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Il carico segreto della Tesla Roadster “guidata” da Starman

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Lo scorso febbraio venne effettuato il primo spettacolare lancio del Falcon Heavy, il lanciatore pesante di SpaceX che lanciò oltre l’orbita di Marte la Tesla Roadster personale di Elon Musk con a bordo il manichino in tuta da astronauta Starman, cosa che permise un grande clamore mediatico. Il Falcon Heavy, però, aveva anche un secondo carico segreto di cui quasi nessuno sapeva nulla.

Inserito all’interno della Roadster, come in un film di spionaggio in cui qualcuno trasporta informazioni segrete registrate in un microfilm, c’era un misterioso, piccolissimo, oggetto progettato per durare milioni (forse miliardi) di anni anche in ambienti estremi come lo spazio, o sulle ostili superfici di corpi planetari lontani.

Chiamato arch (arca), questa piccola memoria di massa è stata progettata per l’archiviazione dei dati a lungo termine, con librerie di informazioni codificate su un piccolo disco di cristallo di quarzo, non molto più grande di una moneta.

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Secondo Arch Mission Foundation, la non-profit con sede in California che è dietro questa tecnologia, questi dischi Arch potrebbero “preservare e diffondere la conoscenza dell’umanità attraverso il tempo e lo spazio, a beneficio delle generazioni future“.

L’Arch somiglia ad un DVD o un Blu-ray ma molto più piccolo ma il suo potenziale di archiviazione dei dati va ben oltre i dischi ottici comuni.

La tecnologia, sviluppata dal fisico Peter Kazansky dell’Università di Southampton nel Regno Unito, può teoricamente contenere fino a 360 terabyte di dati, circa la stessa quantità di 7.000 dischi Blu-Ray.

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Ma ancor più impressionante della capacità di archiviazione dati è la longevità fisica del mezzo: i primi due dischi, chiamati Arch 1.1 e Arch 1.2, si dice siano due degli oggetti di archiviazione più duraturi mai creati dagli esseri umani, teoricamente stabili fino a 14 miliardi di anni, grazie al “5D data storage” inscritto dalla nanostrutturazione laser in vetro di quarzo siliceo.

Il disco Arch 1.2 che attualmente sta sfrecciando nello spazio sulla Tesla Roadster di Musk ad una velocità di crociera di circa 12.908 km/h è stato caricato con la trilogia della Fondazione di Isac Asimov, un classico della fantascienza in cui un’organizzazione privata tenta di preservare la conoscenza e la cultura umana in un universo vasto e spietato.

Una missione perfettamente in linea con gli obiettivi degli sviluppatori di Arch, che hanno chiamato questo disco inaugurale la “Biblioteca solare“.

La Solar Library orbiterà attorno al Sole per miliardi di anni“, spiega la co-fondatrice Nova Spivack (In realtà sappiamo che l’orbita tenuta attualmente dalla Tesla con a bordo Starman e l’arch, la porterà a precipitare su Venere o sulla Terra nel giro di un paio di milioni di anni– ndr).

Bisogna concepire questa impresa come la realizzazione di un anello di conoscenza attorno al Sole. Questo è solo il primo passo di un progetto umano epico per curare, codificare e distribuire i nostri dati attraverso il Sistema Solare, e oltre.

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I lanci successivi di altri dischi arch sono previsti per il 2020 e il 2030, con le librerie ‘Lunar‘ e ‘Mars‘ destinate a inviare backup documentati della conoscenza umana sulla Luna e su Marte, con la speranza che quest’ultimo disco possa servire come supporto per i coloni sul pianeta Rosso, per aiutarli a ‘seminareun internet localizzato su Marte.

Se tutto ciò sembra abbastanza ambizioso, l’obiettivo finale è ancora più fantastico.

“Alla fine, collegando tra loro le Arch Library e i dispositivi di archiviazione Arch che le contengono, attraverso una rete di condivisione dei dati di lettura-scrittura decentrata che attraversi il Sistema Solare, potremo sviluppare e condividere una biblioteca decentralizzata collettiva di tutto ciò che l’umanità apprende, raggiungibile su ogni pianeta nel nostro Sistema Solare, e anche oltre, mentre l’umanità si diffonde nello spazio“, afferma Spivack.

Molti diranno che è un progetto folle, nel migliore dei casi un sogno ad occhi aperti, ma a chi non ci crede basta chiedere se si sarebbe mai aspettato, ancora solo pochi anni fa, che qualcuno avrebbe immesso una Tesla Roadster in orbita attorno al Sole nel 2018?

In certe follie risiede il seme del genio e dell’immortalità.

Meteoriti su Marte, carne al fuoco per i propalatori di bufale

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di Oliver Melis

Le stranezze su Marte non mancano e forse di certe ne faremo volentieri a meno, semplicemente perché la fantasia degli uomini parte al galoppo creando non poche confusioni. Facce, sfingi, piramidi, muraglie, statue, cupole, città, sul suolo di Marte. Nel corso degli anni segnalato di tutto, spesso in modo totalmente ingannevole.

Questa volta Curiosity, il rover della NASA, ha forse scoperto qualcosa di più normale, ma sempre molto interessante, un meteorite, e ora, per averne la certezza si eseguiranno delle analisi più approfondite per scoprirne la vera natura.

