costruito simulazioni dettagliate sull’impatto di gas come il vapore acqueo e l’anidride carbonica su pianeti simili a terra. Cambiando la concentrazione di molecole e la loro distanza dalle stelle, i ricercatori hanno potuto creare un algoritmo semplice per prevedere se un pianeta ha un oceano o no – e Venere sembra adattarsi a questa regola.

Ovviamente, non parliamo del pianeta Venere odierno. Venere oggi è un posto infernale, con 90 atmosfere di pressione sulla sua superficie e una temperatura media di 462 ° C. Queste condizioni sono la conseguenza di un drammatico effetto serra. Tuttavia, Venere era un pianeta molto diverso in passato.

Secondo lo studio, l’antica Venere era abbastanza fredda da sostenere la presenza di acqua allo stato liquido e da avere, probabilmente, un oceano che ne copriva tutta la superficie. Stando ai calcoli effettuati, per sostenere un oceano del genere venere doveva avere una concentrazione di vapore acqueo pari circa al 30 per cento di tutti gli oceani della Terra.

Vapore acqueo e anidride carbonica possono essere stati liberati dalle rocce durante la fase in cui il pianeta era composto da roccia fusa. Con il passare del tempo, il pianeta si raffreddò di un raffreddamento non esattamente lineare, tenendo conto dell’energia fornita al pianeta dal Sole. Questa misura può essere semplificata considerando la distanza del pianeta dal Sole. Questo calore, combinato con la quantità di vapore acqueo e anidride carbonica porta alla formazione di oceani allo stato liquido.

Alcuni studi, basati su simulazioni, suggeriscono che Venere dovrebbe avere avuto un oceano fino a 715 milioni di anni fa ma per il momento non sono disponibili osservazioni in grado di supportare questa ipotesi.

La copertura nuvolosa di Venere è troppo spessa per ottenere immagini dirette e le osservazioni radar della sua superficie non sono molto utili poiché forti eventi vulcanici hanno rimodellato completamente la superficie di Venere rispetto all’epoca in cui il pianeta ospitava un oceano. Saranno necessari ulteriori studi per confermare l’esistenza di un oceano.

Forse miliardi di anni fa, Venere, Terra e Marte avevano un aspetto molto simile tra loro, con molto azzurro dell’acqua sulla propria superficie. Confermare questa supposizione potrebbe aiutarci a capire e a prevenire cosa potrebbe succedere anche alla Terra.

Scoperto in Francia un sobborgo romano risalente al I° secolo

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Un gruppo di archeologi hanno scoperto un antico quartiere romano ben conservato, completo di mosaici e mobili, alla periferia del sobborgo di Sainte-Colombe, una città del sud-est della Francia.

La scoperta è stata fatta nel corso di scavi preventivi per la costruzione di nuovi edifici ed è emerso un sito dall’estensione di oltre 7.000 metri quadrati sulle rive del fiume Rodano, vicino Vienne.
Le autorità francesi hanno classificato il sito come una "scoperta eccezionale".

Parti della città risalgono al primo secolo. L’ottima condizione dei resti è particolarmente sorprendente perché la squadra crede che due incendi distinti abbiano colpito l’antica città nel secondo e terzo secolo d.C..
Gli scavi sono iniziati in aprile e proseguiranno fino a tutto dicembre. Il governo francese ha classificato il ritrovamento come una “scoperta eccezionale”.
Gli archeologi continueranno a raccogliere e a classificare gli artefatti che verranno poi esposti presso il museo di Saint-Romain-en-Gal in apposite mostre previste per il 2019 ed il 2020.

Le fotografie di McMinnville: UFO o bufala?

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di Oliver Melis per Aenigma

Nel maggio 1950 Paul Trent, un contadino che viveva a McMinnville, Oregon, scattò due delle più chiare fotografie nella storia degli UFO. Paul vide un disco volante in lontananza a immediatamente prese la macchina fotografica e scattò due foto. Dai dati che la foto contiene si possono fare due ipotesi, un piccolo oggetto vicino o un grande oggetto in lontananza. Le due immagini vennero analizzate da diversi esperti che, dopo accurati esami, le giudicarono non contraffatte. Le foto furono pubblicate sulla rivista “Life” e la notizia suscitò clamore in tutti gli USA.

Storia

Erano le 7:30 pm del 11 maggio 1950, Evelyn Trent stava camminando verso la sua fattoria, a 9 miglia da McMinnville, in Oregon, dopo aver dato da mangiare ai conigli. Improvvisamente notò in direzione nord-est un oggetto in lento movimento, metallico a forma di disco. Ella urlò al marito, che era all’interno della casa, di venir fuori a vedere anche lui l’oggetto. Il signor Paul Trent dopo un breve periodo di tempo tornò in casa per prendere una macchina fotografica e scattò due foto all’oggetto prima che sparisse (The UFO Book: Encyclopedia of the Extraterrestrial di J.Clark 1998, pg 372).

Cosi diceva nel 1967 William Hartmann, astronomo e investigatore per conto del Comitato Condon , un progetto di ricerca sugli UFO, finanziato dal governo con sede presso l’ Università del Colorado a Boulder: “Questo è uno dei pochi rapporti UFO in cui tutti i fattori indagati, geometrico, psicologico e fisico, sembra essere coerente con l’affermazione che un oggetto volante straordinario, argenteo, metallico, a forma di disco, di decine di metri di diametro, ed evidentemente artificiale, ha volato in vista di due testimoni“.

