Siete mai stati ad una festa trovandovi a chiedervi per quale motivo nessuno vi si filava? Questo è il genere di sensazione che provano gli scienziati del SETI, ma su un livello cosmico.
È più di mezzo secolo che gli astronomi ascoltano lo spazio. Usano potenti radiotelescopi, sperando di captare i segnali da lontane civiltà aliene. Chiamano questo progetto il SETI, o Search for ExtraTerrestrial Intelligence. Il problema è che non hanno mai sentito un singolo rumore, un segnale acustico o un saluto. Il numero di alieni disposti a parlare con noi sembra pari a zero.
Ammesso che ci siano alieni là fuori, come possiamo intavolare una conversazione?
Gli scienziati non sono d’accordo su cosa fare. Alcuni vogliono seguire il classico consiglio della mamma: presentarsi bene. Pensano che i terrestri dovrebbero iniziare ad irraggiare segnali nell’universo per far sapere ad eventuali ascoltatori alieni che ci siamo, siamo gentili e desiderosi di chattare.
Questo approccio è definito “SETI attivo”.
Seth Shostak è un astronomo che opera presso il SETI Institute di Mountain View, California. Seth è un sostenitore entusiasta dell’idea ma ammette che si tratta di una questione “straordinariamente controversa”.
In effetti, alcuni scienziati mettono in dubbio la saggezza del pubblicizzare la nostra presenza. Dopo tutto, non sappiamo ancora con chi potremmo trovarci ad avere a che fare cercando di farci notare dagli alieni. Siamo sicuri di voler davvero gridare a caso: “Eccoci! Venite a invadere il nostro pianeta!”?
Quantomeno, sarebbe opportuno discutere di quest’idea e decidere se sia il caso di pubblicizzare attivamente la nostra presenza più di quanto già non facciamo con i normali segnali radio e trasmissioni televisive. E se ci considerassero esseri ostili e molto più tecnologicamente avanzati?
“Alcune persone che pensano che sia pericoloso, perché non si sa chi c’è là fuori”, dice Shostak. “Forse gli alieni sono pacifici studiosi come i vulcaniani di Star Trek, ma potrebbero anche essere aggressivi Klingon.”
Non solo Shostak non condivide questi timori ma alcuni scienziati, e non solo, temono che se contattassimo alieni poco socievoli, la loro risposta anche ad un amichevole “ciao” potrebbe essere addirittura ostile. Alcuni temono che, invece di scambiare con noi amichevoli messaggi, quegli alieni potrebbero anche, se esiste un modo per superare le distanze interstellari (non sappiamo se esiste, ma potrebbe esistere), “effettuare una spedizione di conquista e colonizzazione o, addirittura, distruggerci.”
David Brin non apprezza le battute sui Klingon. È uno scienziato e scrittore di fantascienza. È anche uno di quelli che sostiene che sarebbe il caso di pensarci bene e procedere con cautela. Non è questione di avere paura di un’invasione aliena, dice. “So quanto sia improbabile uno scenario del genere.” Invece, pensa al SETI attivo come un potenziale pericolo per l’ambiente.
Trasmettere segnali potenti cambierebbe la natura del nostro pianeta. Sarebbe rendere la Terra più osservabile dallo spazio. Altri progetti devono passare attraverso un’analisi ambientale, dice, e anche questo dovrebbe farlo. “Cosa c’è di così difficile da capire?”
David Grinspoon è un astrobiologo, studia cioè le possibilità di vita nell’universo. Lavora per il Planetary Science Institute di Washington. Lui pensa che qualunque si decida di fare, l’essenziale è che sia una decisione condivisa da tutta l’umanità. La responsabilità è immane. “Più ci penso”, spiega, “e più sembra quasi anti-umano dire, ‘mi nomino ambasciatore per tutto il genere umano e inizio a trasmettere verso eventuali alieni per conto mio.’”
Invitare specie alieni intelligenti ad avviare contatti con noi potrebbe sembrare la trama di un romanzo di fantascienza di Brin. Eppure, molti ricercatori stanno prendendo questa idea molto seriamente. Anche se non abbiamo ancora individuato extraterrestri, sono sempre più numerosi gli scienziati che ritengono molto probabile l’esistenza della vita su altri mondi.