Mentre il lander InSight appena giunto sul suolo marziano avviava i suoi sistemi e rimandava al centro di controllo a Terra le prime immagini dal Pianeta Rosso, Curiosity, che sta vagando nel cuore del sito di trivellazione “Highfield”, ha scoperto un oggetto brillante ben visibile nel deserto marziano. L’oggetto è stato trovato dal rover il 26 novembre – e soprannominato “Little Colonsay“, come una piccola isola al largo della Scozia..

Ora gli scienziati della NASA faranno in modo di capire di cosa si tratti utilizzando il ChemCam. Lo strumento, sviluppato dal Los Alamos National Laboratory e dal CESR Laboratory, è infati capace di vaporizzare una piccola parte dell’oggetto – con un raggio laser – e determinarne la composizione attraverso la spettroscopia.  Curiosity aveva già studiato con lo stesso metodo, la vaporizzazione attraverso emissione laser, un sospetto meteorite ritrovato nel 2016, e scoperto la sua composizione, a base di nickel e ferro, metalli comuni nei meteoriti. Questo sospetto meteorite, fotografato il 27 ottobre 2016 sempre da Curiosity, che scorrazza all’interno del cratere Gale di Marte da più di 6 anni, fu soprannominato “Egg Rock”,

Appena si parla di Marte c’è sempre qualcuno che, senza aspettare analisi approfondite tira in ballo l’ipotesi della civiltà extraterrestre, certamente molto suggestiva, ma in questo caso forzata, in quanto quasi sicuramente Curiosity ha trovato un semplice meteorite precipitato sul suolo marziano. “Il team di pianificazione suggerisce che potrebbe trattarsi di un meteorite perché è brillante. Ma le immagini possono ingannare”, ha affermato in un comunicato stampa la dottoressa Susanne Schwenzer del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, alla guida della missione di Curiosity (Mars Science Laboratory). “L’analisi chimica ne confermarà la sua natura”, ha aggiunto la ricercatrice, suggerendo che presto verrà “bombardato” dal robot.

All’iniio del 2018 anche il Mars Reconnaissance Orbiter ha individuato quello che sembra un colossale cratere da impatto meteoritico sulla superficie del Pianeta Rosso. Il cratere largo cinque metri, ma con uno “strascico” che si estende per oltre un chilometro, sembrerebbe essere stato lasciato negli ultimi 10 anni. La pressione atmosferica marziana è solo un centesimo di quella terrestre, per questo i meteoriti raggiungono più spesso di quanto avviene sulla Terra il suolo intatti.

Oltre a questa strana roccia lucida Curiosity ha immortalato altri tre oggetti interessanti ma meno appariscenti (Flanders Moss, Forres e Eildon), che finiranno tutti nel mirino del ChemCam e di altri strumenti, come APXS, Navcam, Mastcam e MAHLI.

Fonte: Focus.it; Scienze fanpage.

L’oceano ha la memoria lunga

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Le acque fredde che affondarono nelle regioni polari centinaia di anni fa durante la Piccola Era Glaciale stanno ancora influenzando le profondità dell’Oceano Pacifico.

L’oceano ha la memoria lunga. Quando l’acqua attualmente presente nelle profondità dell’Oceano Pacifico vide per l’ultima volta la luce del sole, Carlo Magno veniva incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero, la Dinastia Song regnava in Cina e l’Università di Oxford aveva appena formato la sua prima classe di studenti. In quel periodo, tra il IX e il XII secolo, il clima della Terra era generalmente più caldo, prima che il freddo della Piccola Era Glaciale si lo raffreddasse intorno al XVI secolo. Ora le temperature superficiali oceaniche sono tornate ad aumentare, ma la domanda è: le parti più profonde dell’oceano lo sanno?

I ricercatori dell’Istituto Oceanografico Woods Hole (WHOI) e dell’Università di Harvard hanno scoperto che le profondità marine dell’Oceano Pacifico sono in ritardo di alcuni secoli in termini di temperatura e si stanno ancora adattando all’ingresso nella Piccola Era Glaciale. Mentre la maggior parte dell’oceano sta rispondendo al riscaldamento moderno, le profondità del Pacifico sembrerebbero raffreddarsi.

Queste acque, poste nello strato più profondo dell’oceano, sono così antiche e non sono mai state in superficie per così tanto tempo, che ricordano ancora ciò che accadeva centinaia di anni fa, quando l’Europa ha vissuto alcuni degli inverni più freddi della storia“, ha spiegato Jake Gebbie, oceanografo fisico del WHOI e autore principale dello studio pubblicato il 4 gennaio 2019, nella rivista Science.

“Il clima varia in tutte le epoche”, aggiunge Peter Huybers, professore di Scienze della Terra e dei Pianeti all’Università di Harvard e co-autore del documento. “Alcuni modelli di riscaldamento e raffreddamento regionali, come la Piccola Era Glaciale e il Periodo Caldo Medievale (PCM), sono ben noti: il nostro obiettivo era quello di sviluppare un modello di come le proprietà interne dell’oceano rispondono ai cambiamenti del clima superficiale“.

Ciò che il nostro modello ha mostrato è stato sorprendente.

