lunedì, Aprile 28, 2025
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Individuato un pianeta “Proibito” nella zona nota come “deserto nettuniano”

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Una nuova ricerca, guidata dal dott. Richard West e dal gruppo di astronomia e astrofisica dell’Università di Warwick, ha identificato un pianeta canaglia. NGTS-4b, anche soprannominato ‘The Forbidden Planet‘ dai ricercatori, è un pianeta più piccolo di Nettuno ma tre volte più grande della Terra.

È grande 20 masse terrestri ed ha un raggio inferiore del 20% rispetto a Nettuno e la sua temperatura media dovrebbe essere sui 1000 gradi Celsius. Orbita attorno alla sua stella in soli 1,3 giorni.

È il primo pianeta extrasolare del suo genere ad essere stato trovato nel deserto nettuniano.

Il deserto nettuniano è una regione prossima alle stelle dove si riteneva non si potessero trovare pianeti delle dimensioni di Nettuno. Questa zona riceve una forte irradiazione dalla sua stella, il che significa che i pianeti non mantengono la loro atmosfera gassosa che evapora lasciando solo un nucleo roccioso. Tuttavia NGTS-4b ha ancora la sua atmosfera di gas.

Per trovare nuovi pianeti, gli astronomi cercano i cali della luminosità di una stella: quando il pianeta nella sua orbita si trova a passare tra la stella e la Terra ne blocca parzialmente la luce, provocando un calo della luminosità. I sistemi di individuazione di solito possono individuare cali almeno dell’1% ma i telescopi NGTS possono registrare cali di luminosità di appena lo 0,2%.

I ricercatori ritengono che il pianeta possa essersi trasferito nella zona chiamata “Deserto Nettuniano” solo nell’ultimo milione di anni e questo giustificherebbe il fatto che ha ancora la sua atmosfera che, comunque, starebbe evaporando.

Il Dr. Richard West, del Dipartimento di Fisica dell’Università di Warwick, ha così commentato: “Questo pianeta si trova proprio nella zona in cui pensavamo che delle dimensioni Nettuno non potessero stare. È davvero straordinario che abbiamo trovato un pianeta in transito davanti ad una stella con oscillazioni luminose di meno dello 0,2%, una cosa che non era mai successa con telescopi basati sulla superficie della Terra ed è stato fantastico trovarlo dopo aver lavorato a questo progetto per un anno.”

Ora stiamo setacciando i dati per vedere se possiamo individuare altri pianeti nel deserto di Nettuno, forse si tratta di un deserto più verde di quanto si pensasse una volta.”

Ulteriori informazioni: Richard G West et al, NGTS-4b: A sub-Neptune transiting in the desert, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (2019). DOI: 10.1093/mnras/stz1084
Fonte: Phys.org

Incontri inspiegati nel cielo

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di Oliver Melis

Il 6 gennaio 1995, avvenne un incontro molto particolare tra un jet della British Airways con 60 passeggeri a bordo e un oggetto volante illuminato a forma triangolare e rimasto non identificato a una quota di 13.000 piedi sopra i Pennines. Al comando del jet passeggeri c’era il capitano Roger Wills, assistito dal co-pilota Mark Stuart.

Iniziarono la discesa verso l’aeroporto di Manchester con un Boeing 737, quando diciassette minuti prima del contatto con la pista, un oggetto misterioso balenò sul il lato destro del velivolo a una distanza descritta come “molto vicina”. Così vicino, che l’equipaggio si “abbassò” sui posti di pilotaggio mentre l’oggetto li superava. Un controllo immediato con il controllo del traffico aereo a Ringway confermò che nulla era stato rilevato sul radar, tranne che per il 737 stesso.

L’equipaggio del volo BA 5601 non ha riportato l’incidente ai propri colleghi; tuttavia, la direzione di British Airways è stata infine informata di ciò che era accaduto. In linea con le procedure stabilite, un rapporto, completo di schizzi dell’UFO, è stato inviato al Joint Air Miss Working Group, una parte dell’Autorità per l’aviazione civile.

Le dichiarazioni del portavoce della CAA affermano che qualsiasi suggerimento che l’oggetto fosse un UFO sarebbe stato “puramente speculativo“, aggiungendo che l’inchiesta poteva durare fino a sei mesi.
Il portavoce ha dichiarato inoltre alla stampa: “Una percentuale molto piccola di situazioni near miss che coinvolgono velivoli non tracciati rimane irrisolta.”

In questo caso però si fa un errore concettuale, gli UFO sono letteralmente da intendere come oggetti volanti non identificati, quindi definire un qualcosa di sconosciuto UFO in realtà non è una speculazione. Solo chi associa gli UFO agli extraterrestri specula, spesso sul nulla.
Un membro dell’equipaggio ha detto: “Sono ragazzi preparati e sensibili. Tutti parlano di ciò che hanno visto ed è giusto che venga segnalato, così gli esperti possono provare a stabilire di cosa si trattava. ”

All’epoca dei fatti ci fu l’interessamento di un giornalista che contattò il Ministero della Difesa britannico per un commento. Il loro portavoce, Kerry Philpott, fece la seguente dichiarazione: “A titolo di routine, il Ministero della Difesa è stato notificato dall’Autorità per l’aviazione civile del rapporto redatto dai piloti della British Airways il 6 gennaio. Ho consultato esperti del Dipartimento con responsabilità in materia di difesa aerea, che hanno confermato di non essere a conoscenza di prove che indichino che le nostre difese aeree sono state violate. Poiché questa è la nostra unica preoccupazione, l’interesse del MOD in questo particolare incidente si è concluso. Nessuna informazione successiva è arrivata alla nostra attenzione, il che suggerirebbe che la valutazione originale era errata. L’incidente del 6 gennaio rimane una questione per il CAA. ”

All’inizio del 1996, l’Autorità per l’aviazione civile pubblicò le sue conclusioni sul caso.

