lunedì, Settembre 16, 2024
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Scoperti batteri che si nutrono di metano sotto la penisola antartica

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Nelle profondità dei ghiacciai del Polo Sud esiste una forma di vita che potrebbe aiutarci a gestire le emissioni di gas a effetto serra. I batteri che vivono là sopravvivono metabolizzando il metano, agendo come un biofiltro fenomenico tra l’ambiente congelato e il resto del pianeta.

Nel 2013, un team internazionale e interdisciplinare di scienziati ha forato per 800 metri lo strato di ghiaccio Antartico, raggiungendo il Lago Whillans. I ricercatori hanno raccolto campioni di acqua e sedimenti isolati dall’atmosfera per molte migliaia di anni. I risultati delle analisi sono stati sono pubblicati su Nature Geoscience .

“A parte l’importanza per il clima globale, è interessante che l’ossidazione del metano potrebbe essere un sistema di sostentamento diffuso tra i batteri che vivono nella biosfera sotto lo strato di ghiaccio antartico occidentale”, afferma Alexander Michaud, dell’Università di Stato del Montana. In un comunicato.

Il gruppo ha esaminato il genoma dei batteri e la concentrazione di metano nel campione. Gli scienziati sospettano che vi sia un grosso deposito di metano  in profondità e pensano che las presenza di questi batteri possa aiutare a prevenire il rilascio di grandi quantità dio questo metano in atmosfera.

Nell’atmosfera c’è meno metano rispetto all’anidride carbonica ma sappiamo che come gas serra il metano ha effetti molto più importanti di quelli dell’anidride carbonica. Negli ultimi 20 anni l’effetto del metano nel riscaldare il pianeta è stato 86 volte più forte di quello della CO2. Molti scienziati sospettano che, in passato, l’improvviso rilascio di grandi quantità di metano nell’atmosfera dalla tundra siberiana sia stato causa di almeno una estinzione di massa.

Questi batteri che vivono nel lago Whillans potrebbero essere la risposta per affrontare un problema del genere.

Per inciso, l’esistenza sulla Terra di batteri in grado di nutrirsi di metano apre delle possibilità interessanti anche per la ricerca della vita sulle lune ricche di metano di Giove e Saturno.

Intanto, per restare sulla Terra, capire dove vi siano grandi depositi sotterranei di metano potrebbe aiutarci a raffinare i nostri modelli climatici e forse anche a trovare modi per migliorare la cattura dei gas a effetto serra.

Una nuova lega di nano alluminio potrebbe fornire celle a idrogeno a richiesta, solo aggiungendo acqua

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La scoperta accidentale di una nuova lega di alluminio che reagisce in modo molto insolito con l’acqua può essere il primo passo per rilanciare l’economia dell’idrogeno. Questa nuova lega potrebbe fornire una fonte idrogeno conveniente e portatile per le celle a combustibile e per altre applicazioni, potenzialmente trasformando il mercato dell’energia e fornendo un’alternativa alle batterie e ai combustibili liquidi.

“L’aspetto importante dell’approccio è che ti consente di creare sistemi molto compatti”, afferma Anthony Kucernak, che studia le celle a combustibile all’Imperial College di Londra e non ha partecipato alla ricerca. “Questo sarebbe molto utile per sistemi che devono essere molto leggeri o operare per lunghi periodi sull’idrogeno, dove l’uso dell’idrogeno immagazzinato in una bombola è proibitivo”.

La scoperta è avvenuta nel mese di gennaio, quando i ricercatori del laboratorio di ricerca dell’esercito americano dell’Aberdeen Proving Ground, nel Maryland, stavano lavorando su una nuova lega ad alta resistenza, afferma il fisico Anit Giri. Quando hanno versato acqua su di esso durante le prove di routine e ha iniziato ad emettere bolle e a produrre idrogeno.

Non si tratta di un fenomeno normale per l’alluminio. Di solito, quando viene esposto all’acqua, si ossida rapidamente, formando una barriera protettiva che mette fine a qualsiasi ulteriore reazione. Ma questa lega continua a reagire.

L’idrogeno è da lungo tempo considerato un carburante pulito e ad impatto zero per l’ambiente ma è difficile immagazzinarlo e spostarlo a causa della sua massa. “Il problema dell’idrogeno è sempre il trasporto e la pressurizzazione”, afferma Giri.