Se le acque superficiali dell’oceano si sono generalmente raffreddate per una buona parte dell’ultimo millennio, quelle parti più profonde dell’oceano, più isolate dal riscaldamento moderno, sembrerebbero ancora tendere al raffreddamento“, ha detto Gebbie.
Il modello rappresenta, naturalmente, una semplificazione delle meccaniche di un oceano reale. Per testare la previsione, Gebbie e Huybers hanno paragonato la tendenza al raffreddamento rilevata nel modello alle misurazioni della temperatura oceanica effettuate dagli scienziati a bordo dello HMS Challenger nel 1870 e le osservazioni moderne del World Ocean Circulation Experiment degli anni ’90.

L’HMS Challenger, un veliero a tre alberi in legno originariamente progettato come una nave da guerra britannica, fu utilizzato durante la prima spedizione scientifica moderna per esplorare gli oceani e il fondale marino. Durante la spedizione dal 1872 al 1876, i termometri furono calati nelle profondità oceaniche e furono raccolte oltre 5.000 misurazioni di temperatura.

Abbiamo analizzato questi dati storici come fossero valori anomali e tenuto conto di una varietà di correzioni, associate agli effetti della pressione sul termometro e all’allungamento della corda di canapa utilizzata per abbassare i termometri“, ha affermato Huybers. I ricercatori hanno poi confrontato i dati raccolti dall’HMS Challenger con le osservazioni moderne e verificato l’effettivo riscaldamento in molte parti dell’oceano, come ci si aspetterebbe a causa del riscaldamento globale iniziato nel XX secolo, ma anche una tendenza al raffreddamento nelle fasce più interne del Pacifico, ad una profondità di circa due chilometri .

La stretta corrispondenza tra le previsioni e le tendenze osservate ci ha dato la certezza che si tratta di un fenomeno reale“, ha affermato Gebbie.

Queste scoperte implicano che le variazioni del clima superficiale che precedettero l’inizio del riscaldamento moderno, influenzano ancora gli odierni aumenti climatici. Le precedenti stime sulla quantità di calore che la Terra aveva assorbito durante l’ultimo secolo avevano suggerito che l’oceano avesse temperature in equilibrio, all’inizio della rivoluzione industriale. Ma Gebbie e Huybers stimano che la tendenza al raffreddamento delle profondità del Pacifico comporti una correzione al ribasso del calore assorbito nel XX secolo di circa il 30%.

Parte del calore necessario per portare la temperatura dell’oceano in equilibrio rispetto un’atmosfera soggetta ad effetto serra, era apparentemente già presente nelle profondità del Pacifico“, ha detto Huybers. “Questi risultati sono un incentivo per comprendere le cause del Periodo Caldo Medievale e della Piccola Era Glaciale, con lo scopo di conoscere meglio le tendenze del riscaldamento moderno“.

Questa ricerca è stata finanziata dalla James E. e Barbara V. Moltz Fellowship e da sovvenzioni del National Science Foundation (OCE-1357121 e OCE-1558939).

Fonti: http://www.whoi.edu/news-release/the-long-memory-of-the-pacific-ocean

La missione ESA Hera aggiungerà obiettivi alla missione DART per la difesa planetaria

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La missione internazionale di difesa planetaria che coinvolge la NASA e l’ESA includerà ora due CubeSat. APEX (Asteroid Prospection Explorer) e Juventas saranno a bordo della navicella spaziale Hera dell’ESA, che raggiungerà il sistema di asteroidi binari Didymos poco dopo che che il più piccolo dei due oggetti, Didymoon, sarà colpito dalla sonda della NASA DART (Double Asteroid Redirect Test). Hera si occuperà di effettuare rilevamenti ed osservazioni sulle conseguenze dell’impatto come parte dell’esperimento mirato a sperimentare l’efficacia dell’impatto come strumento per deviare gli asteroidi.

Sebbene parti della missione siano state perfezionate nel corso degli anni, principalmente a causa di problemi di finanziamento, un obiettivo chiave della missione è quello di combinare le missioni DART e Hera per ottenere un ritorno scientifico e tecnologico globale, proteggendo al contempo l’elemento di cooperazione internazionale che sarà in gioco. In pratica si studieranno le opzioni disponibili per proteggere il pianeta da un “attacco” portato da asteroidi vaganti.

Al contrario di quanto accadeva nel film Armageddon, secondo i piani dell’ufficio internazionale di difesa planetaria, i salvatori del pianeta saranno veicoli spaziali robotici.

Per testare le potenziali tecniche di “deflessione” di un asteroide, uno dei metodi preferiti per mitigare la minaccia DART si dirigerà verso il sistema di asteroidi binari Didymos, sperimentando, con l’occasione, anche un nuovo sistema di propulsione elettrica basato sullo xenon. Il sistema di guida di DART comprenderà una fotocamera integrata e un sofisticato software di navigazione autonomo.

Raggiunto Didymos, probabilmente nell’ottobre 2022, DART si scaglierà verso Didymoon alla velocità di circa 6 km / s. L’ultima cosa che DART trasmetterà sulla Terra prima della collisione sarà un primo piano delle caratteristiche della superficie di Didymoon.

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La missione DART – NASA

La collisione cambierà la velocità della luna nella sua orbita attorno al corpo principale di una frazione dell’uno percento, abbastanza da essere misurata usando i telescopi sulla Terra. In aggiunta, Hera fornirà una visione ravvicinata del sistema binario quando lo raggiungerà, qualche anno dopo.

