mercoledì, Aprile 2, 2025
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Il progetto del programma Artemis della NASA per la Luna: 37 lanci e un avamposto lunare da qui al 2028

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Nei quasi due mesi trascorsi da quando il Vicepresidente Mike Pence ha dato alla NASA l’indicazione di tornare sulla Luna entro il 2024, gli ingegneri dell’agenzie spaziali hanno lavorato per definire un piano volto a realizzare il programma sfruttando la tecnologia esistente, i grandi progetti in via di completamento e la collaborazione delle aziende private.

Questo piano decennale prevede 37 lanci di razzi privati ​​e NASA, nonché un certo numero di missioni automatiche e con equipaggio, e culminerà con un “Lunar Surface Asset Deployment” nel 2028, probabilmente quello che sarà il nucleo di un avamposto di superficie per missioni umane di lunga durata. Sviluppato dal responsabile senior delle missioni umane dell’agenzia, Bill Gerstenmaier, questo piano sembra rispondere alle richieste di Pence: un rapido ritorno umano sulla Luna, una base lunare, e l’impegno di vecchi e nuovi contraenti della NASA.

Piano "nozionale" della NASA per un ritorno umano alla Luna entro il 2024 e un avamposto entro il 2028.Piano “nozionale” della NASA per un ritorno umano alla Luna entro il 2024 e la realizzazione di un avamposto entro il 2028

Nel piano non sono indicati, però, i costi. L’amministratore della NASA, Jim Bridenstine, recentemente ha chiesto un ulteriore finanziamento di 1,6 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2020 come acconto per lo sviluppo iniziale dei lander. Tutte le missioni indicate nello schema, però, avrebbero costi molto maggiori. Secondo diversi analisti, il costo globale del programma si aggirerebbe intorno a costi tra i 6 miliardi e gli 8 miliardi di dollari all’anno in aggiunta al budget esistente della NASA di circa 20 miliardi di dollari.

Nel piano manca anche quello che è probabilmente un altro elemento critico. Non è chiaro quale ruolo dei partners internazionali, dato che quasi tutto sembrerebbe a carico della NASA o di società con sede negli Stati Uniti. Una partnership internazionale, come evidenziato dal programma della Stazione Spaziale Internazionale, sarebbe probabilmente la chiave per sostenere un programma lunare a lungo termine nel panorama politico statunitense.

Sebbene il piano sia lodevole in quanto riporterebbe gli esseri umani all’esplorazione diretta dello spazio profondo, alla ricerca scientifica correlata e ad uno sforzo per imparare a sfruttare le risorse idriche sulla Luna, non affronta almeno tre grandi problemi.

Il primo problema è il finanziamento e la vulnerabilità politica. Uno dei motivi per cui Bridenstine non ha condiviso l’intero costo del programma, è proprio per via dei costi che fecero bloccare dal congresso tutti i programmi successivi alle missioni Apollo. Tuttavia, se la NASA intende davvero basarsi sui suoi mezzi, peraltro ancora in via di sviluppo come l’SLS, invece di appoggiarsi ai contraenti privati con i loro lanciatori riutilizzabili, l’agenzia avrà bisogno di molto più denaro.

Finora, la Casa Bianca ha proposto di pagare per questo con un’eccedenza nel Fondo di riserva Pell Grant. Ma i democratici non sembrano molto convinti di questa soluzione. “Il Presidente sta proponendo di tagliare ulteriormente un programma di sussidi che fornisce un’ancora di salvezza agli studenti a basso reddito, in particolare il programma Pell Grants, per pagare il primo anno di questa iniziativa, qualcosa che non posso sostenere” ha dichiarato la presidente del comitato scientifico dei democratici Eddie Bernice Johnson.

Il Congresso inoltre non darà alla NASA l’autorità illimitata per riprogrammare i fondi, con un quadro temporale apparentemente aperto, che Bridenstine ha cercato di ottenere.

Si supponeva che il grande razzo SLS sarebbe stato abbastanza semplice da sviluppare, poiché si basava su componenti dello space shuttle, come i suoi motori principali e e i boosters a propellente solido. Al contrario, il lander lunare a tre stadi riutilizzabile immaginato dalla NASA per portare gli umani dal Gateway alla superficie lunare richiederà nuovi motori e sistemi, compresa la gestione del carburante a temperature molto basse e alte. Basteranno cinque anni per sviluppare questi sistemi se la NASA, la Boeing e il resto degli appaltatori dell’SLS hanno impiegato un decennio per consegnare il razzo (ammesso che lo consegni nei prossimi due anni)?

Infine, l’architettura della NASA per un ritorno lunare richiede il completamento di una versione più potente del razzoSLS, noto come Block 1B, per essere pronta entro il 2024. Nella nuova architettura, il lanciatore SLS Block 1B porta una navetta Orion con equipaggio al Gateway insieme con la “logistica di superficie” – probabilmente aria, acqua, cibo e altri materiali di consumo necessari per un viaggio di più giorni fino alla superficie e ritorno al Gateway.

La nuova tecnologia chiave nel razzo Block 1B è lo stadio superiore, noto come Exploration Upper Stage, per il quale è la stessa Boeing ad avere l’appalto. Negli ultimi mesi, la NASA ha fatto pressioni su Boeing perché completi la versione iniziale dell’SLS e Boeing, per accelerare i tempi, ha interrotto il lavoro su questo nuovo stadio superiore. Date le prestazioni di Boeing sul core, è possibile che la NASA possa cercare un fornitore alternativo, come Blue Origin con il suo motore di livello superiore BE-3U già esistente, per costruire l’Exploration Upper Stage. Insomma, chi sia, sia ma il razzo deve essere pronto per il 2024.

Ma cosa succede dopo? La NASA ha compiuto un passo tecnico chiave nei giorni scorsi assegnando dei contratti per la progettazione di due dei tre elementi del suo progetto di lander lunare. Le domande più spinose arriveranno dall’arena politica.

La NASA rischia di impatanarsi con la politica. È improbabile che i democratici sostengano l’uso del fondo Pell Grants come fonte di finanziamento e alcune fonti dell’industria spaziale hanno ipotizzato che questa potrebbe essere stata una “pillola avvelenata” dell’Ufficio di gestione e bilancio della Casa Bianca per minare un programma a lungo termine e costoso. Se i democratici volessero respingere il progetto in chiave politica, potrebbero dire al presidente Trump che sosterranno solo l’atterraggio lunare della NASA con i fondi del Dipartimento della Difesa destinati alla “Space Force“. Tutto ciò diventerebbe un problema per la NASA, solitamente abituata a muoversi al di sopra della mischia politica.