Reazione lenta

Se l’alluminio potesse essere fatto reagire efficacemente con l’acqua, significherebbe poter avere idrogeno su richiesta. A differenza dell’idrogeno, l’alluminio e l’acqua sono facili da trasportare – e entrambi sono stabili. Ma i tentativi precedenti di guidare la reazione richiedevano elevate temperature o catalizzatori e si ottenevano solo reazione lente: per ottenere idrogeno occorrono ore e l’efficacia è circa del 50 per cento.

La nuova lega, di cui si sta registrando il brevetto, è composta di una polvere densa di grani di alluminio su scala micronica e di uno o più altri metalli disposti in una particolare nanostruttura. L’aggiunta di acqua alla miscela produce ossido o idrossido di alluminio e idrogeno, moltissimo idrogeno. “La reazione ottiene risultati eccezionali, con quasi il 100 per cento di efficienza in meno di 3 minuti”, sostiene il team leader Scott Grendahl. Inoltre, il nuovo materiale offre almeno un ordine di grandezza maggiore di energia rispetto alle batterie al litio dello stesso peso. E a differenza delle batterie, può rimanere stabile e pronto per l’uso a tempo indeterminato.

il team di sperimentatori dell’esercito ha utilizzato il materiale per alimentare un piccolo carro armato radio-controllato. Grendahl non vede alcun problema pratico in una produzione più elevata, nell’ordine di centinaia di tonnellate in quanto può essere realizzata utilizzando rottami di alluminio con costi relativamente ridottiIl nuovo materiale potrebbe alimentare di tutto, dai laptop a bus e automobili .

“In linea di principio, il processo dovrebbe funzionare”, dice Robert Steinberger-Wilckens , che dirige un programma di celle a combustibile all’Università di Birmingham, Regno Unito che, però, avverte che sarà necessario effettuare diversi esperimenti per dimostrare che la reazione funziona come dovrebbe. “C’è un sacco di cose che funzionano in laboratorio ma che poi, sul campo, falliscono”.

Una volta esaurita la potenzialità reattiva, la polvere di alluminio potrebbe essere impiegata nella stampa 3D. I ricercatori hanno presentato proposte – ora considerate dall’esercito – per piccoli robot aerei o aerei che utilizzano la propria struttura come carburante. Queste macchine autocannibalizzanti sarebbero utili per le missioni di raccolta di intelligence a senso unico, in grado di funzionare finchè non si saranno completamente esauriti, audistruggendosi senza lasciare traccia.

Articolo originale: newscientist

L’astronauta di Salamanca

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di Oliver Melis per Aenigma

Troppe volte sono state raccolte presunte prove dell’esistenza degli alieni e della loro presenza nel passato della Terra, alieni che si sarebbero mostrati ai nostri antenati e addirittura che ne avrebbero determinato il destino.

Nei primi anni novanta molti erano convinti di aver trovato la prova della loro esistenza, una prova che sarebbe stata difficilmente attaccabile dai soliti scettici che proprio non accettano che piccoli omini verdi, grigi dalla testa a pera o rettili intelligenti facciano parte del passato e del presente dell’umanità.

Ma come dicevamo, nei primi anni novanta, dove meno te lo aspetti, su una delle facciate di una cattedrale, la Catedral Nueva di Salamanca del XVII secolo viene scoperto un bassorilievo che raffigura un astronauta, un essere dalle fattezze umane che indossa una tuta da astronauta, nel XVII secolo… In Spagna.

L’astronauta, scolpito su una facciata secondaria della cattedrale è inserito in un bassorilievo verticale gotico. Il bassorilievo è conosciuto dagli abitanti di Salamanca che ne conoscono i particolari, Un casco, la tuta e degli stivali con la classica suola a carro armato, come quella degli astronauti, il bassorilievo sembra raffigurare proprio un astronauta moderno, di quelli che siamo abituati a vedere fin dalla fine degli anni 50.

Nel 1999 il bassorilievo compare su mensile “Focus” che scrive come il ritrovamento sia una delle tante prove che la Terra sia stata, in passato, visitata da ET.

Il mistero fu svelato dal vicedirettore della rivista spagnola Mas Allà, il quale precisò che tale statuetta non ha nulla a che vedere con le decorazioni originali. Negli anni Ottanta iniziò il restauro della Puerta de Ramos e fu presa la decisione di scolpire nella pietra dei segni che ricordassero anche la nostra epoca, il XX secolo.