Hera, che prende il nome dalla dea greca del matrimonio, è il contributo europeo a una missione internazionale doppia, seguirà DART per fornire una dettagliata scansione post-impatto che trasformerà questo esperimento per la difesa planetaria in una tecnica ben compresa e ripetibile.

Hera testerà anche molteplici nuove tecnologie, come la navigazione autonoma attorno all’asteroide gestita da una intelligenza artificiale, e la raccolta di dati scientifici cruciali che serviranno ad aiutare gli scienziati e i futuri pianificatori di missione a capire meglio le composizioni e le strutture degli asteroidi.

La missione Hera, che sarà lanciata nel 2023, viaggerà verso la coppia di asteroidi. Il corpo principale è un “sasso” di 780 metri di diametro orbitato da una mini luna di 160 metri, chiamata informalmente “Didymoon“, delle dimensioni della Grande Piramide di Giza.

L’ESA ha annunciato che Hera porterà due piccoli CubeSat da spiegare ed eventualmente sbarcare.

L’idea di costruire CubeSats per lo spazio profondo è relativamente nuova ma è stata recentemente convalidata dall’atterraggio di InSight su Marte lo scorso novembre, quando una coppia di CubeSats che accompagnavano la missione è riuscita a ritrasmettere i segnali radio del lander sulla Terra, oltre a restituire immagini del pianeta Rosso“, ha osservato Paolo Martino, ingegnere capo di Hera.

Il primo CubeSat è chiamato Asteroid Prospection Explorer (o ‘APEX’) ed è stato sviluppato da un consorzio svedese / finlandese / ceco / tedesco.

Eseguirà misurazioni spettrali dettagliate delle superfici di entrambi gli asteroidi – misurando la luce solare riflessa da Didymos ed esaminando le superfici per scoprire come questi asteroidi hanno interagito con l’ambiente spaziale, individuando eventuali differenze di composizione tra i due. Inoltre, APEX produrrà letture magnetiche che daranno un’idea della struttura interna di questi corpi.

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APEX e JUVENTAS – tramite l’ESA

Guidato da una telecamera di navigazione e uno strumento “laser radar” (lidar), APEX effettuerà, se sarà possibile, anche un atterraggio su uno degli asteroidi, raccogliendo dati preziosi nel processo utilizzando sensori inerziali e procedendo a osservazioni ravvicinate dell’asteroide materiale di superficie.

In orbita attorno a Didymoon, Juventas si allineerà con Hera per eseguire esperimenti di radio trasmissioni da satellite a satellite ed eseguirà un’indagine radar a bassa frequenza dell’interno degli asteroidi, una sorta di dettagliata “scansione a raggi X” di Didymoon per svelare il suo interno.

Hera sarà lanciata con un razzo Ariane 6, e sarà una delle prime missioni scientifiche ad utilizzare il nuovo missile della Arianespace.

Hera è destinata ad essere la prima missione del genere umano in un sistema di asteroidi binari. Oltre a testare nuove tecnologie nello spazio profondo e raccogliere dati scientifici cruciali, Hera è progettata per essere il contributo dell’Europa a uno sforzo di difesa planetaria internazionale: sonderà il cratere creato da DART e misurerà la deviazione orbitale di Didymoon causata dalla precedente collisione.

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Questo esperimento unico convaliderà la tecnica di deflessione degli asteroidi denominata impattatore cinetico, e servirà a proteggere il nostro pianeta dagli impatti degli asteroidi.

La storia invisibile dei computer più piccoli del mondo

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Se prendete una cabina armadio bella grande e al posto di specchi e maniglie, ci aggiungete delle carrucole, qualche migliaio di luci colorate, bottoni e leve avrete un’idea, approssimativa, ma piuttosto corretta, di un computer stile anni ‘40. E in effetti il nome stesso, Colossus, quello dato al primo elaboratore elettronico del mondo assemblato nei sotterranei di Bletchley Park, nel Regno Unito, non suggerisce di certo le silhouette minimaliste dei dispositivi attuali.

Al tempo la potenza di calcolo correva in parallelo con file di valvole termoioniche, componenti elettroniche ed enormi pannelli. Quantità era sinonimo di una capacità di elaborazione che iniziava a sfidare l’umana intelligenza. Che comunque restava ancora qualche passo avanti in fatto di intuizione ed elaborazione di strategie complesse, rispetto alla sua controparte artificiale.

Dal primo colosso costruito nella seconda metà degli anni Quaranta dovremo attendere qualche anno prima che il computer della IBM, Deep Blue, dia scacco matto al Maestro Garry Kasparov in una sfida rimasta nella storia. Macchina batte uomo e la macchina si era ridotta, anche se di poco, assumendo i vaghi, per quanto ancora piuttosto ingombranti, contorni di un frigorifero. Misure oversize ancora una volta, ma tecnici, ingegneri informatici e programmatori erano già al lavoro per sviluppare i nuovi modelli, prototipi di quelli attuali.

È oggi l’epoca dei microcomputer, settore in cui IBM ha lanciato la sfida agli altri giganti in campo, con la recente notizia del computer più piccolo del mondo. Dalla cabina armadio siamo passati alle dimensioni del chicco di sale, un po’ più piccolo a dire il vero. Il progetto della IBM si integra in un modello di sviluppo di sistemi di calcolo miniaturizzati che rappresenteranno il futuro dell’Internet of things. Installabili in qualunque dispositivo, potranno fornire indicazioni e dialogare tra loro generando un ambiente universalmente connesso.

