Mano a mano che le attività umane riducono fortemente la biodiversità attraverso la deforestazione e la vertiginosa costruzione di infrastrutture, aumenta il rischio di pandemie e di malattie come il Covid19. Da tempo si sono levate vere e proprie grida di allarme da parte di ecologisti e virologi.
Un nuovo studio spiega il motivo per cui l’attacco umano alla biodiversità rischia di trasformarsi in un pericoloso “boomerang”: mentre alcune specie si stanno estinguendo, quelle che sopravvivono e prosperano, come ratti e pipistrelli, ad esempio, hanno maggiori probabilità di ospitare agenti patogeni potenzialmente pericolosi ed in grado di fare il salto di specie, il cosiddetto spillover.
L’analisi di 6800 comunità ecologiche in sei continenti, affastella un notevole numero di prove in grado di collegare la tendenza alla riduzione della biodiversità ed alla crescita dell’impatto umano sull’ambiente con i focolai di malattie infettive.
Lo studio però si arresta prima di tracciare con certezza il successivo passo, ovvero prevedere dove potrebbero scatenarsi nuove epidemie. La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature.
Fino ad oggi gli sforzi dei ricercatori che cercano di approfondire le relazioni pericolose tra biodiversità, uso del suolo e malattie, sono passati quasi inosservati. Oggi mentre il mondo si confronta con l’aggressiva pandemia di Covid19, gli sforzi per mappare le aree critiche in tutto il mondo e predisporre un modello previsionale sull’insorgenza di nuovi focolai epidemici sono diventati urgenti e prioritari.
Eppure non c’è più tempo da perdere. Lo scorso 24 luglio un gruppo di ecologi, virologi ed economisti ha pubblicato un saggio su Science sostenendo che i governi possono prevenire l’insorgenza di nuove pandemie controllando la deforestazione e frenando il commercio della fauna selvatica, che comporta la vendita ed il consumo di animali selvatici spesso portatori di pericolosi patogeni.
La maggior parte degli sforzi per contrastare la diffusione di nuove malattie infettive si concentra sullo sviluppo di vaccini, sulla diagnosi precoce, sulla messa a punto di terapie efficaci e sul contenimento: “È come trattare i sintomi senza affrontare la causa” afferma Peter Daszak, zoologo presso la ONG EcoHealth Alliance di New York.
Studi di qualche anno fa hanno dimostrato come epidemie come la SARS o l’influenza aviaria, che si trasmettono dagli animali agli uomini, sono sensibilmente aumentate nel corso degli ultimi decenni. E’ altamente probabile che questo sia il risultato di un maggior contatto diretto tra esseri umani, fauna selvatica e bestiame. Queste interazioni avvengono più frequentemente sulla “linea di frontiera” dell’espansione umana a scapito dell’ambiente.
Uno studio della Stanford University, pubblicato lo scorso aprile, ha rilevato come in Uganda sono aumentati gli incontri diretti tra scimmie e persone, poiché i primati si sono avventurati fuori dalla foresta per saccheggiare i raccolti e le persone si sono avvicinate alla foresta per raccogliere la legna. Lo studio pubblicato su Nature da cui prende spunto questo articolo ha compilato più di 3,2 milioni di record da centinaia di altri studi scoprendo che le specie note per ospitare malattie trasmissibili all’uomo – inclusi 143 mammiferi tra cui ratti, pipistrelli e primati – aumentano man mano che cresce l’urbanizzazione e declina la biodiversità.
Il prossimo passo di questa ricerca sarà la definizione di mappe di rischio, in modo da comprendere i rischi reali per le popolazioni sulla base di relazioni tra i seguenti fattori: uso del suolo, ecologia, clima e biodiversità. Alcuni ricercatori temono che il nesso tra ambiente naturale e future pandemie possa indurre ad un’accelerazione della deforestazione.
In realtà per preservare la biodiversità e quindi un rapporto maggiormente armonico con la natura, occorre che siano affrontati fattori economici e culturali che sono alla base della deforestazione e del commercio di animali selvatici.
In altri termini occorre affrontare i problemi della “frontiera rurale” in modo olistico, affrontando insieme questioni di salute pubblica, ambiente e sviluppo sostenibile. I danni che la pandemia di Covid19 sta producendo in tutto il mondo, secondo alcune stime, raggiungerebbero i 5,6 trilioni di dollari.
Il budget necessario per attuare il monitoraggio e la prevenzione di nuove epidemie virali e per ridurre drasticamente il commercio della fauna selvatica oscillerebbe invece tra i 22 e i 33 miliardi di dollari.
Rispettare la biodiversità, monitorare e prevenire nuovi focolai epidemici non soltanto è possibile ma anche conveniente sotto il profilo economico.
fonte: Nature