I restauratori, inserirono altre figure significative, come la lince iberica, a rischio di estinzione, la cicogna, di cui si celebrava l’anno internazionale, e un vero astronauta, simbolo della moderna era spaziale.

Fonti Centro ufologico di Taranto, Mistero svelato.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

Qualcuno si è perso un satellite

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Un satellite è scomparso, dopo un’anomalia sconosciuta durante un tentativo di spostarlo in una nuova orbita.

EchoStar-3, è un satellite per telecomunicazioni situato in orbita geostazionaria circa 35.000 chilometri sopra la Terra. E ‘gestito dalla società di comunicazione satellitare EchoStar con sede in Colorado, Stati Uniti.

La società ha dichiarato di non essere in grado di comunicare con il satellite. Non è chiaro che cosa sia accaduto esattamente, ma ora stanno lavorando per risolvere il problema. Qualcosa è andato storto ma gli altri satelliti in un’orbita simile non hanno avuto problemi.

“EchoStar è stata messa sotto inchiesta dalla FCC [Federal Communications Commission] e si sta lavorando in collaborazione con con l’azienda che ha costruito il satellite per ristabilire un collegamento affidabile per recuperare e ritirare il mezzo spaziale”, ha detto Derek de Bastos, CEO di EchoStar in una dichiarazione ufficiale. “Nonostante l’anomalia, riteniamo che nell’orbita attuale EchoStar III non presenti una minaccia significativa per i satelliti operativi nell’arco geostazionario”.

Queste sono tutte le informazioni in questo momento disponibili, ma questo post verrà aggiornato non appena arriveranno ulteriori informazioni. EchoStar-3 è stato in orbita per vent’anni ed è stato costruito dalla Lockheed Martin. Tutto questo tempo lo ha trascorso in un’orbita cosiddetta “inclinata”. Ciò significa che non orbita direttamente sopra l’equatore per risparmiare carburante. Rispetto le previsioni, l’operatività di questo satellite è già durata cinque anni più di quanto fosse previsto.

Questo non è il primo satellite ad affrontare problemi di recente. All’inizio di luglio, sembrava che il satellite AMC-9 avesse rotto l’orbita, dopo quella che sembrava un’esplosione. In seguito i suoi frammenti sono stati individuati e non sono previsti danni né in orbita né a Terra.

L’unica certezza che abbiamo è che con tutta la spazzatura spaziale, composta dai resti di tantissimi satelliti non più operativi e le migliaia di satelliti in orbita che nel futuro prossimo andranno fuori servizio, sarà bene cominciare a progettare un sistema per il recupero dei satelliti fuori servizio e per quelli mandati su con tecnologie ormai obsolete.

Finora il rientro della spazzatura spaziale non ha prodotto danni ma non potremmo essere sempre così fortunati.

Sempre più probabile che Venere un tempo fosse coperta da un oceano

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Venere è da tempo considerato un pianeta strettamente imparentato con la Terra. È simile nelle dimensioni, ha un’atmosfera densa e sempre più studi evidenziano un passato in cui era ricco di acqua. Ciò, chiaramente, non implica che Venere sia mai stato un pianeta abitabile ma potrebbe significare che l’acqua potrebbe avere una importanza fondamentale nell’evoluzione dei pianeti rocciosi.

In uno studio pubblicato sul Journal of Geophysical Research Planets , i ricercatori hanno costruito simulazioni dettagliate sull’impatto di gas come il vapore acqueo e l’anidride carbonica su pianeti simili a terra. Cambiando la concentrazione di molecole e la loro distanza dalle stelle, i ricercatori hanno potuto creare un algoritmo semplice per prevedere se un pianeta ha un oceano o no – e Venere sembra adattarsi a questa regola.

Ovviamente, non parliamo del pianeta Venere odierno. Venere oggi è un posto infernale, con 90 atmosfere di pressione sulla sua superficie e una temperatura media di 462 ° C. Queste condizioni sono la conseguenza di un drammatico effetto serra. Tuttavia, Venere era un pianeta molto diverso in passato.

Secondo lo studio, l’antica Venere era abbastanza fredda da sostenere la presenza di acqua allo stato liquido e da avere, probabilmente, un oceano che ne copriva tutta la superficie. Stando ai calcoli effettuati, per sostenere un oceano del genere venere doveva avere una concentrazione di vapore acqueo pari circa al 30 per cento di tutti gli oceani della Terra.