E visto che la gara è aperta, a raccogliere la sfida della IBM ci ha pensato l’Università del Michigan che sempre nel 2018 ha annunciato di aver realizzato un altro computer più piccolo del mondo. Poco più piccolo di un chicco di riso, è stato realizzato con la funzione di monitorare con una precisione elevatissima i livelli della temperatura, anche se, come hanno fatto notare i responsabili della IBM, il computer in questione non avrebbe le caratteristiche di un vero e proprio micro PC, dato che, in assenza di alimentazione, perde completamente memoria dei propri dati. E questo è tutt’altro che rassicurante.

Una delle storie più curiose nella lunga marcia rispetto alla miniaturizzazione delle componenti elettroniche riguarda due menti eccezionali: quella di Claude Shannon, matematico e del suo collega Edward Thorpe. Furono loro a realizzare negli anni ‘60 il primo computer indossabile capace di entrare all’interno di una scarpa. Un gadget futuristico che sembra uscito da un film di James Bond e, in effetti, le affinità tra i due geniali inventori e il personaggio creato da Ian Fleming ci sono, e sono parecchie. Non fosse per il fatto che i due inventori sperimentarono le capacità di calcolo del loro dispositivo portatile, che per l’occasione infilarono in una scarpa, nei casinò di Reno e Las Vegas per calcolare traiettorie ed effettuare proiezioni statistiche più attendibili per compiere le loro puntate. A scopo scientifico, ovviamente.

Un wearable PC a tutti gli effetti, anche se di certo le capacità di calcolo del mini PC ideato da Thorpe e Shannon apparirebbero del tutto ridicole rispetto ai sistemi attuali. Prima dell’annuncio della IBM, Raspberry aveva già, nel 2012, costruito quello che all’epoca ottenne il titolo di computer più piccolo del mondo. Il Raspberry Pi misurava poco, 65 mm per 54 mm, e si impose all’attenzione del pubblico sia per le sue ristrette dimensioni che per le sue capacità di calcolo. L’impostazione del sistema hardware del mini PC della Raspberry è stata però presto rimpiazzata dalle innovazioni tecnologiche nel settore del cloud computing. Le capacità di immagazzinamento, così come di programmi e applicativi per gli utenti in cloud ha trasformato l’era dei micro computer portando a innovazioni come quelle di Solu, realizzato da un’azienda svedese nel 2015. Operando in cloud necessita di un minor spazio di archiviazione fisico e può quindi offrire agli utenti una maggiore velocità e tempi di risposta più rapidi rispetto ai modelli precedenti.

Un passo decisivo nello sviluppo di computer sempre più piccoli che non necessiteranno più di grandi memorie, riducendone così ulteriormente le dimensioni.

Sempre più comuni i problemi di postura per chi lavora con i computers

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Prima di approfondire questo articolo, prenditi un momento e nota la tua postura. Sei seduto con la colonna vertebrale curva in avanti, le spalle curve e con la testa inclinata in avanti per guardare più da vicino il telefono o lo schermo del computer? Se è così, i ricercatori della San Francisco State University dicono che probabilmente non ti stai facendo favore.

In un articolo apparso sulla rivista Biofeedback, un team di professionisti del settore medico afferma che questa posizione apparentemente innocua potrebbe comprimere il collo, causando affaticamento, mal di testa, scarsa concentrazione, aumento della tensione muscolare e persino lesioni alla colonna vertebrale nel tempo, potrebbe, inoltre, limitare la tua capacità di roteare la testa.

Quando la postura è alta ed eretta, i muscoli della schiena possono sostenere facilmente il peso della testa e del collo“, ha spiegato il professor Erik Peper. “Ma quando la tua testa si protende in avanti con un angolo di 45 gradi, il tuo collo si comporta come un fulcro, come una lunga leva che solleva un oggetto pesante. Ora il peso muscolare della testa e del collo equivale a circa 20 chili. Non sorprende che, con l’estrema diffusione degli smartphone e dei computers nel lavoro, tanta gente soffra di torcicollo e forti dolori alle spalle e alla schiena.

Per capire come la posizione della testa e del collo di una persona influisce sulla sua salute, i ricercatori hanno confrontato la mobilità del collo di dozzine di studenti sia quando erano seduti con una postura corretta (testa allineata sul collo) che con la testa protesa in avanti. I ricercatori hanno quindi chiesto a più di 100 studenti di ruotare il collo per 30 secondi e di riferire come si sentivano dopo; quasi tutti hanno riportato una sorta di dolore alla testa, al collo o agli occhi. Attraverso un esame nervoso e muscolare (elettromiografia) su 12 degli studenti,  i ricercatori hanno stabilito che il muscolo trapezio mostra più tensione quando una persona si avvicina al computer.

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Coloro che soffrono possono diventare consapevoli della loro postura imitando la posa scrunchy. “Puoi esagerare la posizione e provare i sintomi. MSSA / Shutterstock

Sebbene il documento non evidenzi limiti eccessivi, è importante ricordare che le dimensioni dello studio erano piccole, toccate dal disagio immediato e dal dolore cronico derivante dal lavoro alla scrivania, ed erano limitate agli studenti (non agli adulti nelle professioni lavorative).