E cosa accadrebbe se il presidente Trump perdesse la rielezione nel 2020? All’inizio del 2021, quando entrerà una nuova amministrazione, non ci saranno, giocoforza, molte prove tangibili di un ritorno della possibilità di un ritorno sulla Luna a breve termine. È improbabile che per allora il razzo SLS abbia già fatto almeno il suo primo volo e ci saranno solo alcuni progetti su carta di lander lunari, mentre il Lunar Gateway sarebbe ancora distante uno o due anni dal lancio. Ciò renderebbe il programma lunare molto vulnerabile dal punto di vista dei finanziamenti, soprattutto se il nuovo presidente preferisse orientarsi verso un programma spaziale a basso costo che sfrutti i successi della nuova industria spaziale.

Insomma, poche idee e confusa. Ma almeno, finalmente, ora c’è un piano su cui lavorare.

I cambiamenti climatici potrebbero innalzare i livelli del mare di oltre due metri entro il 2100.

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I livelli dell’oceano sono in aumento a causa dei cambiamenti climatici e la visione a lungo termine è che il livello del mare salirà di circa un metro entro il 2100. Un nuovo sorprendente studio, però, suggerisce che la visione è fin troppo ottimistica. Purtroppo, i livelli del mare potrebbero aumentare più di due metri se le temperature globali continuassero a salire più del previsto.

Gli autori dello studio, credono sia possibile che i livelli del mare possano aumentare di oltre due metri, dichiarando che “l’evento si trova entro i limiti di incertezza del 90%,” con questa prospettiva la devastazione potrebbe essere catastrofica. Un innalzamento delle temperature di 5 gradi Celsius, causerebbe un significativo calo dei livelli di ghiaccio in Groenlandia, così come in Antartide. Se l’aumento delle temperature si attestasse sui 2 gradi Celsius, la Groenlandia sarebbe la principale fonte di preoccupazione nel contribuire all’innalzamento del livello del mare.

Confrontando lo studio con il rapporto dell'”Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del 2013, un aumento di un metro del livello del mare potrebbe portare ad una perdita di terre emerse di dimensioni uguali a Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna messe insieme e quindi a costringere a spostare oltre 180 milioni di persone. “Un innalzamento del livello del mare di questa portata avrebbe chiaramente conseguenze profonde per l’umanità,” hanno detto gli autori del rapporto del 2013. Le conseguenze potrebbero danneggiare gravemente le città costiere come New York e Miami e le isole hawaiane in un futuro non troppo lontano.

I livelli del mare, globalmente, aumentano di circa 3 millimetri l’anno, secondo il nuovo studio che è stato pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences. Gli autori del nuovo studio ritengono che il rapporto dell’ONU del 2013 non sia molto lontano dalla realtà ma che utilizzi solo situazioni “probabili” che potrebbero accadere e non le “probabilità“; secondo gli studiosi, questo potrebbe essere fuorviante per coloro che tentano di prendere decisioni. “Limitare l’attenzione alla parola “probabile”, come nel caso del quinto rapporto di valutazione dell’IPCC, potrebbe essere fuorviante e causare probabilmente una scarsa valutazione dei rischi reali”, ha detto Willy Aspinall, uno degli autori dello studio, in un dichiarazione.

Il nuovo studio prende in considerazione le stime di ciò che potrebbe accadere nell’intervallo di eventi compresi tra il 5 e il 95 percento di possibilità, mentre il rapporto dell’ONU del 2013 ha osservato un intervallo compreso tra il 17 e l’83 percento di possibilità. Sarebbe, quindi, opportuno non basare le proiezioni esclusivamente sulla previsione di un aumento delle temperature intorno ai 2 gradi Celsius ma considerare anche cosa accadrebbe nel caso si verificasse un aumento di 5 gradi Celsius, sia pure scientificamente improbabile.

L’autore principale dello studio, Jonathan Bamber, ha dichiarato alla BBC che è importante guardare ai valori più bassi perché hanno una significativa probabilità statistica che possano accadere. “Quando inizi a prendere in considerazione una bassa probabilità che qualcosa accada usando valori ancora plausibili, gli esperti ritengono che ci sia una piccola ma statisticamente significativa probabilità che la Calotta Polare Antartica diventi particolarmente instabile e parti dell’Antartide orientale subiscano lo stesso destino. Questa situazione è, però, destinata a realizzarsi se si verificasse l’evento altamente improbabile di un aumento di 5 gradi Celsius delle temperature”.

Registrati tra gli appassionati che scenderanno su Marte inserendo i propri nomi nel rover Mars 2020

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Gli appassionati di esplorazione spaziale hanno potuto inviare i loro nomi su Marte e altre destinazioni extraterrestri ormai da oltre vent’anni e, ancora una volta, la NASA offre questa opportunità, da ora fino al 30 settembre, il Jet Propulsion Laboratory della NASA sta registrando i nomi di coloro che intendono partecipare moralmente alla missione del rover di Mars 2020.

Tutto quello che bisogna fare è digitare il proprio nome e la propria nazionalità su un modulo online caricato sul sito web della NASA e premere il pulsante “Invia”. A quel punto sarà possibile salvare o stampare una carta d’imbarco come ricordo. Al termine della raccolta dei nomi, l’elenco sarà inviato al Microdevices Laboratory del JPL per essere incisi su un chip di silicio con un fascio di elettroni. Ogni riga di testo avrà una larghezza di soli 75 nanometri, che è meno di un millesimo dello spessore di un capello umano, abbastanza piccolo da permettere l’incisione di oltre un milione di nomi su un microchip grande come una moneta da dieci centesimi. Probabilmente, però, occorrerà più di un chip per registrare tutti i nomi, tanto è il successo che ha riscontrato l’iniziativa in passato. Per capire, la stessa iniziativa presa per il lander InSight registrò oltre 2,4 milioni di nomi che furono incisi su due chip che furono inseriti nel lander InSight della NASA e che a novembre dello scorso anno atterrarono su Marte insieme al lander.

Si prevede che il rover Mars 2020 registrerà un numero ancora maggiore di nomi.