Il primo ufficiale riferisce che la sua attenzione, inizialmente concentrata sullo scudo antiabbagliante di fronte a lui, è stata deviata verso qualcosa nella sua visione periferica. Alzò lo sguardo in tempo per vedere un oggetto oscuro passare lungo il lato destro dell’aereo ad alta velocità; era a forma di cuneo con quella che avrebbe potuto essere una striscia nera sul lato.
“Stimò che le dimensioni dell’oggetto fossero da qualche parte tra quelle di un aereo leggero e di un Jetstream, anche se sottolineò che si trattava di pura speculazione. Non ha fatto alcun tentativo di deviare dal suo corso e nessun suono è stato ascoltato o sentito sentire. Era certo che ciò che vedeva fosse un oggetto solido, non un uccello, un pallone o un aquilone.”

Con una varietà di suggerimenti convenzionali trovati mancanti, il CAA Working Group ha concluso:

Avendo esaminato a fondo le varie ipotesi il Gruppo ha concluso che, in assenza di prove concrete che potessero identificare o spiegare questo oggetto, non è stato possibile valutare né la causa né il rischio rispetto a uno qualsiasi dei normali criteri applicabili alle segnalazioni di airmiss. L’incidente rimane quindi irrisolto.”

Sicuramente il caso irrisolto ha fatto sobbalzare sulla sedia più di un ufologo e in tanti in passato hanno strumentalizzato casi simili, casi al limite perché i piloti, benché preparati e allenati, sono pur sempre esseri umani e non sono in grado di valutare situazioni del genere, fatti che accadono in una frazione di secondo rimangono perciò non identificati e appartengono a quella percentuale di casi UFO non spiegati che da un lato vengono usati per portare acqua al mulino di chi crede che siano oggetti extraterrestri e dall’altro dimostrano che non ci sono prove evidenti che gli UFO siano alieni.

Fonte: Mysteriousuniverse.org; Newsbbc

Potrebbe essere stata l’esplosione di una supernova a spingere i primi ominidi ad assumere l’andatura bipede

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Secondo quanto afferma un nuovo studio pubblicato sul Journal of Geology è possibile che sia stata l’esplosione di una supernova, avvenuta circa 2,6 milioni di anni fa, ad aver spinto gli antichi esseri umani ad assumere l’andatura bipede. Le particelle cosmiche emesse da questa supernova hanno bombardato la superficie terrestre a livelli così elevati da provocare incendi boschivi a livello globale, secondo quanto scrivono i ricercatori dell’Università del Kansas.

Ciò avrebbe portato alla formazione di vaste distese di savane in luoghi che in precedenza erano ricoperti di foreste. I primi ominidi comparsi nel nordest dell’Africa furono costretti ad imparare a camminare su due gambe per potersi orientare guardando da una posizione più alta per poter attraversare queste vaste aree.

La teoria è stata elaborata da un team guidato dal fisico Professor Adrian Melott nel tentativo di unire diversi filoni di ricerca. “Si pensa che ci fosse già una certa tendenza per gli ominidi a camminare su due gambe, anche prima di questo evento ma sappiamo che si erano adattati principalmente per arrampicarsi sugli alberi“, ha spiegato. “Non avendo più molti alberi a disposizione dovettero adattarsi a spostarsi nell’erba alta della savana per passare da un albero all’altro. Questo adattamento permise loro di poter guardare oltre le cime dell’erba sia per mantenere la direzione che per vedere da lontano l’arrivo dei predatori.”

Il professor Melott è arrivato a formulare questa ipotesi dopo una ricerca sulle sulle supernove storiche e sugli indizi sull’impatto che ebbero sulla Terra. Antichi giacimenti marini di isotopi di ferro-60, una forma radioattiva di ferro, hanno fornito un indizio cruciale. Secondo il professor Melott, questi elementi potrebbero essere arrivati ​​sulla Terra da una supernova esplosa a 163 anni luce durante il passaggio dall’Epoca Pliocenica all’Era Glaciale.

Abbiamo calcolato che la ionizzazione dell’atmosfera provocata dai raggi cosmici prodotti da sulla base dei depositi di ferro-60“, ha affermato. “Secondo noi, un simile evento avrebbe aumentato la ionizzazione dell’atmosfera inferiore di 50 volte. Di solito, non si ottiene una ionizzazione della bassa atmosfera perché i raggi cosmici non penetrano così in profondità, ma quelli più energici delle supernove arrivano direttamente sulla superficie, quindi ci sarebbero stati un bel po’ di elettroni espulsi dall’atmosfera.