Se svolgi un lavoro diverso dallo stare tutto il giorno chino davanti al pc, devi tenere presnte che l’abuso dello smartphone provoca sintomi simili. Se sei nel 70 percento dei lavoratori informatici che soffrono di mal di testa, collo o mal di schiena il consiglio migliore è quello di sforzarti di mantenere la schiena eretta e la testa dritta, allineata con il collo.

Se hai difficoltà a leggere i caratteri sullo schermo senza avvicinare la testa, puoi facilmente ovviare al problema aumentando le dimensioni dei caratteri oppure indossando occhiali da lettura.

Pensaci, anno nuovo, nuova postura.

La NASA si prepara a testare il sistema di difesa planetaria antiasteroidi

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La National Aeronautics and Space Administration (NASA) ha annunciato il suo progetto di avviare test pratici del suo sistema di difesa planetaria entro i prossimi due anni. Questa operazione avvierà di fatto le attività reali dell’Ufficio di Coordinamento della Difesa Planetaria della NASA.

La maggior parte dei ricercatori concordano sul fatto che a causare l’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa, fu la caduta di un enorme asteroide e gli asteroidi rappresentano ancora una grave minaccia per tutta la vita sulla Terra. Anche un asteroide di dimensioni medie potrebbe portare a eventi apocalittici.

Missione Dardo

La missione, che si svolgerà nei prossimi due anni, chiamata Double Asteroid Redirection Test o DART, lancerà una navicella DART in rotta di collisione con l’asteroide Didymos, un oggetto che non presenta alcun pericolo di collisione con la Terra, per testare la capacità del missile di modificare la rotta dell’oggetto celeste.

 La NASA condurrà il suo primo test sul mondo reale del suo veicolo spaziale di difesa planetaria
Fonte:  NASA 

L’asteroide Didymos ha circa 800 metri di diametro e il suo corpo secondario o “lunetta” ha una dimensione di 150 metri . Questo obiettivo è perfetto perché Didymos ha le dimensioni giuste per rappresentare una minaccia seria per il pianeta Terra.

DART sarà il primo esempio di utilizzo della tecnica di impatto cinetico per modificare il movimento di un asteroide nello spazio.

A 11 milioni di chilometri dalla Terra, il missile si schianterà deliberatamente nel moonlet dell’oggetto a una velocità di circa 6 km/s utilizzando un sofisticato software di navigazione per garantire la precisione del punto d’impatto.

Il veicolo spaziale utilizzerà il sistema di propulsione solare NASA Evolutionary Xenon Thruster – Commercial (NEXT-C) come mezzo per raggiungere il suo obiettivo programmato. La NASA dovrebbe lanciare il veicolo spaziale DART tra la fine di dicembre 2020 e il maggio 2021.

L’automa campione di scacchi

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di Oliver Melis

Gli illuministi erano affascinati dalle macchine chiamate automi il cui unico scopo era imitare gli esseri viventi, e ne costruirono alcuni esempi davvero sorprendenti. Il francese Jacques de Vaucanson costruì un’anatra meccanica che sminuzzava, mangiava cibo e defecava proprio come un’anatra vera. L’anatra meccanica divenne cosi famosa da essere esposta al Palais-Royal nel 1744. Voltaire ebbe a dire che “senza l’anatra di Vaucanson, non ci sarebbe nulla a ricordare la gloria della Francia”; egli rimase così colpito da ribattezzare Vaucanson “il rivale di Prometeo“. Nel 1840 venne acquistata da un meccanico, Georges Tiets. Andò distrutta insieme ad altri automi durante l’incendio che nel 1879 distrusse il museo di Nižnij Novgorod, in Russia, nel quale era esposta.

Ma nessun automa nemmeno la mirabolante anatra era più elogiato o più famoso della Grande Automa giocatore di scacchi del barone Wolfgang von Kempelen.

L’automa scacchista era costituito da una figura di legno vestita con abiti turchi (e di solito chiamata “il Turco“) il cui tronco emergeva da una grande scatola di legno piena di ingranaggi e fili. L’automa era in grado di giocare a scacchi contro avversari umani.
Ma questa non era una macchina che semplicemente imitava i movimenti di un uomo che giocava a scacchi ma, almeno secondo quanto affermava il suo ideatore, il Turco era in grado di pianificare una partita come una vera e propria macchina pensante.

Kempelen, nobile ungherese, ideò e realizzò l’automa giocatore di scacchi nel 1769 e lo portò in tournée in tutta Europa, esibendolo davanti al pubblico pieno di nobili. Generalmente invitava i membri del pubblico a sfidare il suo automa a una partita, e questi sfidanti invariabilmente venivano sconfitti. L’automa sconfisse persino Benjamin Franklin.

Nel 1790, Kempelen finalmente smantellò l’automa che però venne in seguito riesumato dopo la morte di Kempelen, infatti nel 1805, la sua famiglia vendette la macchina a Johann Nepomuk Maelzel, uno studente universitario tedesco.
Maelzel ricostruì l’automa e lo portò in tournée in tutta Europa prima di portarlo in America nel 1826. Il Turco era nuovamente utilizzato per intrattenere e affascinare il pubblico, mentre batteva regolarmente i numerosi sfidanti.