Anche per il Dr. Bruce Maccabeo, un fisico della Marina degli Stati Uniti ed ufologo, che nel 1975 studiò i negativi dichiarandoli genuini,  le foto mostravano un “vero e proprio, oggetto fisico” nel cielo sopra la fattoria di Trent.

Nel 1980 due scettici UFO, Philip Klass e Robert Sheaffer, sostennero le foto erano state scattate al mattino, piuttosto che in prima serata, come Trents aveva sostenuto, quindi tutta la loro storia appariva sospetta, artefatta, ritenendo che iTrent avessero sospeso il finto “Disco volante” sui fili elettrici visibili nella parte superiore delle foto, e che l’oggetto potesse essere uno specchietto retrovisore.

La faccenda trovò soluzione solo nel 2013, quando tre ricercatori del IPACO pubblicarono un articolo dal titolo: “Back to McMinnville pictures”. Utilizzando software appositi, i tre studiarono le foto del disco volante e le foto fatte per le analisi da François Louange, che in precedenza aveva fatto le analisi dell’immagine per la NASA , l’ Agenzia Spaziale Europea , e la GEIPAN (agenzia spaziale francese) concludendo che per la geometria delle fotografie l’oggetto fotografato era coerente con un piccolo modello a fondo cavo appeso a un filo, mettendo la parola fine, forse, alla vicenda che comunque continua in tanti siti a essere pubblicizzata come storia non smentita.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

La comparsa della vita in un ambiente adatto potrebbe essere inevitabile

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Qualche anno fa, una nuova notevole ipotesi si è fatta strada nello zeitgeist scientifico,  vale a dire, che la vita è una conseguenza inevitabile della fisica. L’autore di questo concetto, un professore associato di biofisica al MIT, Jeremy England, ha pubblicato i primi risultati sperimentali su questa idea e sembra che abbia speso bene il suo denaro.

L’ipotesi di England è basata su un ponte fondamentale tra fisica e biologia. Anche se non è ancora definitivamente dimostrata, potrebbe rivelarsi la chiave per rispondere a una delle maggiori domande che l’uomo si pone: da dove veniamo?

Ecco quello che il suo lavoro sta discutendo. Grazie alla seconda legge della termodinamica, l’universo sta dirigendosi verso uno stato di completo disordine strutturale. Sta rotolando verso uno stato in cui tutto è sostanzialmente lo stesso, non importa come le parti costituenti siano disposte.

Questo è conosciuto come “massima entropia”, dove tutto a livello energetico è equilibrato, ovunque.

Adesso, però, ci sono tasche di ordine, a bassa entropia – oggetti e cose che non possono essere riorganizzate atomicamente e sono ancora la stessa cosa (pianeti e vita, per esempio). Sono le eccezioni di un universo sempre più disordinato, cosa che è stato sottolineata innanzitutto dal saggio esemplare di Schrodinger del 1944, Che cosa è la vita?

Immaginate di versare tre coloranti in una piscina piena d’acqua. Inizialmente, rimangono come punti separati distanti, ma nel tempo i colori si spandono, si mescolano, e alla fine vi sarà un solo colore. Questo è l’universo; I puntini, in questo caso, possono essere tasche di vita biologica.

England ipotizza che la biologia nasce perché, in certi ambienti – come nei pianeti – dove l’equilibrio energetico è così fuori dalla norma, la fisica garantisce che gli atomi si riorganizzino per essere in grado di affrontare il flusso caotico di energia. Queste strutture atomiche finiscono per somigliare a ciò che noi conosciamo come “vita”.

England nel nel 2014 ha dichiarato: “Inizia con un gruppo di atomi a caso e illuminalo. Se lo farai per abbastanza tempo non dovresti trovare sorprendente se, alla lunga, otterrai una pianta.

Utilizzando simulazioni al computer all’avanguardia, England ed i suoi colleghi hanno caricato i composti chimici di base in un ambiente simile a quello di un pianeta e hanno osservato i risultati della simulazione.

La prima pubblicazione, negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, mostra che le interazioni strutturali tra atomi nascono spontaneamente. Importante, gli input e le variabili biologiche – il comportamento delle cellule, la formazione del DNA e così via – non sono stati preprogrammati nelle simulazioni.

Il secondo studio, pubblicato in Physics Review Letters, mostra che quando guidati da una fonte di energia esterna – il Sole, in questo caso – questi atomi si riorganizzano per assorbire e emettere l’energia in modo più efficiente. Insomma, queste strutture hanno cominciato a copiare sè stesse per meglio gestire questo flusso di energia.

Applicando le leggi della fisica, la vita appare e si replica senza bisogno di nient’altro che poche sostanze chimiche fondamentali e il Sole. Così – la domanda più grande di tutti è stata risolta? Forse, ma questa è ancora un’ipotesi nascente, una delle tante.

L’idea di England ha suscitato interesse e critiche, soprattutto per la sua definizione di “vita” che appare ancora un po’ generica e un po’ troppo estensiva. Alcuni suggeriscono che le simulazioni applicate nel lavoro di England siano troppo astratte per potergli applicare il concetto di “vivi”.

Si tratta comunque di un’ipotesi di rilievo, che dimostra chiaramente che un sistema, pur destinato inesorabilmente al totale disordine, se fornito di energia esterna (la luce) tende verso qualcosa che potrebbe essere l’aggiunta più significativa alla teoria evoluzionistica da quando l’opus magnum di Darwin fu rilasciato per la prima volta.