Vogliamo che tutti gli appassionati partecipino a questa missione esplorativa“, ha scritto  in un comunicato stampa Thomas Zurbuchen, amministratore associato alla Direzione della missione scientifica della NASA a Washington . “È un momento emozionante per la NASA, che si accinge a lanciare questa missione volta a rispondere a domande fondamentali sul Pianeta Rosso e persino sulle origini della vita stessa“.

Il rover Mars 2020 è delle dimensioni di un’auto e pesa 2.300 chili. Il lancio è previsto per la metà del 2020, con atterraggio sul Pianeta Rosso in programma per il febbraio 2021. La missione principale del rover, che atterrerà nel Jezero Crater,  sarà quella di esplorare quello che si pensa sia il sito di un antico delta di fiume sul bordo di un bacino creato da un impatto gigante. Le rocce e il terreno del cratere potrebbero contenere molecole organiche e altre tracce di vita microbica.

Il delta è un buon posto dove cercare tracce eventuali dell’antica presenza della vita su Marte che potrebbero essersi preservate da quando quel luogo era un lago, miliardi di anni fa“, ha detto lo scienziato del progetto Mars 2020 Ken Farley lo scorso novembre, quando la NASA rivelò l’area di destinazione del rover.

Il rover, alimentato a plutonio, raccoglierà anche campioni che confezionerà in appositi contenitori che saranno pronti ad essere raccolti da una futura missione che arriverà su Marte per raccoglierli e li porterà sulla Terra. In questa missione, la NASA affiancherà il rover con un minielicottero drone per l’esplorazione visiva dell’area circostante al rover. Inoltre, a bordo del rover sarà presente uno speciale modulo che tenterà di produrre ossigeno scindendo biossido di carbonio prelevato dalla sottile atmosfera marziana.

Questo tipo di tecnologia si rivelerà utile quando verranno inviati astronauti sul Pianeta rosso, forse già negli anni ’30.

Chissà, tra alcuni decenni o secoli, esploratori interplanetari potrebbero essere in grado di recuperare i microchip con i nomi degli appassionati montati sul telaio del rover Mars 2020.

Certo, avranno bisogno di microscopi piuttosto potenti per leggerli.

Batteri che metabolizzano la plastica ci aiuteranno a ripulire gli oceani

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Non c’è dubbio che abbiamo troppa plastica nei nostri oceani, ed è tutta colpa nostra.

Per risolvere questo terribile problema ambientale, però, potremmo ricevere aiuto da una fonte inaspettata: i microbi marini che metabolizzano la plastica. In una nuova ricerca, un team internazionale di scienziati ha studiato in che modo le comunità microbiche si accumulano sulla plastica che inquina l’oceano e contribuiscono al loro degrado, un meccanismo biologico naturale che potremmo essere in grado di sfruttare, se riusciamo ad imparare a capirlo meglio.

Una volta che la plastica entra nell’oceano, comincia ad alterarsi a causa di una serie di fattori non biologici, tra cui la radiazione UV, le escursioni termiche e l’azione abrasiva dell’acqua dell’oceano. Questi processi ambientali provocano il degrado del materiale in frammenti di microplastiche e nanoplastiche sempre più piccole e ora sappiamo che i fattori di stress non agiscono da soli.

La degradazione abiotica precede e stimola la biodegradazione in quanto gruppi carbonilici sono generati sulla superficie della [plastica]“, i, così spiegano i ricercatori, guidati dall’ingegnere ambientale Evdokia Syranidou dell’Università Tecnica di Creta in Grecia, nel loro articolo. “Pertanto, una vasta gamma di organismi può stabilirsi sulla superficie esposta all’azione climatica, utilizzandola come substrato e come fonte di carbonio.”

Per studiare quanto sia efficiente questo l’azione microbica in termini di degradazione della plastica, i ricercatori hanno raccolto campioni di detriti in polietilene (PE) e polistirolo (PS) da due spiagge in Grecia. Dopo averli lavati e sminuzzati, minuscoli frammenti di plastica sono stati immersi in una soluzione salina che fungeva da sostituto dell’acqua oceanica.

I frammenti di plastica sono stati quindi esposti a due diversi tipi di comunità microbiche: organismi naturali presenti in mare (comprendenti diverse specie) e ceppi bio-aumentati modificati per formare biofilm più resistenti su superfici plastiche. Dopo cinque mesi di esposizione microbica, i pezzi di plastica sono stati pesati, rivelando che gli organismi erano riusciti a ridurre il peso del PS esposto all’aria fino dell’11% e del PE fino al 7%.

Il ceppo bioingegnerizzato non ha metabolizzato più plastica, anche se il team ha osservato che “sembra più efficiente nell’aderire ai pezzi alterati e nello sviluppare una comunità di biofilm” di maggiore abbondanza. Significativamente, i risultati di maggior successo sono stati di gran lunga quelli derivati da un esperimento che utilizzava “microbi acclimatati“,  organismi già esposti alla plastica in una simulazione precedente.

In altre parole, sembra che queste cose possano sviluppare un gusto per la plastica e migliorare nel mangiarle con il tempo.

Oltre a consumare la plastica, l’esposizione microbica ha portato anche a cambiamenti chimici sulla superficie dei materiali, producendo gruppi carbonilici e doppi legami, e rivelando processi come la scissione della catena che hanno interessato la plastica a livello molecolare. Questo non è la prima volta che gli scienziati tentano di sfruttare le capacità dei microorganismi per aiutarci ad affrontare i nostri problemi con la plastica.

Per anni, i ricercatori hanno studiato come gli organismi potrebbero essere in grado di mangiare i nostri rifiuti di plastica.

Ogni nuova conoscenza acquisita, non importa quanto piccola, un giorno potrebbe essere d’aiuto per ripulire i nostri mari ed oceani, anche se la soluzione più importante è affrontare il problema all’origine.

Finché ciò non accadrà, tuttavia – e la società non trova un modo per smettere di produrre questo materiale in quantità così devastanti per l’ambiente, sono molti i vantaggi che possiamo acquisire imparando di più su come i microorganismi riescono a degradare la plastica.

La differenza tra l’impiego ipotetico e realistico di reti microbiche per il degrado della plastica potrebbe contribuire allo sviluppo di misure di mitigazione e politiche sostenibili, conclude il team.

I risultati dello studio sono riportati nel Journal of Hazardous Materials.