Come funzionava il Turco?
Sul funzionamento del Turco si è speculato moltissimo, Prima di iniziare lo spettacolo, Kempelen apriva le porte scorrevoli sul lato della scatola per dimostrare che all’interno vi erano solo ingranaggi, e ogni volta che l’automa si muoveva il rumore della macchina poteva essere ascoltato. Eppure, la maggior parte delle persone sospettava che ci fosse qualcuno nascosto all’interno. Forse, teorizzò qualcuno, all’interno del marchingegno vi era un nano. Ma c’erano anche molti che erano convinti che l’automa fosse una vera e propria macchina pensante.

Mentre era in tournée in America, Edgar Allan Poe ebbe la possibilità di vederlo in azione, e scrisse un articolo in cui cercò di usare una logica rigorosa per risolvere il mistero dello scacchista. Anche Poe pensò che il macchinario nascondesse un uomo, ci era andato vicino ma non era proprio così.

Il segreto svelato

Il segreto dell’automa scacchista fu svelato il 6 febbraio 1837, quasi settanta anni dopo la creazione dell’automa stesso, in un articolo pubblicato dal Philadelphia National Gazette Literary Register.
Nascosto all’interno della scatola da cui emerge il corpo del turco (non nel corpo del turco, come pensava Poe) vi era un uomo di taglia normale. L’identità dell’uomo nascosto era sempre diversa, ma Kempelen e Maelzel provarono a usare campioni di scacchi. Tra i maestri di scacchi che fungevano da operatore nascosto dell’automa c’erano Johann Allgaier e Aaron Alexandre.

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Una serie di pannelli scorrevoli e una sedia a rotelle consentivano al “pilota” di nascondersi mentre l’interno della macchina veniva mostrato ai curiosi. L’operatore controllava il “Turco” tramite un dispositivo a “pantografo” che sincronizzava i movimenti del suo braccio con quelli dell’automa. Gli scacchi resi magnetici gli permettevano di conoscere le mosse effettuate sulla scacchiera sopra la sua testa.

Quindi il Grande automa campione di scacchi non era per nulla senziente, dopotutto, ma veniva mosso da un giocatore umano. La spiegazione del mistero mise fine alla sua fortuna e alla sua fama.

L’automa scacchista finì relegato in un magazzino, dove pochi anni dopo, nel 1854, bruciò in un incendio.

Fonti: Hoaxes.org, Wikipedia

La Luna ha un lato lontano, non uno oscuro

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La Cina ora ha due robot che stanno inviando immagini da un’area della Luna dove l’umanità non è mai stata prima. Questo lato è distante e misterioso, ma, nonostante la diffusa definizione popolare di lato oscuro, non è sempre buio. Infatti, dopo aver toccato la superficie lunare, la sonda ha restituito un’istantanea della sua nuova casa che mostra un paesaggio roccioso, craterizzato e chiaramente illuminato.

La sonda cinese – che include un lander e un rover – è atterrata alle 03.26 di giovedì, ora italiana, come parte della missione cinese Chang’e-4 per esplorare la parte della Luna che non possiamo vedere dalla Terra. Dal momento che il nostro satellite impiega all’incirca lo stesso tempo per ruotare attorno al suo asse e per compiere una rivoluzione attorno alla Terra, dalla superficie del nostro pianeta possiamo vederne una sola faccia, e sempre la stessa: quella che definiamo correttamente il lato vicino.

Lo sbarco della Cina sul lato più lontano è stato il primo mai effettuato, in parte a causa delle difficoltà tecniche poste da quella distanza.

Inviare segnali dalla Terra al lato lontano della Luna e viceversa normalmente non è possibile a causa della massa della Luna che si frappone.

La Cina ha risolto il problema dei segnali radio inviando un satellite chiamato Queqiao, che comunica con la sonda e trasmette le informazioni, comprese le foto, alla Terra, facendo da ponte radio. C’è luce nelle foto inviate perché c’è la luce sul lato più lontano della Luna: infatti, non esiste alcun lato oscuro. “Metà della luna è sempre illuminata dal Sole – proprio come la Terra“, spiega Frederick Walter, professore di fisica e astronomia alla Stony Brook University.

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Tutta colpa dei Pink Floyd se la gente crede che esista un lato buio della Luna

Il nostro pianeta ha un’alternanza di giorno e notte perché la Terra gira sul suo asse mentre orbita attorno al Sole. Mentre il lato che punta verso il Sole è luminoso, il lato opposto è al buio. Nel corso delle 24 ore, la rotazione del pianeta scorre attraverso entrambi (le cose si fanno più strane ai poli, ma anche là si alternano giorno e notte). La Luna ha un ciclo simile, ma molto più lento: un giorno lunare completo dura circa 29 giorni terrestri. Quando la sonda Chang’e-4 ha toccato il lato più lontano, erano circa 9.00 ora locale lunare.

Dove è sceso il lander cinese, è giorno“. Gli scatti fatti da una delle telecamera sul lander Chang’e-4 mostrano il rover, chiamato Yutu-2, che proietta un’ombra sulla superficie, come riporta la Planetary Society. Ovviamente, non è un caso, la missione cinese necessita della luce solare per alimentare i pannelli del lander e del rover.