Vapore acqueo e anidride carbonica possono essere stati liberati dalle rocce durante la fase in cui il pianeta era composto da roccia fusa. Con il passare del tempo, il pianeta si raffreddò di un raffreddamento non esattamente lineare, tenendo conto dell’energia fornita al pianeta dal Sole. Questa misura può essere semplificata considerando la distanza del pianeta dal Sole. Questo calore, combinato con la quantità di vapore acqueo e anidride carbonica porta alla formazione di oceani allo stato liquido.

Alcuni studi, basati su simulazioni, suggeriscono che Venere dovrebbe avere avuto un oceano fino a 715 milioni di anni fa ma per il momento non sono disponibili osservazioni in grado di supportare questa ipotesi.

La copertura nuvolosa di Venere è troppo spessa per ottenere immagini dirette e le osservazioni radar della sua superficie non sono molto utili poiché forti eventi vulcanici hanno rimodellato completamente la superficie di Venere rispetto all’epoca in cui il pianeta ospitava un oceano. Saranno necessari ulteriori studi per confermare l’esistenza di un oceano.

Forse miliardi di anni fa, Venere, Terra e Marte avevano un aspetto molto simile tra loro, con molto azzurro dell’acqua sulla propria superficie. Confermare questa supposizione potrebbe aiutarci a capire e a prevenire cosa potrebbe succedere anche alla Terra.

Scoperto in Francia un sobborgo romano risalente al I° secolo

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Un gruppo di archeologi hanno scoperto un antico quartiere romano ben conservato, completo di mosaici e mobili, alla periferia del sobborgo di Sainte-Colombe, una città del sud-est della Francia.

La scoperta è stata fatta nel corso di scavi preventivi per la costruzione di nuovi edifici ed è emerso un sito dall’estensione di oltre 7.000 metri quadrati sulle rive del fiume Rodano, vicino Vienne.
Le autorità francesi hanno classificato il sito come una "scoperta eccezionale".

Parti della città risalgono al primo secolo. L’ottima condizione dei resti è particolarmente sorprendente perché la squadra crede che due incendi distinti abbiano colpito l’antica città nel secondo e terzo secolo d.C..
Gli scavi sono iniziati in aprile e proseguiranno fino a tutto dicembre. Il governo francese ha classificato il ritrovamento come una “scoperta eccezionale”.
Gli archeologi continueranno a raccogliere e a classificare gli artefatti che verranno poi esposti presso il museo di Saint-Romain-en-Gal in apposite mostre previste per il 2019 ed il 2020.

Le fotografie di McMinnville: UFO o bufala?

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di Oliver Melis per Aenigma

Nel maggio 1950 Paul Trent, un contadino che viveva a McMinnville, Oregon, scattò due delle più chiare fotografie nella storia degli UFO. Paul vide un disco volante in lontananza a immediatamente prese la macchina fotografica e scattò due foto. Dai dati che la foto contiene si possono fare due ipotesi, un piccolo oggetto vicino o un grande oggetto in lontananza. Le due immagini vennero analizzate da diversi esperti che, dopo accurati esami, le giudicarono non contraffatte. Le foto furono pubblicate sulla rivista “Life” e la notizia suscitò clamore in tutti gli USA.

Storia

Erano le 7:30 pm del 11 maggio 1950, Evelyn Trent stava camminando verso la sua fattoria, a 9 miglia da McMinnville, in Oregon, dopo aver dato da mangiare ai conigli. Improvvisamente notò in direzione nord-est un oggetto in lento movimento, metallico a forma di disco. Ella urlò al marito, che era all’interno della casa, di venir fuori a vedere anche lui l’oggetto. Il signor Paul Trent dopo un breve periodo di tempo tornò in casa per prendere una macchina fotografica e scattò due foto all’oggetto prima che sparisse (The UFO Book: Encyclopedia of the Extraterrestrial di J.Clark 1998, pg 372).

Cosi diceva nel 1967 William Hartmann, astronomo e investigatore per conto del Comitato Condon , un progetto di ricerca sugli UFO, finanziato dal governo con sede presso l’ Università del Colorado a Boulder: “Questo è uno dei pochi rapporti UFO in cui tutti i fattori indagati, geometrico, psicologico e fisico, sembra essere coerente con l’affermazione che un oggetto volante straordinario, argenteo, metallico, a forma di disco, di decine di metri di diametro, ed evidentemente artificiale, ha volato in vista di due testimoni“.