Venerdì SpaceX lancerà i primi 60 satelliti della costellazione Starlink che forniranno internet ultraveloce in tutto il mondo

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“SpaceX” si appresta a lanciare la prima serie di 60 satelliti “Starlink” a bordo di un Falcon 9 che li porterà fino alla quota orbitale prevista di 440 chilometri. Dopo i test effettuati lo scorso anno la compagnia di Elon Musk ha ricevuto dalla “FCC”( Federal Communications Commission) l’autorizzazione al lancio di 4.425 satelliti nello spazio per costruire una rete orbitale che consentirà di commercializzare connessioni internet ultraveloci.

A differenza dell’attuale Internet via satellite, questi dispositivi si troveranno in un’orbita molto più bassa, e offriranno una velocità molto più elevata, senza i limiti massimi di utilizzo che hanno i sistemi satellitari attuali. Relativamente ai dubbi sollevati circa le tempistiche necessarie per poter offrire il servizio,”SpaceX” prevede di iniziare a vendere internet ad alta velocità tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Secondo i rapporti “SpaceX” prevede che la sua rete satellitare su scala mondiale andrà a regime nel 2027, anche se i primi utenti nordamericani potranno iniziare utilizzare il servizio già dal prossimo anno.

L’obiettivo è che questo nuovo sistema offra una robusta linea Internet ad alta velocità, specialmente nei paesi in via di sviluppo e nelle aree rurali di nazioni sviluppate che restano tuttora colpite dal “digital divide“. Il servizio offerto da SpaceX permetterà di superare le attuali difficoltà che incontra chi desidera avere internet ultraveloce in zone non servite dalla fibra ottica, inoltre, stando a quanto riferito da SpaceX, i costi previsti saranno sicuramente concorrenziali anche nelle aree che già dispongono di connessioni ad alta velocità.

SpaceX prevede, dopo il lancio dei primi 4.425 satelliti, di ampliare la rete arrivando fino a 12.000 satelliti che permetteranno una completa copertura mondiale.

Elon Musk ha chiarito che la rete sarà in grado di fornire un servizio efficiente dopo il lancio dei primi 400 satelliti. L’operatività e la copertura miglioreranno quando le unità che comporranno la costellazione saranno almeno 800. I lanci successivi amplieranno capacità e copertura del sistema. I satelliti saranno man mano dislocati su piani orbitali diversi.

Sarà possibile seguire il lancio tramite il canale You Tube di SpaceX:

https://www.youtube.com/watch?v=AfbIMknNWks

Il lancio del Falcon 9, è stato fissato per le 04:30 CEST del 24 maggio 2019. SpaceX prevede di effettuare dai due ai sei ulteriori lanci per il sistema Starlink, entro la fine dell’anno.

Perché il Pentagono è di nuovo interessato agli UFO?

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di Iain Boyd, professore di ingegneria aerospaziale, Università del Michigan

I piloti ed i marinai della marina statunitense non saranno considerati pazzi per aver segnalato oggetti volanti non identificati, in base a nuove regole intese a incoraggiarli a tenere traccia di ciò che vedono. Eppure, solo pochi anni fa, il Pentagono avrebbe chiuso un altro programma ufficiale che indagava sugli avvistamenti UFO. Cosa è cambiato? I militari statunitensi stanno finalmente arrivando all’idea che le astronavi aliene stiano visitando il nostro pianeta?

La risposta a questa domanda è quasi certamente no. L’interpretazione errata degli umani delle osservazioni dei fenomeni naturali è antica quanto il tempo e include esempi come i lamantini che vengono visti come sirene e tronchi che galleggiano in un lago scozzese interpretati come l’immagine di un mostro.

Un esempio più recente e rilevante è la strana struttura luminescente nel cielo causata dal lancio di un razzo SpaceX. In questi tipi di casi, si verificano interpretazioni errate perché le persone hanno informazioni incomplete o fraintendono ciò che stanno vedendo.

Sulla base della mia precedente esperienza come consulente scientifico dell’Air Force, credo che il Pentagono voglia evitare questo tipo di confusione, quindi ha bisogno di capire meglio gli oggetti volanti che al momento non è in grado di identificare. Durante una missione militare, in pace o in guerra, se un pilota o un soldato non è in grado di identificare un oggetto, sorge un problema serio: come dovrebbero reagire, senza sapere se è neutrale, amichevole o minaccioso? Fortunatamente, i militari possono usare tecnologie avanzate per cercare di identificare cose strane nel cielo.

Consapevolezza situazionale” è il termine militare per avere una completa comprensione dell’ambiente in cui stai operando. Un UFO rappresenta una lacuna nella consapevolezza situazionale. Al momento, quando un pilota della Marina vede qualcosa di strano durante il volo, quasi l’unica cosa che lui o lei può fare è chiedere ad altri piloti e al controllo del traffico aereo quello che hanno visto in quel luogo in quel momento. A livello globale, il numero di rapporti UFO in un anno ha raggiunto il picco di oltre 8.000. Non si sa quante di questi sono esperienze di militari.

Anche gli incidenti più documentati finiscono irrisolti, nonostante le interviste di decine di testimoni e l’analisi o la revisione di molti documenti scritti, oltre a molte registrazioni audio e video.

Gli UFO rappresentano un’opportunità per l’esercito per migliorare i propri processi di identificazione. Almeno parte di questo lavoro potrebbe essere fatto in futuro da sistemi automatici e potenzialmente in tempo reale mentre si verifica un incidente. I veicoli militari – Humvee, corazzate, aeroplani e satelliti allo stesso modo – sono coperti da sensori. Non sono solo dispositivi passivi come ricevitori radio, videocamere e imager a infrarossi, ma sistemi attivi come radar, sonar e lidar. Inoltre, un veicolo militare raramente è solo: i veicoli viaggiano in convogli, navigano in flotte e volano in formazioni. Sopra di loro vi sono i satelliti che controllano dall’alto.

Disegnare un’immagine completa

I sensori possono fornire una grande quantità di informazioni sugli UFO compresi gamma, velocità, direzione, forma, dimensioni e temperatura. Nonostante così tanti sensori e tanti dati, resta però una sfida unire le informazioni in qualcosa di utile. Tuttavia, l’esercito sta intensificando il suo lavoro sull’autonomia e l’intelligenza artificiale per l’interpretazione dei dati

Un possibile utilizzo di queste nuove tecnologie potrebbe essere quello di combinarle per analizzare tutte le numerose informazioni provenienti dai sensori, separando eventuali osservazioni che non è in grado di identificare. In questi casi, il sistema potrebbe persino assegnare sensori sui veicoli vicini o i satelliti in orbita per raccogliere informazioni aggiuntive in tempo reale. Quindi potrebbe assemblare un’immagine ancora più completa.