Per prima cosa, la scienza ha dimostrato che i pianeti sono molto più comuni di quanto gli astronomi pensavano una volta. Probabilmente ce ne sono miliardi di miliardi nell’universo. I biologi hanno individuato sulla Terra molte forme di vita in grado di sopravvivere e prosperare in ambienti estremi, anche in condizioni che una volta si riteneva fossero insostenibili per la vita.
“Tutto ciò che abbiamo imparato ci spinge a credere vi sia vita abbondante altrove nell’universo”, sostiene Grinspoon.
Insomma, dovremmo provare a contattare altri mondi? E in che modo? Su quest’ultimo punto gli scienziati hanno proposto diverse idee: da una capsula lanciata nello spazio verso una stella all’utilizzo di fasci laser superpotenti verso stelle vicine, fino all’uso di segnali radio irradiati a 360 gradi.
Il radiotelescopio di Arecibo prima che crollasse stava sondando il nostro sistema solare. Il telescopio inviava un impulso di onde radio e aspettava di ricevere il segnale di ritorno rimbalzato da corpi solidi come gli asteroidi. Questa permetteva di stilare una mappa dettagliata del sistema solare comprensiva delle distanze precise dei vari corpi celesti dalla Terra. Se Arecibo inviasse quegli stessi impulsi verso stelle vicine, eventuali alieni intelligenti, dotati della giusta tecnologia, potrebbero notare questi tweets spaziali e rivolgere la loro attenzione a noi.
“Forse alcune civiltà là fuori stanno facendo quello che facciano noi”, dice Vakoch. “Stanno ascoltando, ma non trasmettono. Inviare un messaggio servirebbe non solo a far sapere che ci siamo ma anche che siamo interessati al contatto. Quindi perché neanche tentare? La ricerca di intelligenza extraterrestre fa parte della missione più grande intrapresa dall’umanità: esplorare l’universo e comprendere la natura della vita.”
Nel corso della storia umana, l’incontro tra civiltà ha portato nel tempo a scambi di idee, di conoscenze e tecnologie. l’incontro con una cultura più avanzata potrebbe dare alla nostra specie una nuova prospettiva sulla vita sulla Terra, sostiene Vakoch, secondo il quale potremmo anche ricavarne nuovi strumenti per risolvere i problemi del nostro pianeta.
Brin la vede un po’ diversamente: “E’ importante tenere a mente che ogni volta che civiltà umane si sono incontrate, la più avanzata ha soggiogato quella meno evoluta. Basta pensate a quello che è successo ai nativi americani o africani dopo l’arrivo dei primi esploratori europei. Gli europei portarono nel “Nuovo Mondo” malattie mai viste prima e la loro tecnologia avanzata, come le ami da fuoco e la lavorazione del metallo, provocando la distruzione del modo in cui i nativi vivevano.”
Questa è una delle ragioni per cui, secondo Brin, scienziati e capi di governo non dovrebbero agire troppo in fretta ma soppesare bene ogni possibile scenario prima di agire.
Secondo molti scienziati, però, è probabilmente troppo tardi per nascondersi da civiltà aliene avanzate. I sostenitori del SETI attivo sottolineano che le trasmissioni radiotelevisive ed i segnali FM vengono già emessi ad una frequenza sufficientemente alta da poter essere ascoltata dallo spazio. Senza contare i segnali satellitari ed i potenti ping radar dei radiotelescopi come Arecibo.
In pratica, mentre noi discutiamo su cosa sia meglio fare, forse gli alieni stanno già guardando i nostri programmi televisivi e ascoltando la nostra musica. Sono ormai 100 anni che irraggiamo segnali nello spazio in tutte le direzioni. La vera domanda che dovremmo porci è se dovremmo trasmettere con l’intenzione di essere capiti.
Anche questa, però, è un’ipotesi improbabile. I segnali radio o televisivi che trasmettiamo nello spazio sono deboli al punto che, con la nostra tecnologia, già oltre l’orbita di saturno sarebbe difficile distinguerli dal rumore di fondi, figuriamoci ad anni luce di distanza.
C’è da considerare, però, che qualsiasi civiltà così avanzata da poter visitare la Terra sarebbe probabilmente in possesso della tecnologia necessaria per raccogliere i nostri segnali, quindi sarebbe probabilmente già in grado di sapere che ci siamo e dove siamo. In tal caso, potrebbe essere opportuno inviare un saluto pacifico prima che arrivino.
Insomma, non sappiamo se fare qualcosa sia più pericoloso che non fare nulla.