Il team del professor Melott suggerisce nell’articolo che questa maggiore ionizzazione della bassa atmosfera avrebbe favorito la formazione di moltissimi fulmini che, abbattendosi sugli alberi avrebbero portato ad incendi diffusi. Melott è convinto che la sua teoria sia supportata dalla scoperta di depositi di carbonio nel suolo risalenti all’incirca nello stesso momento in cui è avvenuto il bombardamento di raggi cosmici.

Sappiamo che nel mondo c’è stato un aumento di carbone e fuliggine a partire da qualche milione di anni fa. È dappertutto, e nessuno ha alcuna spiegazione del perché sia presente in tutto il mondo in zone climatiche differenti. Questa potrebbe essere una spiegazione“, ha detto.  “Si ritiene che l’aumento degli incendi abbia stimolato la transizione dal bosco alla savana in molti luoghi. Dove prima c’erano solo foreste, queste sono state sostituite da ampie savane con qualche arbusto qua e là“.

Secondo Melott, anche se le cose fossero andate come lui pensa, non c’è alcun pericolo che possa ripetersi un simile evento nei prossimi milioni d’anni. La stella più vicina prossima ad esplodere e trasformarsi in una supernova è Betelgeuse, che dista 652 anni luce dalla Terra, troppo lontana per avere effetti apprezzabili dalle nostre parti.

Trovate tracce di materia organica di origine extraterrestre nelle montagne del Sud Africa

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Sulle montagne Makhonjwa del Sud Africa è possibile accedere ad alcune delle rocce più antiche del pianeta e, a quanto pare, non tutto di ciò che si può vedere in questo magnifico paesaggio ha avuto origine sulla Terra. La novità interessante è che alcuni ricercatori sostengono di avervi scoperto tracce di materiale organico extraterrestre sepolto all’interno di sedimenti vulcanici risalenti ad oltre 3,3 miliardi di anni fa.

Questa è la prima volta che abbiamo trovato prove reali della presenza di carbonio di origine extraterrestre in rocce terrestri“, ha spiegato l’astrobiologa Frances Westall del CNRS Center for Molecular Biophysics, in Francia. Per miliardi di anni, la Terra è stata colpita da meteoriti, comete e asteroidi che hanno lasciato testimonianze del proprio impatto.

Cosa hanno lasciato queste rocce spaziali, oltre a grandi cicatrici sulla superficie del nostro pianeta?

A volte molte cose.

Molti scienziati pensano che alcuni dei mattoni della vita siano arrivati sul nostro pianeta sotto forma di molecole spaziali. In effetti la recente scoperta in Sudafrica aggiunge ulteriore peso a questa possibilità.

In un deposito vulcanico chiamato Josefsdal Chert, che fa parte della regione dei Monti Makhonjwa, Westall e il suo team hanno scoperto uno strato di roccia spesso 2 mm caratterizzato da due segnali “anomali“. Utilizzando la spettroscopia di risonanza paramagnetica elettronica (EPR), i ricercatori hanno scoperto che la roccia, antica 3,3 miliardi di anni, conteneva due tipi di materia organica insolubile, che suggeriscono entrambe origini extraterrestri (la più antica materia organica extraterrestre mai identificata).

Uno dei segnali EPR assomiglia a qualcosa che gli scienziati hanno già visto in precedenza nelle condriti carbonacee: antichi campioni di meteoriti contenenti composti organici. L’altra lettura anomala, che suggerisce la presenza di nanoparticelle di nichel, cromo e ferro, non è qualcosa che si vede solitamente nelle formazioni rocciose terrestri, e rafforza l’ipotesi secondo la quale parti di questo sottile strato roccioso originariamente provenivano da qualche luogo molto, molto più lontano.

“I cosiddetti “spinelli cosmici” si formano durante l’ingresso di oggetti extraterrestri nell’atmosfera terrestre,” ha spiegato l’ingegnere chimico Didier Gourier della PSL Research University. Per quanto riguarda il modo in cui questi due diversi e contraddittori segnali EPR potrebbero esistere all’interno della Josefsdal Chert nello stesso momento storico, il gruppo di ricerca dice che è difficile saperlo con certezza. “È difficile immaginare un singolo evento d’impatto che preservi sia la materia organica che le particelle di spinello in uno strato sedimentario così sottile“, scrivono gli autori nel loro articolo .

La materia organica idrogenata può sopravvivere solo se la temperatura della materia in caduta non supera le poche centinaia di gradi, mentre gli spinelli cosmici si formano attraverso un alto grado di fusione dell’oggetto, mentre cade verso la superficie della Terra.

Nella loro ipotesi, i ricercatori suggeriscono che potrebbe essersi verificata una pioggia di micrometeoriti che potrebbero essersi mescolate nell’atmosfera con nuvole di cenere vulcaniche, e mentre la materia si spostava lentamente verso la superficie della Terra, tracce di carbonio extraterrestre si sono conservate insieme agli spinelli cosmici di nuova formazione per miliardi di anni.

Certo, resta molto di ipotetico per ora. E anche se questo scenario fosse il modo in cui è successo, non sappiamo quale forma abbia preso questa antica materia organica, né possiamo essere sicuri che la sua caduta sulla Terra sia in qualche modo legata all’evoluzione della vita come la conosciamo oggi.

Eppure, per la scienza la scoperta di sostanze organiche extraterrestri è un fatto importante, e tutte le incognite sono ottime vie per continuare a esplorare.