Per il momento, però, resta agli analisti umani il compito di valutare che cosa rivelano tutti i dati. Un famoso esperimento dei tecnici di Google, un algoritmo avanzato di riconoscimento delle immagini basato sull’intelligenza artificiale è stato ingannato nell’identificare erroneamente la foto di un panda, visto dal software come un gibbone, semplicemente distorcendo un piccolo numero di pixel originali.

Quindi, finché gli umani non capiranno meglio gli UFO, non saremo in grado di insegnare ai computer ad identificarli. A mio avviso, il nuovo approccio della Marina alla segnalazione di avvistamenti UFO è un buon primo passo. Ciò potrebbe alla fine portare a un approccio completo e completamente integrato per l’identificazione degli oggetti che implichi la fusione di dati provenienti da molti sensori attraverso l’applicazione dell’intelligenza artificiale

Solo allora ci saranno sempre meno UFO nel cielo, perché non saranno più identificati come tali.

 

Questo articolo è ripubblicato da The Conversation sotto una licenza Creative Commons. Leggi l’articolo originale .

Ultima Thule: individuate acqua e molecole organiche sull’oggetto più lontano mai visitato da una sonda umana

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La NASA ha trovato le prove della presenza di una miscela unica di metanolo, acqua ghiacciata e molecole organiche sulla superficie di Ultima Thule, il mondo più lontano mai esplorato dall’umanità. L’agenzia spaziale statunitense ha pubblicato il primo profilo di Ultima Thule, una vera e propria reliquia dell’era della formazione dei pianeti, rivelando dettagli sull’oggetto spaziale.

Analizzando solo le prime serie di dati raccolti durante il sorvolo avvenuto a capodanno del 2019 da parte della sonda New Horizons dell’oggetto MU69 della fascia di Kuiper, soprannominato Ultima Thule, si sono potute ottenere interessanti informazioni sullo sviluppo, la geologia e la composizione dell’oggetto.

I ricercatori stanno ora studiando una serie di caratteristiche della superficie su Ultima Thule, come punti luminosi e macchie, rilievi, depressioni, crateri e pozzi.

Ricercatori della NASA hanno trovato tracce di acqua, sostanze organiche sull'oggetto Ultima Thule della fascia di Kuiper

Un concept d’artista dell’incontro ravvicinato tra New Horizons e l’Ultima Thule. Immagine: NASA

La depressione più grande è un’area di otto chilometri, soprannominato cratere Maryland, probabilmente formata da un impatto. Alcune buche più piccole, tuttavia, possono essere state create da materiale precipitato in spazi vuoti sotterranei o a causa di ghiacci esotici sublimati dallo stato solido a gas, lasciando fosse vuote al loro posto.
Per colori e composizione, Ultima Thule ricorda molti altri oggetti trovati nella sua area della fascia di Kuiper. Si ritiene che la sua tonalità rossastra sia causata dai materiali organici presenti sulla sua superficie.

Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista Science, il team ha trovato prove della presenza di metanolo, acqua ghiacciata e molecole organiche sulla superficie di Ultima Thule, una miscela molto diversa da quella individuata nella maggior parte degli oggetti ghiacciati esplorati in precedenza dalle sonde spaziali.

Stiamo esaminando resti ben conservati di un passato estremamente remoto“, ha dichiarato Alan Stern del Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado. “Non c’è dubbio che le scoperte fatte su Ultima Thule stanno aiutandoci a migliorare le teorie sulla formazione del sistema solare“, ha dichiarato Stern, Principal Investigator della missione New Horizons.

La prima immagine a colori di Ultima Thule, scattata a una distanza di 85.000 miglia (137.000 chilometri) alle 4.08 Universal Time del 1 ° gennaio 2019, evidenzia la sua superficie rossastra. A sinistra è un'immagine a colori migliorata ripresa dalla MVIC (Multispectral Visible Imaging Camera), prodotta combinando i canali del vicino infrarosso, rosso e blu. L'immagine al centro del LORRI (Long-Range Reconnaissance Imager) ha una risoluzione spaziale maggiore rispetto a MVIC di circa un fattore cinque. A destra, il colore è stato sovrapposto all'immagine LORRI per mostrare l'uniformità del colore dei lobi Ultima e Thule. Notare la riduzione della colorazione rossa sul collo dell'oggetto. Imahe: NASA JHUL

La prima immagine a colori di Ultima Thule, presa a una distanza di 85.000 miglia (1,37.000 chilometri) il 1° gennaio 2019, evidenzia la sua superficie rossastra. Immagine: NASA JHUL

Ultima Thule è un oggetto binario, con due lobi di forma distintamente diversa, ha detto la NASA. Con una lunghezza di circa 36 chilometri, Ultima Thule è costituito da un grande lobo stranamente piatto soprannominato “Ultima“, collegato a un lobo più piccolo, un po’ più rotondo soprannominato “Thule”.

Il modo in cui i due lobi hanno ottenuto la loro forma insolita è un mistero imprevisto che probabilmente si riferisce a come si sono formati miliardi di anni fa, ha fatto sapere la NASA attraverso un comunicato. I due lobi, probabilmente, orbitavano l’uno intorno all’altro fino al momento in cui alcuni processi li hanno riuniti in quella che gli scienziati hanno dimostrato essere una fusione “gentile“.

Perché ciò accada, gran parte dello slancio orbitale del sistema binario deve essersi disperso per permettere ai due oggetti di unirsi dolcemente ma gli scienziati non sanno ancora se ciò è dovuto alle forze aerodinamiche del gas nell’antica nebulosa solare, o se Ultima e Thule hanno espulso altri lobi che si erano formati con loro per dissipare energia e ridurre la loro orbita. L’allineamento degli assi di Ultima e Thule indica che prima della fusione i due lobi dovevano essere molto vicini, il che significava che gli stessi lati si trovavano sempre l’uno di fronte all’altro mentre orbitavano attorno allo stesso punto.

La trasmissione dei dati ottenuti dal flyby da parte di New Horizons continua e continuerà fino alla fine dell’estate 2020. Nel frattempo, New Horizons continua a eseguire nuove osservazioni di ulteriori oggetti della fascia di Kuiper che sfiora nella sua rotta.

La navicella spaziale New Horizons è ora a 6,6 miliardi di chilometri dalla Terra, funziona normalmente e sta penetrando sempre più a fondo nella fascia di Kuiper, alla velocità di circa 53.000 chilometri all’ora.