Anche per il Dr. Bruce Maccabeo, un fisico della Marina degli Stati Uniti ed ufologo, che nel 1975 studiò i negativi dichiarandoli genuini,  le foto mostravano un “vero e proprio, oggetto fisico” nel cielo sopra la fattoria di Trent.

Nel 1980 due scettici UFO, Philip Klass e Robert Sheaffer, sostennero le foto erano state scattate al mattino, piuttosto che in prima serata, come Trents aveva sostenuto, quindi tutta la loro storia appariva sospetta, artefatta, ritenendo che iTrent avessero sospeso il finto “Disco volante” sui fili elettrici visibili nella parte superiore delle foto, e che l’oggetto potesse essere uno specchietto retrovisore.

La faccenda trovò soluzione solo nel 2013, quando tre ricercatori del IPACO pubblicarono un articolo dal titolo: “Back to McMinnville pictures”. Utilizzando software appositi, i tre studiarono le foto del disco volante e le foto fatte per le analisi da François Louange, che in precedenza aveva fatto le analisi dell’immagine per la NASA , l’ Agenzia Spaziale Europea , e la GEIPAN (agenzia spaziale francese) concludendo che per la geometria delle fotografie l’oggetto fotografato era coerente con un piccolo modello a fondo cavo appeso a un filo, mettendo la parola fine, forse, alla vicenda che comunque continua in tanti siti a essere pubblicizzata come storia non smentita.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

La comparsa della vita in un ambiente adatto potrebbe essere inevitabile

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Qualche anno fa, una nuova notevole ipotesi si è fatta strada nello zeitgeist scientifico,  vale a dire, che la vita è una conseguenza inevitabile della fisica. L’autore di questo concetto, un professore associato di biofisica al MIT, Jeremy England, ha pubblicato i primi risultati sperimentali su questa idea e sembra che abbia speso bene il suo denaro.

L’ipotesi di England è basata su un ponte fondamentale tra fisica e biologia. Anche se non è ancora definitivamente dimostrata, potrebbe rivelarsi la chiave per rispondere a una delle maggiori domande che l’uomo si pone: da dove veniamo?

Ecco quello che il suo lavoro sta discutendo. Grazie alla seconda legge della termodinamica, l’universo sta dirigendosi verso uno stato di completo disordine strutturale. Sta rotolando verso uno stato in cui tutto è sostanzialmente lo stesso, non importa come le parti costituenti siano disposte.

Questo è conosciuto come “massima entropia”, dove tutto a livello energetico è equilibrato, ovunque.

Adesso, però, ci sono tasche di ordine, a bassa entropia – oggetti e cose che non possono essere riorganizzate atomicamente e sono ancora la stessa cosa (pianeti e vita, per esempio). Sono le eccezioni di un universo sempre più disordinato, cosa che è stato sottolineata innanzitutto dal saggio esemplare di Schrodinger del 1944, Che cosa è la vita?

Immaginate di versare tre coloranti in una piscina piena d’acqua. Inizialmente, rimangono come punti separati distanti, ma nel tempo i colori si spandono, si mescolano, e alla fine vi sarà un solo colore. Questo è l’universo; I puntini, in questo caso, possono essere tasche di vita biologica.

England ipotizza che la biologia nasce perché, in certi ambienti – come nei pianeti – dove l’equilibrio energetico è così fuori dalla norma, la fisica garantisce che gli atomi si riorganizzino per essere in grado di affrontare il flusso caotico di energia. Queste strutture atomiche finiscono per somigliare a ciò che noi conosciamo come “vita”.

England nel nel 2014 ha dichiarato: “Inizia con un gruppo di atomi a caso e illuminalo. Se lo farai per abbastanza tempo non dovresti trovare sorprendente se, alla lunga, otterrai una pianta.

Utilizzando simulazioni al computer all’avanguardia, England ed i suoi colleghi hanno caricato i composti chimici di base in un ambiente simile a quello di un pianeta e hanno osservato i risultati della simulazione.

La prima pubblicazione, negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, mostra che le interazioni strutturali tra atomi nascono spontaneamente. Importante, gli input e le variabili biologiche – il comportamento delle cellule, la formazione del DNA e così via – non sono stati preprogrammati nelle simulazioni.

Il secondo studio, pubblicato in Physics Review Letters, mostra che quando guidati da una fonte di energia esterna – il Sole, in questo caso – questi atomi si riorganizzano per assorbire e emettere l’energia in modo più efficiente. Insomma, queste strutture hanno cominciato a copiare sè stesse per meglio gestire questo flusso di energia.