Fonte: Geochimica et Cosmochimica Acta.

Visibile nel cielo notturno il trenino dei satelliti Starlink che agita gli astronomi (video)

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La scorsa settimana SpaceX ha lanciato 60 satelliti per telecomunicazioni Starlink. È stato il primo grande lancio dell’ambizioso progetto di Elon Musk di posizionare in orbita bassa circa 12.000 satelliti destinati ad offrire una copertura mondiale per la connettività internet ultraveloce. Il lancio dei satelliti da 227 kg l’uno si è svolto senza intoppi, i satelliti sono stati rilasciati tutti insieme ed ora stanno dispiegando i propri pannelli solari per poi posizionarsi nelle posizioni orbitali previste.

Durante la fase di dispiegamento i satelliti stanno orbitando a grande velocità, offrendo uno spettacolo inusuale ed emozionante: un “treno” che percorre il cielo, ben visibile di notte con il cielo terso. Marco Langbroek, un astronomo dilettante olandese è riuscito a riprendere un breve filmato in cui si vede il passaggio del “treno” dei satelliti sopra i Paesi Bassi, un filmato che ha già scatenato una discussione sui potenziali problemi che la costellazione degli Starlink potrebbe causare nel cielo notturno.

Il video è relativo a meno di 24 ore dal rilascio dei satelliti che, quando saranno completamente dispiegati nelle posizioni previste, non saranno così facilmente individuabili. Secondo il sito Space.com, i satelliti non sono abbastanza luminosi da essere visibili ad occhio nudo, e una volta che si dispiegati la loro luminosità diminuirà ulteriormente.

Ma gli astronomi astronomi la costellazione Starlink potrebbe diventare un problema.

I satelliti esistenti sono già difficili da gestire per i telescopi terrestri“, spiega l’astronomo della Swinburne University Alan Duffy, che è anche il principale scienziato della Royal Institution of Australia. I satelliti attuali sono un problema, ma gli astronomi hanno sviluppato tecniche per non risentirne“.

Ad esempio, i telescopi ottici come il Pan-STARRS rimuovono automaticamente dalle immagini i satelliti in transito, mentre con i radiotelescopi come l’ASKAP, nell’Australia occidentale, scansioniamo il cielo nelle frequenze non accecate dai segnali di navigazione satellitare come il GPS“.

Secondo i dati attuali dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari spaziali esterni, ci sono 5.162 oggetti in orbita attorno alla Terra, di cui circa 2.000 sono operativi.

Pertanto, l’implementazione di una rete di 12.000 satelliti non avrebbe precedenti. L’ambiente in cui viviamo è costantemente saturato dalle onde radio: il WiFi, le torri telefoniche e le reti wireless emettono molto rumore radio, ma i satelliti sono molto peggiori per i radiotelescopi di qualsiasi altra cosa basata a terra. Una costellazione completa di satelliti Starlink significherà probabilmente la fine dei radiotelescopi basati a Terra, in grado di scansionare i cieli per deboli oggetti radio“, ritiene Duffy. Gli enormi benefici della copertura globale di internet supereranno il costo per gli astronomi, ma perdere la possibilità di scansionare i segnali radio del cielo è un costo per l’umanità, poiché potremmo non essere più in grado di vedere il bagliore del Big Bang o quello della nascita di nuove stelle.”

Secondo Duffy, la flotta Starlink renderà “inevitabile” questa interferenza sulle radiofrequenze e suggerisce che dovremmo “costruire un radiotelescopio sul lato più lontano della Luna“, protetto dal rumore radio della Terra.

A quanto pare, SpaceX non ha ancora completamente valutato le probabili interferenze radioastronomiche che provocheranno i suoi satelliti Starlink. L’anno scorso, l’astronomo della National Astronomy Radio Observatory, Harvey Liszt, ha scritto alla Federal Communications Commission (FCC) degli Stati Uniti, esprimendo preoccupazione per il progetto. Secondo Liszt, il coordinamento tra diversi osservatori nazionali e SpaceX “si è interrotto in modo inconcludente verso la metà del 2017, dopo un tentativo e un trattamento preliminare delle preoccupazioni della radioastronomia e del modo in cui SpaceX intendeva affrontarle“.

È anche possibile che SpaceX non abbia ancora comunicato come intende risolvere questo problema perché questi primi 60 sono ancora considerati come “satelliti di test”. In ogni caso, SpaceX ha confermato su Twitter che sono previsti fino a sei lanci nel 2019.

Con così tanti satelliti, non è solo l’inquinamento da radiofrequenza che potrebbe diventare un problema. Potrebbe aggravarsi anche il problema della spazzatura spaziale. SpaceX sta proponendo di aggiungere 12.000 nuovi satelliti in bassa orbita terrestre, dove si trova la maggior parte della spazzatura: il 40% in più di oggetti nel giro di pochi anni, in contrasto con i 60 anni necessari per accumulare l’attuale massa di detriti spaziali“, dice Alice Gorman, un’archeologa spaziale alla Flinders University di Adelaide, in Australia.

In verità SpaceX ha un piano di mitigazione dei detriti spaziali che è stato depositato presso la FCC nel 2017; il piano prevede che i satelliti saranno de-orbitati quando saranno prossimi “alla fine della loro vita utile (circa 5-7 anni) ad un ritmo molto più rapido di quanto richiesto dagli standard internazionali“.