L’universo potrebbe essere un miliardo di anni più giovane di quanto pensassimo

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Studi recenti mostrano che potremmo aver sovrastimato l’età dell’universo di oltre un miliardo di anni, una sorpresa che costringe i ricercatori a ripensare ai concetti chiave su come siamo arrivati ​​dal Big Bang ad oggi.

Il tempo perduto è particolarmente irritante perché, in un universo pieno di misteri, la sua età è stata vista come una delle poche quasi certezze. Nel 2013, le misurazioni dettagliate delle radiazioni cosmiche effettuate del telescopio spaziale europeo Planck sembravano aver dato la risposta finale: 13,8 miliardi di anni. Tutto ciò che restava da fare era verificare quel numero usando osservazioni indipendenti su stelle luminose situate in altre galassie.

Poi è arrivata una svolta inaspettata di eventi.

Alcune gruppi di ricercatori, tra cui uno guidato dal premio Nobel Adam Riess dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, invece di avere la conferma delle misurazioni di Planck, hanno iniziato a ottenere un risultato nettamente diverso.

Stava arrivando al punto in cui dicevamo: ‘Stiamo sbagliando tutto‘”, Afferma Riess, co-autore di un nuovo articolo sulla ricerca che verrà pubblicato su Astrophysical Journal.

I risultati del gruppo di Riess, indicano un universo che ha solo 12,5 miliardi di anni.

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Gli studi sugli ammassi stellari di una galassia vicina (inserto) aggiungono alla prova che l’universo è più giovane e in espansione più rapida del previsto. – Space Telescope Science Institute Office of Public Outreach / NASA, ESA, A. Reiss (STScI / JHU)

All’inizio, l’ipotesi comune era che Riess e gli altri osservatori di galassie avessero commesso un errore. Ma man mano che le loro osservazioni continuavano ad arrivare, i risultati non cambiavano. Curiosamente, anche una nuova analisi sui dati del telescopio Planck non ha mostrato alcun problema.

Se tutti i numeri sono corretti, il problema deve essere più profondo. Ci deve essere uno sbaglio nella nostra interpretazione di quei numeri, cioè nei nostri modelli fondamentali su come funziona l’universo. “La discrepanza suggerisce che c’è qualcosa nel modello cosmologico che non stiamo capendo bene“, dice Riess. Che cosa potrebbe essere, nessuno lo sa.

L’attuale discrepanza fa risalire la sua origine al 1929, quando l’astronomo Edwin Hubble scoprì che le galassie si allontanano dalla Terra in tutte le direzioni. Ancora più scioccante, Hubble scoprì che più lontane sono le galassie, più velocemente si allontanano. Questo modello significa che stanno anche allontanando le une dalle altre. “L’unico modo in cui tutto ciò può essere vero è che lo spazio stesso si stia espandendo“, afferma Riess.

Se l’ idea di un universo in espansione vi sembra bizzarra, benvenuti nel club.

È ancora bizzarro anche per me“, spiega Riess. “Ma questo è quello che mostrano tutti i dati, ed è quello che la nostra teoria predice.” Persino Hubble non ha mai accettato pienamente le implicazioni del proprio lavoro.

Un universo in espansione implica che l’universo abbia un’età definita, perché è possibile ritracciare l’azione a ritroso fino al momento in cui tutto nel cosmo era stipato in un’unico punto in uno stato estremamente denso e caldo: quello che chiamiamo il Big Bang. “Questo è un altro concetto difficile che a molte persone fa girare la testa“, ha detto il cosmologo dell’Università di Chicago Wendy Freedman, aggiungendo che il Big Bang non è esploso come una specie di bomba. “Il Big Bang è un’esplosione di spazio, non nello spazio“, ha detto, tanto per semplificare le cose (sic).

In altre parole, le galassie non si allontanano l’una dall’altra nello spazio, è lo spazio stesso che si trova tra di loro che si espande, ed è sempre stato così dal momento del Big Bang. Quindi non ha senso chiedere dove si è verificato il Big Bang. Si è verificato ovunque. dice Freedman, “Non c’è un centro o un limite all’esplosione“.

Ma nell’universo in espansione, c’è un inizio del tempo, o, almeno del il tempo che conosciamo. Misurando la velocità con cui le galassie si stanno allontanando tra loro, gli astronomi si sono resi conto che potevano capire il momento in cui il cosmo ha iniziato ad espandersi Tutto quello che dovevano fare era capire come ottenere esattamente le loro misure galattiche.

Freedman ha lavorato su questo problema per oltre tre decenni, molto più a lungo di quanto si aspettasse. “Questa è una sfida incredibile“, spiega. “Immagina di dover effettuare misurazioni a centinaia di milioni di anni luce con un’accuratezza dell’1%!

Lo stesso telescopio orbitante Hubble ha superato il test. I suoi calcoli originali implicavano un universo più giovane, perché aveva drasticamente sottostimato le distanze tra le galassie.

Fonte: https://arxiv.org/abs/1903.07603

L’Universo Oscuro (seconda parte)

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Un gran numero di progetti si stanno preparando per esplorare in profondità il mistero dell’energia oscura e capire se in realtà sia sempre stata la stessa in tutto l’universo. L’operazione Dark Energy Survey (DES) è già iniziata, utilizzando il telescopio Victor M. Blanco in Cile con la scansione di una fascia del cielo meridionale, osservando supernovae e catalogando più di 200 milioni di galassie. All’inizio del 2017, un’indagine ancora più grande – Javalambre Physics of the Accelerating Universe Astrophysical Survey (J-PAS) nei pressi di Teruel, Spagna – ha iniziato a disegnare la mappa 3D dell’universo per rivelare BAO. Si occuperà di gran parte del cielo settentrionale e analizzerà fino a 500 milioni di galassie con uno strumento innovativo che utilizza 56 filtri di colore per rivelare lo spostamento verso il rosso.

Nel frattempo, nel Canada occidentale, uno strumento molto diverso sta cominciando a prendere forma. Il Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment (CHIME) nei pressi di Penticton in British Columbia è un radiotelescopio inusuale costruito da una serie di mezzi tubi, come un parco di skateboard gigante. Raccoglie le onde radio lungo una linea nord-sud che spazia intorno quando la Terra ruota, per costruire un quadro del cielo.