Applicando le leggi della fisica, la vita appare e si replica senza bisogno di nient’altro che poche sostanze chimiche fondamentali e il Sole. Così – la domanda più grande di tutti è stata risolta? Forse, ma questa è ancora un’ipotesi nascente, una delle tante.

L’idea di England ha suscitato interesse e critiche, soprattutto per la sua definizione di “vita” che appare ancora un po’ generica e un po’ troppo estensiva. Alcuni suggeriscono che le simulazioni applicate nel lavoro di England siano troppo astratte per potergli applicare il concetto di “vivi”.

Si tratta comunque di un’ipotesi di rilievo, che dimostra chiaramente che un sistema, pur destinato inesorabilmente al totale disordine, se fornito di energia esterna (la luce) tende verso qualcosa che potrebbe essere l’aggiunta più significativa alla teoria evoluzionistica da quando l’opus magnum di Darwin fu rilasciato per la prima volta.

L’UE condanna il Giappone per la nuova campagna di caccia alla balena nel Pacifico settentrionale

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Nonostante la forte opposizione internazionale e una moratoria globale per porre fine alla pratica, il governo giapponese insiste ancora sulla caccia alla balena. Mentre il Giappone decide di iniziare la caccia alle balene nel Pacifico settentrionale, l’Unione europea ha rilasciato una lettera formale alla International Whaling Commission (IWC) che condanna la mossa.

Anche se la Whaling Convention, istituita nel 1985,  ha reso illegale la caccia alla balena, il Giappone non ha mai cessato la sua attività. La convenzione, infatti, lascia aperta una scappatoia in una postilla che afferma che le balene possono essere catturate per scopi di ricerca scientifica, permettendo al Giappone di ignorare in gran parte la sentenza internazionale, pur riducendo notevolmente il numero di esemplari abbattuti ogni anno.

Questo ha portato a feroci dispute,  non solo con i gruppi ambientalisti, ma anche con molti governi. Questo è dovuto al fatto che il Giappone conduce spesso la caccia alla balena in acque antartiche protette dall’Australia. Molte azioni legali sono state portate contro il Giappone che è stato persino deferito alla Corte Internazionale di Giustizia nel 2014. Questo tribunale ha sentenziato che il programma delle baleniere giapponese JARPA II non aveva scopi scientifici.

In risposta a tale sentenza, il Giappone ha abbandonato lo JARPA II, adottando un nuovo programma, lo NEWREP-A. Quest’anno la flotta di baleniere giapponese ha catturato 333 balene nelle acque antartiche e programma di catturarne altre 134 nel Pacifico settentrionale.

In risposta, i 25 Stati membri dell’UE che hanno firmato la convenzione contro la caccia alle balene hanno espresso un forte rammarico per l’azione giapponese svolta unilateralmente anche se le regole concordate recentemente avevano stabilito che tutti i nuovi programmi a carattere scientifico sarebbero dovuti essere esaminati dall’IWC.

Apprezziamo l’UE per aver preso questa posizione importante e invitiamo gli altri governi firmatari dell’IWC ad aggiungere le loro voci all’invito al Giappone di fermare la sua caccia alla balena “scientifica” nel Pacifico settentrionale“, ha dichiarato Clare Perry, resposabile della campagna oceanografica dell’Agenzia per l’Investigazione Ambientale, in una dichiarazione . “Questa caccia, troppo spesso ignorata, non è solo insostenibile, ma è in contrasto con il diritto internazionale“.

È importante notare qui che il Giappone non è in l’unico stato  a continuare a caccia alle balene. L’UE, infatti,  dovrebbe anche guardare bene in casa propria, visto che quest’anno la Norvegia ha fissato una quota di 999 balene come obbiettivo di caccia, di cui il 90 per cento dovrebbero essere femmine incinte.

C’è vita nel cosmo?

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

Probabilmente la vita elementare nel cosmo esiste, sulla Terra appena ha avuto la possibilità di svilupparsi lo ha fatto, esistono centinaia di miliardi di stelle nella nostra galassia e centinaia di miliardi di galassie nell’universo. Ma la vita intelligente in grado di sviluppare una civiltà tecnologica in grado di viaggiare nel cosmo esiste ora? E’ esistita in passato o esisterà, forse, in futuro? Se diamo credito ai tanti avvistamenti UFO che vengono etichettati come alieni, essi sono già tra noi, interagiscono con alcuni di noi e hanno magari colonie sul nostro pianeta e nel sistema solare. Ma possiamo prendere per certe le informazioni che ci giungono da giornali, riviste e siti internet? Decisamente no. Perché?