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Anche se non sarai in grado di vedere il sito di atterraggio, potrai capire quando il lander Chang’e-4 e Yutu-2 sono immersi nella luce o immersi nell’oscurità semplicemente guardando il cielo su un notte senza nuvole. Quando il Sole splende completamente sul lato della Luna rivolto verso la Terra, la vediamo luminosa e piena – ma il lato più lontano della Luna è buio. E quando il Sole illumina il lato più lontano della Luna, il lato vicino è buio: chiamiamo questo momento plenilunio. Nel mezzo, la luna crescente e calante indicherà che i robot staranno entrando nel crepuscolo o all’alba.

Nel frattempo, gli astronomi e gli appassionati di spazio attenderanno con curiosità ogni notizia dalla missione. Abbiamo già visto immagini del lato più lontano. La prima volta fu nel 1959, quando la navicella sovietica Luna 3 scattò una foto del paesaggio irto di crateri del lato opposto. Poi ci fu Apollo 8 che, nel 1968, inviò la famosa immagine chiamata Earthrise. Da allora,il Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA ha scattato molte foto e mappato la superficie, ed oggi disponiamo di una mappa abbastanza dettagliata del lato lontano.

Ma quelle immagini erano tutte ancora prese dall’orbita. Ora che la sonda cinese è scesa sulla superficie, possiamo vedere la superficie del lato lontano più da vicino che mai. La sonda spaziale è atterrata nel cratere Von Kármán nel bacino del Polo Sud-Aitkensecondo quanto riferiscono i media statali cinesi. Il bacino è un enorme sito di impatto largo e profondo, dove sono esposte le rocce più vecchie del nostro satellite.

Il rover Yutu-2 è equipaggiato con un radar in grado di penetrare nel terreno per investigare al di sotto della superficie. E mentre aspettiamo che raccolga i suoi dati scientifici, possiamo goderci le immagini che invia dal lato lontano che, proprio ora, è illuminato dal sole.

Vivere una vita più lunga e funzionalmente più sana: nuove scoperte

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Una ricerca dall’Istituto di scienze della vita dell’Università del Michigan ha scoperto una delle cause che provocano il declino delle funzioni motorie e una maggiore fragilità nei piccoli vermi e testato un modo per rallentarli.

I risultati, pubblicati il 2 gennaio in Science Advances, identificano una molecola che può essere utilizzata per ottenere un miglioramento della funzione motoria e indicano che percorsi simili possono essere in gioco anche nei mammiferi in età avanzata.

Con l’invecchiamento, sia negli uomini che negli animali, le funzioni motorie si deteriorano progressivamente. Lo studio, effettuato su nematodi, ha dimostrato che questi tipi di verme hanno modelli di invecchiamento notevolmente simili a quelli di altri animali, e la durata della loro vita è solo intorno alle tre settimane, rendendoli un sistema modello ideale per studiare i processi legati all’invecchiamento.

In precedenza abbiamo osservato che mentre i vermi invecchiano, gradualmente perdono le funzioni fisiologiche“, ha affermato Shawn Xu, professore alla LSI e autore senior dello studio. “Abbiamo notato che intorno alla metà della loro età adulta, la loro funzione motoria inizia a declinare e ci siamo proposti di capire cosa provoca questo declino

Per capire meglio come cambiavano le interazioni tra le cellule dei vermi con l’invecchiamento, Xu ed i suoi colleghi hanno studiato le giunzioni cellulari attraverso le quali i motoneuroni comunicano con il tessuto muscolare. Il lavoro ha permesso di identificare na molecola chiamata SLO-1 che funge da regolatore per queste comunicazioni. La molecola smorza l’attività dei neuroni, rallentando i segnali che i neuroni trasmettono al tessuto muscolare, rallentando così la funzione motoria del verme.

I ricercatori hanno manipolato SLO-1, prima usando strumenti genetici e poi usando una droga chiamata paxillina. In entrambi i casi, hanno osservato due effetti principali nei nematodi: i vermi hanno non solo mantenuto una migliore funzione motoria anche nella tarda età, ma hanno anche vissuto più a lungo dei nematodi non sottoposti al trattamento.

Ottenere una vita più lunga senza miglioramenti nello stato di salute, nella forza e nelle capacità motorie non è certamente l’ideale“, ha detto Xu, che è anche un professore di fisiologia molecolare e integrativa presso la UM Medical School. “Fortunatamente, abbiamo scoperto che questi interventi migliorano entrambi i parametri: questi vermi sono più sani e vivono più a lungo“.

Gli interventi effettuati hanno drasticamente migliorato la funzione motoria e la durata della vita. La manipolazione di SLO-1 all’inizio della vita dei vermi, non ha avuto alcun effetto sulla durata della vita e, addirittura, ha avuto un effetto negativo sulla funzione motoria nei giovani vermi. Ma quando l’attività di SLO-1 è stata bloccata a metà dell’età adulta, sia la funzione motoria che la durata della vita sono migliorate. Poiché il canale SLO-1 è presente in molte specie, Xu spera che queste scoperte incoraggeranno ulteriori studi sul suo ruolo nell’invecchiamento in altri organismi modello.

Studiare l’invecchiamento negli organismi con una maggiore durata della vita è un investimento importante“, ha detto. “Ma ora abbiamo identificato un target molecolare, un potenziale sito e tempistiche specifiche, che dovrebbero facilitare ulteriori indagini“.

I ricercatori sperano poi di determinare l’importanza del canale SLO-1 nei primi stadi di sviluppo nei vermi e anche di capire meglio i meccanismi attraverso i quali influisce sulla durata della vita.

Fonte: Science Advances