[I satelliti] verranno deorbitati propulsivamente facendoli scendere verso un’orbita di smaltimento dalla quale rientreranno nell’atmosfera terrestre entro circa un anno dal completamento della loro missione.

Il vero timore è che un impatto fortuito di uno dei satelliti con un frammento di spazzatura spaziale possa avviare una catena di collisioni a cascata conosciuta come sindrome di Kessler. Uno scenario proposto dallo scienziato della NASA Donald Kessler nel 1978 che si realizzerebbe quando la quantità di oggetti nell’orbita terrestre divenga abbastanza alta, una collisione potrebbe creare un effetto a cascata, creando molto più detriti e aumentando la probabilità di ulteriori collisioni.

“SpaceX ha fatto tutte le cose giuste in relazione al problema del rientro dei satelliti fuori servizio evitando le collisioni… Resta da vedere se il sistema funzionerà con un numero così grande di nuovi satelliti”.

UFO nell’arte: lo “Sputnik” di Montalcino

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di Oliver melis

Così l’oggetto dipinto da Ventura Salimbeni (spesso chiamato Bonaventura Salimbeni) alla fine del ‘500 nella chiesa di San Pietro a Montalcino, viene definito nei siti che trattano argomenti inerenti i famosi “oggetti volanti non identificati”, OVNI l’acronimo italiano corrispondente all’americano UFO.

Come sottolinea il sito “Sprezzatura.it, nella pagina di Edicolaweb si scrive che «ricorda appunto i satelliti artificiali russi». La stessa descrizione viene data nella recente pagina di Daniela Giordano, dove si legge che «the object reigning over the center of the painting (…) is an image reminding us of the 1950s in our century, when the Russian began to explore space by putting in orbit the first artificial satellites called Sputnik, marked usually with a progressive number.».

Si parlava però del misterioso satellite già dal 1972 quando la rivista CLYPEUS nel numero 38 titolava: “Un Explorer in Paradiso? Un satellite artificiale del 600 in mezzo alla Trinità?” Lo strano dipinto veniva spiegato dall’autore che diceva di aver consultato dei sacerdoti per capire il significato del dipinto ma senza ricevere risposta.

Un altro articolo comparve nel 1981 su SKYWATCH, una rivista ufologica. Su questa rivista, scritta a macchina, in un articolo di Emy e Roberto Balbi intitolato Sputnik a Montalcino si leggeva: “Nella parte alta possiamo osservare, poggiati su una larga nuvola, a sinistra Gesù Cristo e a destra Dio Padre, i quali tengono in mano (…) due specie di antenne collegate ad una grossa sfera trasparente, ma ben solida, mediante un attacco che ricorda, senza troppi sforzi di fantasia, le moderne antenne per autoradio. Le sommità di queste piccole antenne sono sormontate l’una da una croce e l’altra da una piccola sfera (…). La sfera nella quale sono infisse le antenne si presenta come fosse di vetro ed all’interno di essa, per dare l’idea della sfericità, vi è una scena dipinta con un forte coma-astigmatismo illustrante quello che sembra essere l’interno di una stanza con una porta. Una larga fascia equatoriale, appena accennata tutt’intorno alla sfera e che si vede anche dietro ed essa per indicare la trasparenza, sottolinea ancora una volta chiaramente la realtà dell’oggetto stesso. Il particolare che comunque ci lascia più perplessi, se già non ve ne fossero altri, è senz’altro quella protuberanza, a sinistra in basso, simile all’obiettivo per telecamera, all’interno del quale si indovina la presenza di una lente.”

Fortunatamente dopo poco tempo, le ipotesi ufologiche persero rapidamente perso terreno, soprattutto dopo l’uscita dell’articolo di Samuele Ghilardi, Amos Migliavacca e Elenio Salmistraro intitolato IL SATELLITE DI MONTALCINO. Gli autori descrivono come è stato analizzato il dipinto con fotografie a distanza ravvicinata, e come le loro conclusioni siano in linea con quanto affermato da Ion Hobana: «E’ interessante presentare l’interpretazione dell’ufologo romeno Ion Hobana, grande esperto di clipeologia ed autore dell’ottimo volume “Enigme pe cerul istoriei”, secondo cui l’oggetto sarebbe un antico mappamondo, rappresentante il Creato, in cui è visibile il sole ed una forma primitiva di tracciatura dei meridiani e paralleli; inoltre il piccolo cilindro sarebbe il perno per poter fissare ad un supporto la sfera. Un esempio dell’insieme è visibile in una sala in Vaticano. Dalle analisi effettuate sulle fotografie e sul dipinto originale non si possono ricavare elementi che facciano supporre un evento ufologico, mentre sono stati riscontrati numerosi punti in comune con raffigurazioni religiose greco-ortodosse. In molte icone provenienti dai Paesi dell’Est è possibile notare sfere con gli stessi simboli e tracciati, accompagnate o dalla sola figura del Cristo o da tutta la Trinità

Il dipinto è simile ad altri in cui viene rappresentata la Trinità, Gesù, lo Spirito Santo sotto forma di colomba e Dio Padre e tra questi personaggi immancabilmente vi si vede un globo che non è la Terra ma il globo dell’intero creato, la Sfera Celeste con annessi gli scettri del potere che erroneamente vengono scambiati per antenne di uno sputnik ante litteram.