Perché come abbiamo spesso visto, al netto delle bufale e del 95% dei casi che spieghiamo come IFO, il restante 5% sono casi UFO nel senso lato della parola, non identificati per mancanza di dati.

In genere i casi che raccontano di esseri extraterrestri, lo fanno seguendo uno stereotipo che li raffigura simili a noi, una testa, due braccia e due gambe, postura eretta e organi di senso simili ai nostri, pochi incontri ravvicinati del IV tipo differiscono da questo esempio.

Se guardiamo le statistiche degli avvistamenti notiamo che comunque in varie parti del mondo si segnala la presenza di UFO che possono presentarsi da soli, in formazione, possono essere visti volare o addirittura al suolo. Sembra, sempre ascoltando le dichiarazioni dei più convinti assertori della presenza aliena sulla Terra, che sia molto facile raggiungere il nostro pianeta, ma è veramente cosi?

Ci siamo affacciati fuori dal nostro pianeta da poco, solo nel ’57 del secolo scorso siamo riusciti a far orbitare un essere umano attorno alla Terra e dodici anni dopo abbiamo mandato tre uomini sulla Luna di cui due sono riusciti ad allunare con successo. Ma la Luna è vicina, la luce ci mette poco più di un secondo per raggiungerla, ma noi purtroppo siamo incapaci di spostarci a velocità cosi elevate, anche solo a una percentuale apprezzabile, ci vuole molta energia per farlo e noi attualmente possiamo sfruttare solo quella delle reazioni chimiche che avvengono nelle camere di combustione dei nostri razzi. Si può fare di meglio? Forse, visto che siamo agli inizi, probabilmente ci sono metodi più efficaci per viaggiare nel cosmo e se abbiamo iniziato noi, magari qualcuno là fuori ha iniziato prima e usa sistemi più efficaci dei nostri.

Nonostante siamo degli esordienti totali come viaggiatori tra le stelle, le cose che abbiamo scoperto non sono ne poche nè trascurabili. Sappiamo che ci sono migliaia di pianeti la fuori, di cui tanti nella cosiddetta fascia abitabile, cioè quella zona che consente la presenza di acqua liquida e temperature accettabili al mantenimento della vita. Sappiamo anche che oltre alla propulsione chimica esiste quella nucleare che utilizziamo nelle navi portaerei e nei sommergibili e per produrre elettricità.

Sappiamo come costruire un reattore atomico e lo abbiamo fatto già nel 1942 e negli anni sessanta furono fatti dei test su motori a propulsione nucleare che diedero delle risposte buone, sicuramente davano una spinta maggiore e utilizzavano solo l’idrogeno ma erano, e sono, pericolosi e non possiamo certamente utilizzarli sul Pianeta alla partenza ma nello spazio con opportuni schermi, guadagnando un po’ di velocità in più rispetto ai razzi chimici, ma questa maggiore velocità non basta, anche se gli alieni avessero perfezionato i razzi atomici, sarebbero comunque confinati nel loro sistema e, se fossero lontani non potrebbero mandare nemmeno una sonda.

Ci sono altre possibilità: la fusione nucleare ad esempio, stiamo costruendo macchine in grado di avviarla per pochi secondi e magari tra qualche anno potremo usarla come mezzo di propulsione. La fusione nucleare utilizza un plasma di idrogeno o deuterio che viene riscaldato a milioni di gradi e contenuto da un campo magnetico potentissimo, un piccolo Sole che se acceso potrebbe darci molta energia, più di quella spesa per accenderlo. Siamo lontani ancora dal break even energetico ma magari tra qualche anno riusciremo a perfezionare la macchina e usarla come mezzo di propulsione spaziale, il carburante è il comunissimo idrogeno, l’elemento più presente in assoluto nel cosmo. Un motore del genere ci darebbe più velocità, forse dell’ordine di decine o centinaia di chilometri al secondo, molto rispetto ai razzi chimici ma poco per poterli usare per viaggiare verso la stella più vicina, distante 4,3 anni luce.