CHIME è costruito per raccogliere le onde emesse dall’idrogeno fresco. Come le galassie, questo porta l’impronta di antiche oscillazioni acustiche. Si potrebbero rivelare BAO meglio che con lo studio delle galassie, perché le galassie sono il risultato di processi relativamente complessi, mentre il gas segue le onde sonore originali in modo più diretto. “Si tratta di una misura molto pulita“, dice il ricercatore principale Mark Halpern.

Nel decennio successivo, son previsti veicoli spaziali e giganteschi telescopi terrestri con budget molto più grandi che parteciperanno alla caccia all’energia oscura. Questi quattro strumenti cosmici insieme con DES e J-PAS potranno lavorare tra di loro. Oltre a individuare supernovae e tracciare BAO, essi dovranno anche misurare le lenti gravitazionali e catalogare ammassi di galassie.

I cluster sono tenuti insieme dalla gravità, quindi la loro crescita potrebbe rivelare se la forza di gravità inizia a cambiare su grandi scale. E il fenomeno delle lenti gravitazionali, la piegatura di immagini lontane a causa della materia, produce modelli sottili nell’orientamento di galassie. Guardando come questi schemi variano nel tempo cosmico  si possono rivelare le variazioni di energia oscura.

A partire dal 2023 circa, il Large Synoptic Survey Telescope (LSST) in Cile promette di trovare un gran numero di supernove e individuare miliardi di galassie per tracciare BAO, la crescita dei cluster e le lenti gravitazionali. “LSST sarà come DES con gli asteroidi“, dice il direttore del DES Josh Frieman. La missione Euclid dell’Agenzia spaziale europea, prevista per il lancio nel 2020, studierà a sua volta le lenti gravitazionali. La visione nitida di Euclid sarà in grado di individuare meglio l’orientamento delle galassie lenticolari. Sarà anche in grado di raccogliere la luce vicino all’infrarosso che viene bloccata dall’atmosfera. La NASA prevede di lanciare una missione simile, WFIRST, a metà degli anni 2020. WFIRST avrà una visione ancora più nitida di Euclid, perché si basa su uno specchio più grande.

GRB STRUTTURA
GAMMA RAY BURST-Potrebbe iniziare sia con la fusione di due stelle di neutroni o con il collasso di una stella massiccia. Entrambi questi eventi creano un disco di materiale intorno al buco nero . il sistema buco-disco, a sua volta, eroga un getto di materiale in prossimità della velocità della luce. L’onda d’urto all’interno di questo materiale emana radiazioni, i GRB

Anche con tanti occhi nel cielo, l’energia oscura potrebbe rimanere sfuggente. Così alcuni astronomi sono alla ricerca di evidenze più particolari. I lampi di raggi gamma (GRB) sono lampi di radiazione ad alta energia che arrivano dall’universo più lontano. Potrebbero essere causati dal collasso del nucleo di una stella massiccia per formare un buco nero o una stella di neutroni.

Presso la Stanford University in California, Maria Dainotti vuole usare i GRB come un nuovo tipo di candela standard. Questo sembra un compito difficile, perché queste esplosioni sono di vario genere, lampeggiano e si dissolvono apparentemente senza alcun motivo. “Se avete visto un GRB, avete visto un GRB“, dice Dainotti. Ma nel 2008, ha scoperto che alcuni GRB, per i quali le emissioni raggiungono un plateau e poi scendono di nuovo, un breve impulso significa una raffica più luminosa (MG Dainotti et al . Mon. Non. R. Astron. Soc. 391 , L79 -L83; 2008).

Dainotti è cauta sull’utilizzo dei GRB per la cosmologia di precisione, in parte perché non c’è ancora un motivo fisico chiaro per le sue correlazioni. I ricercatori non sanno ancora cosa generi un GRB quando il nucleo della stella collassa, le emissioni ad alta energia potrebbero essere generate da una stella di neutroni in rapida rotazione o da materiale che cade in un buco nero appena nato.

Quando la teoria sarà meglio stabilita, i GRB potrebbero illuminare i primi giorni dell’ energia oscura. I GRB sono molto più luminosi delle supernove di tipo Ia, e potrebbero essere utilizzati per vedere più lontano e tracciare l’espansione indietro, fino a quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. Se l’energia oscura sta cambiando la sua natura, studiarle in tempi così remoti può essere cruciale.

LIGOPuò darsi che sarà necessario un nuovo tipo di astronomia per spezzare l’enigma oscuro. Nel 2016, la collaborazione Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) ha finalmente annunciato il rilevamento di distorsioni di spazio-tempo note come onde gravitazionali, previste da Einstein un secolo fa. Un’increspatura distintiva della durata di una frazione di secondo che era l’eco della collisione di buchi neri, che più di un miliardo di anni fa sconvolsero il tessuto dello spazio-tempo, fondendosi tra loro. “Con onde gravitazionali come queste, abbiamo potuto misurare la distanza“, afferma Stephen Fairhurst, fisico presso l’Università di Cardiff, nel Regno Unito, e membro della collaborazione LIGO. La forma delle onde rivela la massa dei buchi neri e l’energia totale emessa. Combinandole con la forza delle onde che raggiungono la Terra, si può lavorare sulla distanza.

Tuttavia, tracciare la storia dell’ espansione richiederebbe anche individuare il redshift, che è più complicato. Potrebbe essere possibile trovare la galassia ospite di uno di questi eventi e utilizzare la sua luce per rivelare il redshift, anche se l’ospite potrebbe essere una delle tante galassie in una vasta area di ricerca, perché i rivelatori di onde gravitazionali non possono ancora individuare la direzione di provenienza con precisione.

Se tutti questi molteplici strumenti non trovassero dei cambiamenti nel comportamento dell’energia oscura, i ricercatori dovranno abbandonare tale teoria e abbracciare l’ipotesi della costante cosmologica. “Il momento in cui dovremo accettare la costante cosmologica sarà quando la teoria compirà un passo predittivo convincente“, dice Perlmutter. Ad esempio, una teoria potrebbe prevedere una nuova classe di particelle per frenare la costante cosmologica, e queste particelle potrebbero poi essere rilevate dal Large Hadron Collider del CERN.

I fisici sono appassionati di stranezze, quindi la maggior parte starà probabilmente sperando per l’altro esito: che la maggior parte della sostanza del nostro Universo sia una cosa in evoluzione che è ancora più strana dell’energia del vuoto. Se la sorgente di accelerazione risulterà essere un nuovo campo di energia o una modifica della gravità, le conseguenze saranno profonde. “Potrebbe farci ripensare a come la gravità e la fisica delle particelle interagiscono“, dice Trodden. Trovare una descrizione basata sulle particelle per la gravità, ha ossessionato i fisici teorici da Einstein in avanti. Per gestirle, alla fine, dovremmo abbandonare la sua costante cosmologica per la seconda volta.

Articolo pubblicato su Nature 537, S201-S204 (29 settembre 2016) doi: 10.1038 / 537S201a – di Stephen Battersby

 

Dopo la Luna, uomini su Marte nel 2033… O nel 2060

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L’11 dicembre 2017, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato una direttiva che ordina alla NASA di prepararsi a riportare gli astronauti sulla Luna per poi “proseguire con missioni umane su Marte e altre destinazioni“. Le date fissate per l’agenzia spaziale sono 2024 per la Luna e Marte nel 2033 ma secondo gli esperti e gli addetti ai lavori, puntando alla Luna entro il 2024 e dovendo poi costruire una base permanente e dovendola consolidare, raggiungere il Pianeta Rosso entro il 2033 a quel punto sarebbe altamente improbabile se non effettuando uno sforzo economico e tecnologico a livello di quello effettuato per portare l’uomo sulla Luna con il programma Apollo  negli anni ’60.

La Luna è il terreno di prova per capire cosa serve per andare su Marte“, ha detto l’amministratore della NASA Jim Bridenstine in una conferenza stampa. “La Luna fa parte del nostro percorso per arrivare su Marte nel modo più veloce e sicuro possibile, ecco perché andiamo sulla Luna.”

Secondo Robert Howard, che dirige il laboratorio in cui si sviluppano i futuri habitat spaziali allo Johnson Space Center di Houston, gli ostacoli non sono tanto tecnici o scientifici quanto una questione di budget e volontà politica. “Un sacco di gente vorrebbe che si tornasse allo spirito del programma Apollo, ma servirebbe avere un presidente come Kennedy che dicesse che dobbiamo farlo, riunendo l’intero paese dietro quest’obbiettivo“, ha detto.

Se ciò accadesse, direi che potremmo davvero riuscire ad arrivare su Marte addirittura nel 2027. Ma non penso che succederà, penso che con il nostro approccio attuale saremo fortunati se riusciremo a farlo entro il 2037“.

Un partecipante guarda un poster durante il summit Humans to Mars, che mira a far avanzare l'umanità sulla superficie marziana entro il 203
Un partecipante guarda un poster durante il summit Humans to Mars, che mira a portare l’umanità sulla superficie marziana negli anni ’30, all’Accademia Nazionale delle Scienze

Ma, secondo Howard, ad essere pessimista ci si potrebbero aspettare difficoltà politiche che potrebbero spostare tutto oltre il 2060. Dalla progettazione, fabbricazione e collaudo dei razzi e delle astronavi necessarie, fino ad imparare il modo migliore per coltivare la lattuga: è ancora tutto da fare.

Per arrivare su Marte ci vorranno almeno sei mesi, invece dei tre giorni necessari per la Luna. L’intera missione potrebbe richiedere due anni, dal momento che Marte e la Terra si avvicinano l’un l’altro ogni 26 mesi. Le attività chiave per arrivare su Marte comprendono la ricerca di un modo per proteggere gli astronauti dall’esposizione prolungata alle radiazioni solari e cosmiche, ha detto Julie Robinson, capo scienziato della NASA del programma della Stazione Spaziale Internazionale. “Poi bisognerà pensare al sistema alimentare“, ha aggiunto. Non sappiamo ancora in che modo portare provviste che restino abbastanza fresche durante tutta la missione.

L'illustrazione di questo artista per gentile concessione di SpaceX mostra SpaceX BFR (Big Falcon Rocket), la nave spaziale per passeggeri che
L’illustrazione di un artista per gentile concessione di SpaceX mostra la Starship, un’astronave passeggeri con cui la compagnia spera un giorno di raggiungere Marte

E poi c’è da affrontare il problema delle emergenze mediche: gli astronauti dovranno essere in grado di curarsi in caso di incidenti. “In realtà, però, penso che un grosso problema saranno i guanti“, ha aggiunto Jennifer Heldman, uno scienziato planetario della NASA. Uno dei principali difetti degli astronauti dell’Apollo erano i loro guanti, che erano troppo gonfiati e impedivano loro di fare lavori di destrezza con le mani.

La NASA sta sviluppando un nuovo tipo di guanti, il primo in quarant’anni, chiamato xEMU, ma non sarà pronto per essere testati nella Stazione Spaziale Internazionale prima di qualche altro anno. Su Marte, la polvere sarà un problema ancora più che sulla Luna. Gli astronauti dell’Apollo tornarono con enormi quantità di polvere lunare sulle tute. Mantenere la polvere fuori dagli habitat sarà fondamentale per una missione che trascorrerà mesi sul Pianeta Rosso.

Le tecniche per estrarre l’acqua, l’ossigeno e il carburante necessari dalle risorse marziane per permettere agli esseri umani di viverci, non esistono ancora e dovranno essere testate sulla Luna entro la fine di questo decennio. Infine, il problema più importante: in che modo un piccolo gruppo di astronauti affronterà lo stress psicologico di essere totalmente isolato per due anni?

Un'immagine del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA mostra neve e ghiaccio accumulati durante le dune che coprono l'inverno nel pianeta n
Un’immagine del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA mostra neve e ghiaccio accumulati sulle dune durante l’inverno nell’emisfero settentrionale del pianeta; a differenza della Terra, questa neve e il ghiaccio sono di anidride carbonica, meglio conosciuta come ghiaccio secco

Non sarà possibile comunicare in tempo reale con il controllo missione di Houston: le comunicazioni radio impiegheranno tra i quattro ed i 24 minuti per trasmettere una domanda ed altrettanti per avere una risposta. La NASA intende effettuare test di comunicazione ritardata a bordo dell’ISS nei prossimi anni. Anche l’intelligenza artificiale che dovrà assistere e guidare gli astronauti deve essere ancora sviluppata.

Un ricercatore incaricato dalla NASA di studiare la probabilità di arrivare su Marte nel 2033 ha concluso che l’obiettivo, al momento, è “non fattibile“.

Non è solo il budget“, ha affermato Bhavya Lal dell’Istituto di politica della scienza e della tecnologia. “È anche una questione di organizzazione, quante cose può fare la NASA allo stesso tempo?

Per Lal, la data più realistica sarà il 2039.