Fonte: Sprezzatura.it

Scoperti diciotto esopianeti di dimensioni simili alla Terra

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Gli scienziati dell’Istituto Max Planck per la ricerca sul sistema solare (MPS), la Georg August University di Göttingen e l’Osservatorio Sonneberg hanno scoperto 18 pianeti di dimensioni terrestri oltre il sistema solare. I mondi sono così piccoli che le precedenti analisi li avevano trascurati; uno di questi è uno dei più piccoli finora scoperti; un altro potrebbe riuscire ad offrire condizioni favorevoli per la vita. I ricercatori hanno rianalizzato una parte dei dati del Kepler Space Telescope della NASA, con un nuovo metodo più sensibile da essi sviluppato. Il team stima che questo nuovo metodo abbia il potenziale di trovare più di 100 pianeti extrasolari aggiuntivi all’interno dei dati della missione Kepler. Gli scienziati hanno descritto i risultati raggiunti sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

I 18 mondi appena scoperti rientrano nella categoria dei pianeti di dimensioni terrestri. Il più piccolo di loro sarebbe grande circa il 69% della Terra; il più grande è poco più del doppio del raggio terrestre; hanno anche un’altra cosa in comune, tutti i 18 pianeti finora non erano stati rilevati nei dati dal Telescopio Spaziale Kepler. Gli algoritmi di ricerca comuni non erano abbastanza sensibili.

Nella loro ricerca di mondi lontani, gli scienziati usano spesso il cosiddetto metodo di transito“, per individuare stelle con variazioni periodiche di luminosità. Se ad una stella capita di aver un pianeta il cui piano orbitale è allineato con la visuale dalla Terra, il pianeta occulta una piccola frazione della luce stellare mentre passa davanti alla stella ogni volte che effettua un orbita totale.

“Gli algoritmi di ricerca standard tentano di identificare bruschi cali di luminosità”, spiega il Dr. Rene Heller di MPS, primo autore della pubblicazione. “In realtà, tuttavia, un disco stellare appare leggermente più scuro sul bordo rispetto che al centro; quando un pianeta si muove davanti a una stella, nella fase iniziale blocca meno luce stellare rispetto a quando è a metà del tempo del transito. La stella si trova nel centro del transito poco prima che essa diventi gradualmente più luminosa”, spiega.

I grandi pianeti tendono a produrre variazioni di luminosità profonde e chiare delle loro stelle ospiti, in modo che la variazione di luminosità dal centro a arco sottile sulla stella non giochi un ruolo importante nella loro scoperta. I piccoli pianeti, tuttavia, presentano agli scienziati sfide enormi. Il loro effetto sulla luminosità stellare è così piccolo che è estremamente difficile distinguere dalle fluttuazioni naturali della luminosità della stella e dal rumore che necessariamente viene fornito con qualsiasi tipo di osservazione. Il team di René Heller è ora in grado di dimostrare che la sensibilità del metodo di transito può essere notevolmente migliorata, se nell’algoritmo di ricerca si assume una curva di luce più realistica.

Scoperti 18 pianeti extrasolari della grandezza della Terra
Il nuovo algoritmo di Heller, Rodenbeck e Hippke non ricerca bruschi cali di luminosità come i precedenti algoritmi standard, ma per la caratteristica, graduale attenuazione e recupero. Questo rende il nuovo algoritmo di ricerca di transito molto più sensibile ai piccoli pianeti delle dimensioni della Terra. Credito: NASA / SDO (Sun), MPS / Ren & # 233; Heller

“Il nostro nuovo algoritmo aiuta a disegnare un’immagine più realistica della presenza di esopianeti nello spazio”, riassume Michael Hippke dell’Osservatorio di Sonneberg“Questo metodo costituisce un significativo passo in avanti, specialmente nella ricerca di pianeti simili alla Terra.”

I ricercatori hanno utilizzato i dati del telescopio spaziale Kepler della NASA come banco di prova per il loro nuovo algoritmo. Nella prima fase della missione dal 2009 al 2013, Kepler ha registrato le curve di luce di oltre 100.000 stelle, con la conseguente scoperta di oltre 2300 pianeti. Dopo un difetto tecnico, il telescopio è stato utilizzato in una modalità di osservazione alternativa, chiamata missione K2, ma ha comunque monitorato più di 100.000 stelle fino alla fine della missione avvenuta nel 2018. Come primo campione di prova per il loro nuovo algoritmo, i ricercatori hanno deciso di rianalizzare tutte le 517 stelle del K2 per le quali è già nota la presenza di almeno un pianeta.

Oltre ai pianeti precedentemente noti, i ricercatori hanno scoperto 18 nuovi oggetti che erano stati precedentemente trascurati. “Nella maggior parte dei sistemi planetari che abbiamo studiato, i nuovi pianeti sono i più piccoli”, il coautore Kai Rodenbeck dell’Università di Göttingen e MPS descrive i risultati. Inoltre, la maggior parte dei nuovi pianeti orbita attorno alla loro stella e sono più vicini rispetto ai loro precedenti compagni planetari. Le superfici di questi nuovi pianeti quindi hanno probabilmente temperature ben oltre i 100 gradi Celsius; alcuni hanno persino temperature fino a 1000 gradi Celsius. Solo uno dei corpi fa eccezione, si trova nella cosiddetta zona abitabile di una nana rossa.