Altri metodi? Qui ci imbarchiamo in un viaggio che rasenta la fantascienza ma forse un altro metodo esiste, l’annichilazione materia – antimateria. L’antimateria è speculare alla materia e non ne è rimasta dopo la nascita dell’universo, o almeno noi non l’abbiamo ancora trovata, ma possiamo crearla, abbiamo i mezzi per farlo. Problema risolto? Magari, occorre, infatti, raffreddare un po’ gli entusiasmi, produrre antimateria costa e ne possiamo produrre pochi atomi negli acceleratori di particelle e mantenerle lontane dalla materia in modo che non scompaiano in un’esplosione di luce è difficile, per produrne una quantità accettabile, oggi occorrerebbero decenni e un sacco di soldi. Poi non abbiamo la più pallida idea di come costruire un reattore e gestire le radiazioni, un metodo del genere ha una resa del 100% tutta la massa materia antimateria verrebbe convertita in energia da usare nella propulsione ma ripeto, sono solo teorie, nessuno sa come costruire un motore del genere e regolarne la spinta perché le strutture di una ipotetica nave potrebbero andare in pezzi a causa di una eccessiva accelerazione e i corpi degli astronauti non ne potrebbero sopportare poi molta.

Saremo comunque confinati a velocità sub luce anche perché c’è da aggiungere che se ci muovessimo ad una velocità prossima a quella della luce le radiazioni stellari che ci venissero incontro si sposterebbero nello spettro dei raggi X e la nave dovrebbe avere degli scudi potenti e pesanti. Altro problema, se un piccolo detrito colpisse un’astronave ad una velocità prossima ai 300.000 Km al secondo, sfonderebbe qualsiasi scudo e la missione fallirebbe miseramente.

Potremo sfruttare i buchi neri che, secondo alcuni conterrebbero dei passaggi per altre porzioni di cosmo, ma bisognerebbe prima raggiungerli, avvicinarli e cercare l’ingresso, ammesso ci sia, perché se non c’è e con una ipotetica nave varchiamo l’orizzonte degli eventi possiamo anche dire addio a tutti, verremo inesorabilmente attratti e distrutti dalla immensa forza gravitazionale dell’oggetto.

Altri metodi? Si, ce ne sono che hanno anche delle basi teoriche matematiche come quello ideato da uno scienziato che vorrebbe comprimere lo spazio davanti alla nave spaziale e dilatarlo dietro, detta cosi sembra semplice ma l’energia occorrente, l’energia oscura che sembrerebbe permeare l’universo e dilatarlo a velocità superiori a quelle della luce non sappiamo se esista veramente e il fenomeno è fondamentalmente legato allo spaziotempo stesso, che secondo i modelli accettati si è espanso a velocità superiori a C in passato, ma come per le altre idee non sappiamo in che modo far funzionare una nave del genere.

Fin qui non abbiamo tenuto conto di quanto detto da Albert Einstein e della relatività. Se ci muovessimo a velocità prossime a C il nostro tempo rallenterebbe e magari faremo un lungo viaggio in pochi giorni ma sulla Terra passerebbero decenni o secoli, viaggi del genere sarebbero di sola andata magari per impiantare colonie in mondi lontani.

E gli UFO? Fossero alieni sarebbe impossibile nasconderlo all’opinione pubblica per molto tempo, a conti fatti sono una delle tante leggende inventate dall’uomo e l’uomo inventa di tutto e travisa tante cose, per ignoranza e per occasione, fa comodo a tanti che milioni di persone credano che gli alieni siano qui, ci osservino, ci studino e magari ci controllino, secondo alcuni lo farebbero da decenni, forse da secoli o addirittura da millenni e avrebbero interferito nell’evoluzione della specie umana… Sarebbero tecnologicamente superiori ma si lascerebbero trovare dal primo che passa.

Stiamo ascoltando le trasmissioni radio dallo spazio da anni ma a parte qualche segnale dubbio il resto è cacofonia inintelleggibile. Ci fossero tante civiltà come il via vai di UFO vorrebbe dimostrare, qualcosa avremmo sentito. Che abbiano altri metodi di trasmissione? Improbabile che siano tutti allo stesso livello e noi gli ultimi a giocare con le umili onde radio invece che usare i laser, le onde gravitazionali o i neutrini. Questi ultimi metodi sono ipotetici, ma le onde radio sono comuni e facili da utilizzare e direzionare e una civiltà superiore dovrebbe saperlo.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata