Inchiesta sul mondo del Blackout, il gioco che porta alla sfida estrema

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Nei notiziari è arrivato in questi giorni ma chi conosce i meandri della rete sa che il Blackout game gira da parecchio tempo ed era già noto e praticato quando esplose il caso  del “Blue Whale“, la balena blu, il gioco uscito qualche tempo fa da VK, il principale social network russo che portava adolescenti plagiati a togliersi la vita, filmando l’evento, come ultima di 49 prove che ne dovevano progressivamente testare la sottomissione e la dipendenza.

Ora si viene a sapere del Blackout Game, un “gioco” diverso ma, in qualche modo, simile. In un articolo di oltre un anno fa, il sito web linkiesta, parlava di almeno 82 vittime registrate, con il 96% delle quali morte in solitudine, apparentemente alla ricerca di “un mix di eccitazione e di paura, di uno stato di euforia tale da poter addirittura diventare letale“.

Il Blackout game, in realtà, esiste da decenni, è noto anche come “pass out game” o come “scarf game” e non è stato inventato ieri o qualche giorno fa, una sua variante è una forma di perversione sessuale. L’obbiettivo del “gioco” è quello di soffocarsi, da soli con buste di plastica, catene, corde, sciarpe e quant’altro, mentre in compagnia lo si fa attraverso le braccia o le mani di un assistente. Non bastasse questa assurda forma di perversione, si usa anche farsi fotografare o riprendere con filmati in diretta web attraverso telefonini o smartphone.

A riprova che questa cosa esiste da anni, bisogna aggiungere che i numeri forniti da “linkiesta” non sono relativi ad un anno fa, bensì a dieci anni prima e resi noti dal  National Centre for Injury Prevention and Control degli Stati Uniti su un articolo pubblicato dal Washington Post.

Giochi (o pratiche) simili esistono da moltissimo tempo tra gli adolescenti e sono spesso tentativi di compiere un qualche rituale di iniziazione legato al passaggio di età. Spesso sono ragazzi più grandi, con una sorta di nonnismo fuori tempo massimo, ma anche coetanei ad incitare l’adolescente a sottoporsi ad una prova dove può rischiare la vita per dimostrare la sua maturità, il suo diritto di sedere tra i grandi.

Nell’articolo pubblicato nel 2007 dal Washington PostRobert L. Tobin del National Centre for Injury Prevention and Control spiegava che, rispetto al passato, ora, con l’avvento dei telefonini dotati di telecamera in grado di riprendere la prova (e, aggiungiamo noi, in chiave ancora più moderna, degli smartphone in grado non solo di riprendere ma anche di trasmettere in diretta web la prova) “il fattore nuovo è che vengono praticati in solitudine e i fattori di rischio o la probabilità di morire aumentano proprio per questa ragione“.



La cosa che lascia perplessi è che di questi giochi nessuno abbia mai sentito parlare primagenitori, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, magistrati inquirenti, investigatori, tutti cadono dal pero, eppure Whatsapp, Telegram, Facebook, come nel caso del Blue Whale, sono pieni di chat recanti numeri ed indicazioni.

Insomma, volendo approfondire l’argomento, si scopre che i “giochi del suicidio”, nelle loro varie declinazioni, non nascono oggi, non sono la conseguenza di una gioventì priva di valori e fin troppo connessa e senza controllo. Si trovano decine di casi nelle cronache internazionali. Nei bollettini del The American Journal of Forensic Medicine and Pathology i medici legali raccontano con statistiche, tabelle e gergo medico l’evoluzione del fenomeno, dal 1995 in poi, utilizzando descrizioni, nude e crude, di vere e proprie scene macabre che hanno coinvolto bambine o poco più (11-12 anni) ritrovate legate ai letti con collari e guinzagli e le vie respiratorie bloccate. Gli studiosi pongono anche l’accento su una certa concentrazione geografica di questi avvenimenti: nel periodo da loro considerato, e sul territorio americano (pur con riferimenti a quanto avveniva in Australia, Irlanda, France, Regno Unito, Israele e Canada), a guidare la sfortunata classifica è lo stato del New Hampshire.

Secondo la Polizia Postale, famiglie e amici dovrebbero prestare attenzione ad un elenco di consigli per cercare di capire in anticipo se qualcuno sia un soggetto a rischio. Fra i suggerimenti compaiono anche consigli di puro buon senso come “prestare attenzione ai cambiamenti repentini di umore e rendimenti scolastici”; “osservare se ci sono comportamenti masochistici come ferite auto inflitte” o “aumentare il dialogo sulla sicurezza in rete”.

Ora, come per la vicenda legata al Blue Whale, il Blackout Game è arrivato alla stampa generalista ma gli approfondimenti e le analisi che non si fermano alla superficie mostrano come proprio nei meandri del dark web esistano da sempre gruppi dedicati alla scottante tematica del suicido. Non si tratta di gruppi di incitamento e non sono nemmeno forum di auto aiuto, perlomeno non solo, ma piuttosto luoghi dove il suicidio viene affrontato senza quella coltre di tabù che lo rivestirebbe in una normale conversazione quotidiana. Ed è l’anonimato garantito dalla rete che permette questo tipo di discussione.

Il problema è che, di solito, si decide di praticare il Blackout Game per ragioni diverse dal suicidio e, quindi, nella maggior parte dei casi, non sono mai stati presenti quei sintomi rivelatori che la polizia postale invita a cercare. Non è un caso che il “blackout game” sia noto anche come “gioco dello svenimento“, perchè, in realtà, è una sorta di gioco del soffocamento in cui le persone, sfidano la morte rimanendo il più a lungo possibile senza ossigeno, allo scopo di provare l’ebbrezza di quando si rimane senza ossigeno a 7.000 metri di altitudine oppure quando si sta per morire. Come spiegato in precedenza, certe perversioni sessuali ricercano l’esaltazione dell’orgasmo mentre si arriva al limite della resistenza senz’aria, di solito con una busta di plastica sigillata a racchiudere la testa per non avere la possibilità di poter vincere il naturale impulso di respirare.

Il passo finale di questa sfida insensata è riuscire a perdere i sensi per poi rinvenire dopo pochi secondi in preda all’euforia, il tutto davanti ad una webcam che riprende l’evento diretta, a beneficio di altri praticanti del gioco.

Basta fare qualche ricerca in rete per rendersi conto che si tratta di una pratica abbastanza diffusa tra i giovanissimi. I casi di cronaca sono numerosi, in Italia, se ne sono registrati a Bressanone, Rovigo e Padova.

Sfide estreme, prove di coraggio, riti di passaggio eseguiti nell’incoscienza e nell’ignoranza.

Se vogliamo un responsabile, c’è ed è il silenzio, quel silenzio omertoso che regna tra i ragazzi che sanno quando un amico ha inziato a sottoporsi a questo rituale che procede per gradi e livelli, come un malefico videogame in cui ogni livello porta ad una sfida più estrema, al solo scopo di dimostrare di essere abbastanza forti per farlo.

Ma anche quel silenzio che, troppo spesso, vige nei rapporti tra genitori e figli.

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