Naturalmente, i ricercatori non possono escludere che anche al loro metodo possa sfuggire qualche oggetto planetario nei sistemi che hanno studiato. In particolare, i piccoli pianeti a grandi distanze dalle loro stelle ospiti sono noti per essere “problematici”. Essi infatti richiedono più tempo per completare un’orbita completa, rispetto ai pianeti che orbitano intorno alle loro stelle. Di conseguenza, i transiti dei pianeti nelle orbite più ampie si verificano meno spesso, il che ne rende ancora più difficile il rilevamento dei loro segnali.

Il nuovo metodo sviluppato da Heller e dai suoi colleghi apre interessanti possibilità. Oltre alle 517 stelle attualmente in fase di studio, la missione Kepler offre anche serie di dati per centinaia di migliaia di altre stelle. I ricercatori presumono che il loro metodo consentirà loro di trovare più di 100 altri mondi di dimensioni terrestri nei dati della missione primaria di Keplero“Questo nuovo metodo è anche particolarmente utile per preparare la prossima missione PLATO, che verrà lanciata nel 2026 dall’Agenzia spaziale europea”, afferma il Prof. Dr. Laurent Gizon, Managing Director presso il MPSPLATO scoprirà e caratterizzerà molti più sistemi multi-pianeta attorno a stelle simili al Sole, alcuni dei quali saranno in grado di ospitare la vita.

La fotosintesi artificiale che trasforma il biossido di carbonio in combustibili liquidi

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I chimici dell’Università dell’Illinois, attraverso la fotosintesi artificiale, sono riusciti con successo a produrre combustibili, utilizzando molecole di acqua e anidride carbonica insieme alla luce visibile. Convertendo il biossido di carbonio in molecole più complesse, come ad esempio il propano, la tecnologia energetica verde tra poco sarà capace di utilizzare la CO2 in eccesso per immagazzinare l’energia solare, sotto forma di legami chimici da utilizzare quando il cielo è nuvoloso o durante i periodi di massima richiesta.

Le piante sfruttano la luce del sole per attivare le reazioni chimiche tra acqua e CO2, producendo e immagazzinando energia solare sotto forma di denso glucosio ricco di energia. Nel nuovo studio i ricercatori hanno sviluppato un processo artificiale, che utilizza la stessa porzione di luce verde dello spettro visibile utilizzato dalle piante durante la fotosintesi naturale per convertire CO2 e acqua in combustibile. Per riuscirci hanno usato nanoparticelle d’oro ricche di elettroni con funzione di catalizzatore. Le nuove scoperte sono state pubblicate sulla rivista Nature Communications.

“L’obiettivo è produrre idrocarburi complessi liquefatti utilizzando la CO2 e altre risorse sostenibili come la luce solare”, ha dichiarato Prashant Jain, professore di chimica e coautore dello studio. “I combustibili liquidi sono ideali perché sono facilmente trasportabili, più sicuri e più economici del gas comune. Essendo composti da molecole a catena lunga contengono più legami, vale a dire che racchiudono l’energia in modo più denso per questo motivo ne sono più ricchi”.

Nel laboratorio di Jain, Sungju Yu, ricercatore e primo autore dello studio, utilizza catalizzatori metallici per assorbire la luce verde e trasferire gli elettroni ed i protoni necessari per le reazioni chimiche tra CO2 e acqua, imitando il ruolo della clorofilla pigmentaria nella fotosintesi naturale.

La fotosintesi artificiale trasforma il biossido di carbonio in combustibili liquefacibili
Jain, a sinistra, e Yu a destra eseguono esperimenti di fotosintesi artificiale usando la luce verde. Credit: Fred Zwicky

“Le nanoparticelle d’oro funzionano particolarmente bene come catalizzatore”, ha dichiarato Jain, “perché le loro superfici interagiscono favorevolmente con le molecole di CO2, sono efficienti nell’assorbire la luce e non si rompono o si degradano come altri metalli che possono appannarsi facilmente. Esistono diversi modi in cui l’energia immagazzinata nei legami del combustibile idrocarburico viene liberata. Tuttavia, il metodo convenzionale più semplice di combustione finisce comunque per produrre più CO2, il che è controproducente per il concetto di raccolta e immagazzinamento dell’energia solare,” ha dichiarato Jain.

La fotosintesi artificiale trasforma il biossido di carbonio in combustibili liquefacibili
Il professore di chimica Prashant Jain, a sinistra, e il ricercatore post-dottorato Sungju Yu hanno sviluppato un processo di fotosintesi artificiale che converte l’eccesso di CO2 in preziosi combustibili, portando la tecnologia verde un passo avanti verso lo stoccaggio di energia solare su larga scala.

Gli idrocarburi creati con questo processo hanno anche altri utilizzi non convenzionali“, ha affermato. “Ad esempio, potrebbero essere usati per alimentare le celle a combustibile per produrre corrente elettrica; ci sono laboratori in tutto il mondo che cercano di capire come la conversione da idrocarburi a elettricità può essere condotta in modo efficiente“.

Per quanto entusiasmante possa essere la produzione di questo carburante, che si trasforma da CO2 a liquido per la tecnologia di energia verde, i ricercatori riconoscono che il processo di fotosintesi artificiale al momento non è ancora efficiente come nelle piante.

“Abbiamo bisogno di capire come sintonizzare il catalizzatore per aumentare l’efficienza delle reazioni chimiche”, ha amesso Jain. “Adesso bisogna iniziare un duro lavoro per determinare come procedere per migliorare il processo. Come ogni altra tecnologia energetica non convenzionale, bisognerà dare risposta alle molte domande sulla convenienza economica”.

Fonte: Nature Communications

Un gruppo di ricercatori afferma di aver scoperto una forma di calcolo completamente nuova

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Il nuovo metodo di calcolo viene descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Nature e sarebbe stato sviluppato da un gruppo di ricercatori guidati dal professore associato di chimica e biologia chimica Kalaichelvi Saravanamuttu. Il metodo utilizza un materiale polimerico morbido che si trasforma da liquido a gel in reazione alla luce. Gli scienziati si riferiscono a questo polimero come ad un “materiale stimolante di prossima generazione che può calcolare” da solo.

Per farlo funzionare, i ricercatori fanno attraversare da una stringa binaria di luce bianca attraverso il cubo contenente l’operazione che vogliono risolvere. Le proprietà interne dei materiali trasformano quindi l’ingresso del fascio in uno, due o tre gruppi di filamenti a luce bianca che si auto-organizzano in geometrie tridimensionali periodiche che sono il risultato dell’operazione, che vengono lette da un sensore della fotocamera.

In che modo questi materiali si auto-organizzano? Immagino che la risposta debba essere magica o, come spiegano nel loro articolo, la natura intrinseca di questi nuovi polimeri. Secondo gli scienziati, questi film sottili di polimero tenero, colloidi, fluidi, gel e solidi aprono un percorso a incredibili applicazioni che vanno dal rilevamento autonomo, a bassa potenza di rilevamento autonomo – compresi tattili e visivi – ai sistemi di intelligenza artificiale.

calcolo cubo

Quando stimolati da segnali elettromagnetici, elettrici, chimici o meccanici, queste architetture di polimeri plastici si spostano tra stati mostrando evidenti cambiamenti nelle proprietà fisiche o chimiche che possono essere sfruttate per il biosensing, il rilascio controllato del farmaco, gli intervalli di banda fotonica sintonizzanti, la bagnabilità e il gonfiore superficiale,” hanno scritto i ricercatori.

Allora, qual è il punto di tutto questo?

L’obiettivo ultimo di questo campo è la biomimetica della reattività intelligente come la tattilità, la visione, il camuffamento, la contrattilità e il volo in cui i complessi sensori naturali come pelle, occhi e muscoli si adattano senza soluzione di continuità agli stimoli ambientali attraverso sequenze di risposta squisitamente programmate“.

Gli scienziati sottolineano che non stanno cercando di competere con le attuali soluzioni di calcolo basate sul silicio, ma stanno cercando di aumentare la complessità delle operazioni che possono eseguire. Parlando con Eurekalert, la coautrice dell’articolo Fariha Mahmood ha detto che stanno “cercando di costruire materiali in grado di dare risposte più intelligenti e sofisticate“.

Secondo Saravanamuttu, “siamo molto entusiasti di poter svolgere addizioni e sottrazioni in questo modo, e stiamo pensando a modi per svolgere altre funzioni computazionali.

La NASA avvia la costruzione del primo modulo del Lunar Gateway

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La NASA ha assegnato alla compagnia di tecnologia spaziale Maxar un contratto da 375 milioni di dollari per sviluppare il primo segmento del Lunar Gateway. Maxar è quindi la prima azienda a potersi vantare di essere diventata partner commerciale del progetto di ritorno alla Luna della NASA. Il modulo assegnato alla Maxar è quello di potenza e propulsione, in pratica il cuore pulsante dell’avamposto lunare ed anche il primo che sarà inviato in orbita cislunareQuesto modulo dovrà fornire energia, l’area di attracco e capacità di manovra, oltre alla possibilità di controllare la quota e ai sistemi di comunicazione alla Stazione Spaziale che orbiterà tra la Terra e la Luna.

Blue Origin e Draper, entrambe aziende del proprietario di Amazon Jeff Bezos, contribuiranno alla realizzazione dei moduli di test, Maxar dovrà dimostrare l’efficiente operatività del modulo nel corso di un vero e proprio volo spaziale, la cui data di lancio è, per ora, prevista nel 2022. La fase di test dovrebbe durare un anno e quando sarà terminata l’elemento verrà posizionato nell’orbita definitiva diventando di fatto il primo elemento attivo del Lunar Gateway.

Nel suo annuncio, la Maxar ha comunicato  che l’elemento sarà basato sulla sua piattaforma per veicoli spaziali della serie 1300. Inoltre, nel comunicato viene detto che che un elemento chiave del design del segmento sarà il Roll Out Solar Array (ROSA) della NASA. La compagnia ha annunciato in teleconferenza che sceglierà un razzo commerciale per lanciare il modulo di potenza e propulsione entro i prossimi 12-18 mesi. Secondo alcune fonti, il New Glenn di Blue Origin dovrebbe essere il favorito in questa selezione, stante il coinvolgimento dell’azienda nel progetto.